Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23015 del 23/02/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 23015 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: TUTINELLI VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PALLOTTA DOMENICO N. IL 17/03/1976
avverso la sentenza n. 4606/2009 CORTE APPELLO di TORINO, del
15/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO TUTINELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Prelki a*(2511-che ha concluso per A `00~NTh h,A445 è,-4/1A
4^~. 3 0.

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 23/02/2016

Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Torino con sentenza in data 15 dicembre 2014 ha
condannato PALLOTTA Domenico alla pena di giustizia in ordine alle fattispecie di
ricettazione e falso commesse durante la volontaria sottrazione all’ordine di
esecuzione pena in data 4 aprile 2006, confermando la dichiarazione di penale
responsabilità già pronunciata dal Tribunale di Torino con sentenza 20 ottobre
2008 ma riducendo l’entità della pena.
2. A fondamento della sentenza, la Corte territoriale poneva gli esiti di alcuni

provenienza furtiva; il fatto che su tale carta d’identità fosse stata posta la
fotografia dell’imputato, elemento questo che era ritenuto decisivo ai fini della
prova della partecipazione dell’imputato stesso la falsificazione.
3.Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione PALLOTTA
Domenico articolando i seguenti motivi .
3.1 violazione di legge con riferimento agli articoli 157-161 del codice
penale e vizio di motivazione essendo, a parere della difesa, maturata
la prescrizione dei reati prima della sentenza d’appello in quanto il
giudice di primo grado avrebbe implicitamente escluso la recidiva solo
impropriamente ritenuta subvalente dal giudice di appello;
3.2 violazione di legge con riferimento all’articolo 61 numero 6 del
codice penale e carenza della motivazione dovendosi ritenere
mancante la conoscenza dell’ordine di esecuzione a proprio carico,
non potendosi desumere alcuna conseguenza dal fatto che l’imputato
si era reso irreperibile dopo aver presentato istanza di affidamento
terapeutico spinta con ordinanza 31 gennaio 2006 ma notificato
all’imputato solo nell’ottobre 2006 e dovendosi per converso dare
valore al fatto che l’imputato-sottoposto a controllo-aveva
immediatamente declinato le ricorrente generalità;
3.3 carenza della motivazione in ordine alla mancata concessione
delle circostanze attenuanti generiche, non essendo sufficiente la
negata rilevanza dell’attività lavorativa opposta dalla difesa;
3.4 violazione di legge difformità tra motivazione e dispositivo. Nella
sentenza impugnata infatti, la Corte territoriale opera una riduzione
della pena ed in particolare della sanzione pecuniaria in quanto fissata
oltre il massimo edittale e provvede al seguente calcolo: pena base
euro 300 di multa; ridotta per effetto del rito prescelto ad euro 200 di
multa. Tuttavia, nel dispositivo, si indica la pena finale di euro 300 di
multa.
Considerato in diritto
2

accertamenti svolti dei carabinieri; il sequestro della carta d’identità di accertata

4.1 Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione
al fatto che sarebbe intervenuta la prescrizione dei reati prima della
sentenza di secondo grado in ragione del fatto che il giudice di primo grado
aveva implicitamente escluso la recidiva. Tuttavia, il dispositivo della
sentenza di primo grado testualmente conferma la sussistenza della recidiva
senza escluderla; la motivazione del medesimo provvedimento non contiene
alcuna valutazione che porti a ritenere nemmeno implicitamente esclusa tale
circostanza; la sentenza di secondo grado esplicitamente svolge le

valutazione della rilevanza della recidiva. La stessa determinazione della
pena, nemmeno parametrata ai minimi, evidenzia come proprio i profili di
cui all’articolo 133 del codice penale abbiano determinato piuttosto un
concorso fra circostanze e non l’esclusione della recidiva medesima.
Ne consegue la infondatezza del motivo.
4.2 Con il secondo motivo si contesta la sussistenza dell’aggravante
dell’essersi sottratto ordine di esecuzione pena precedente ed in particolare
la consapevolezza che fosse stato depositato un ordine di esecuzione a
prorpio carico.
Il motivo è infondato.
L’aggravante prevista dall’art. 61 n. 6 cod. pen. ha carattere pacificamente
soggettivo in quanto inerente alla condizione personale dell’agente, il quale
commette il reato durante il tempo in cui si sottrae volontariamente alla
esecuzione di un mandato, di un ordine di arresto, di cattura o di
carcerazione spedito per un precedente reato, dimostrando in tal modo la
sua pericolosità sociale sotto il diverso profilo della insensibilità al freno della
legge penale che non esita a continuare a violare, pur sapendo di essere
colpito da un provvedimento di giustizia tendente a privarlo della sua libertà
personale (Sez. 5, Sentenza n. 30 del 17/01/1967 Rv. 104246).
Ciò posto, la circostanza che sia stato notificato o meno all’imputato l’ordine
di esecuzione, la sottrazione al quale è oggetto della contestata aggravante,
è invero irrilevante ai fini della configurabilità della stessa, che presuppone
unicamente la conoscenza del soggetto agente di essere ricercato per un
precedente reato (Sez. 5, Sentenza n. 18983 del 06/02/2013 Rv. 256244;
Sez. 2, n. 6318 del 24/04/1986, Esposito, Rv. 173233).
Nel caso di specie, va inoltre rilevato che la stessa circostanza di avere
presentato istanza di affidamento terapeutico appalesa la conoscenza della
presenza di un ordine di esecuzione pendente, il che ulteriormente qualifica
gli elementi valorizzati dalla Corte territoriale e segnatamente l’acquisizione
di documenti con la propria effige associata a nome falso e alla fuga
3

medesime valutazioni della sentenza del giudice di prime cure esplicitando la

protrattasi ben dopo il rigetto dell’istanza di affidamento in prova. Sotto
questo aspetto, la motivazione dei provvedimenti del giudice di merito
appare ampiamente congrua, logica, esaustiva.
4.3 Con il terzo motivo si lamenta carenza della motivazione in ordine alla
mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenendosi non
sufficiente la negata rilevanza dell’attività lavorativa opposta dalla difesa.
Il motivo è parimenti infondato.
Va infatti rilevato che la sentenza impugnata, nel rigettare le invocate

criminale del soggetto, ma ribadisce tale valutazione anche in sede di
determinazione della pena, nuovamente facendo riferimento alla pericolosità
dell’imputato che aveva commesso diversi reati di rapina alla potenzialità
offensiva del falso documento, proponendo così ampio ventaglio di
motivazione del tutto esente dai vizi lamentati dal ricorrente.
4.4 Con il quarto motivo, infine, il ricorrente lamenta violazione di legge in
ragione della difformità tra motivazione e dispositivo. In particolare,
nell’ambito della formulazione del dispositivo, veniva fissato una pena
pecuniaria pari ad euro 300 mentre, nel contesto della motivazione si
indicava come euro 300 l’importo della pena pecuniaria base a cui veniva poi
imputato alla riduzione per il rito.
Il motivo è fondato.
Deve premettersi che, come più volte affermato da questa stessa Corte
(Sez. F, Sentenza n. 47576 del 09/09/2014 Rv. 261402; Sez. 5, Sentenza n.
7427 del 26/09/2013 Rv. 259029), in caso di contrasto tra dispositivo e
motivazione non contestuali, il carattere unitario della sentenza, in
conformità al quale l’uno e l’altra, quali sue parti, si integrano naturalmente
a vicenda, non sempre determina l’applicazione del principio generale della
prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione
della volontà decisoria del giudice; infatti, laddove nel dispositivo ricorra un
errore materiale obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione
è meramente apparente, con la conseguenza che è consentito fare
riferimento a quest’ultima per determinare l’effettiva portata del dispositivo,
individuare l’errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti.
Nel caso di specie, vi era stato un errore materiale nella prima sentenza in
relazione a pena pecuniaria che – al lordo della riduzione per il rito risultava illegale in quanto maggiore dei massimi edittali. Nella motivazione
della sentenza di secondo grado si indicano parametri di calcolo che tengono
conto della necessità di emendare tale errore e che rendono palese l’errore

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attenuanti generiche, non solo esplicitamente fa riferimento alla capacità

materiale in cui la Corte incorre nel dispositivo in ragione del mancato
calcolo della riduzione per la scelta del rito.
Deve quindi provvedersi alla rideterminazione della pena.
La ritenuta ammissibilità e fondatezza, seppur in parte qua, del ricorso,
consente a questa Corte di rilevare d’ufficio le questioni inerenti all’applicazione
della declaratoria delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen. e
di dichiarare, per l’effetto, l’intervenuta prescrizione del reato di cui agli artt.
477-482 c.p. contestati al capo a).

ricorso per cassazione siano inammissibili, sono rilevabili d’ufficio le questioni
inerenti all’applicazione della declaratoria delle cause di non punibilità di cui
all’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., che non comportino la necessità di
accertamenti in fatto o di valutazioni di merito incompatibili con i limiti del
giudizio di legittimità (ex multis Sez. 1, sentenza n. 9288 del 20/1/2014, Rv.
259788).
Nel caso di specie, il reato sub a) risulta consumato il 4/4/2006 allorché
allorchè la falsità è stata accertata. Applicandosi, ai fini della determinazione del
tempo necessario a prescrivere, la disciplina introdotta dalla I. 5 dicembre 2005,
n. 251, il termine massimo, pur in presenza degli ulteriori aumenti dovuti alle
condizioni soggettive ostative di cui al cpv. dell’art. 161 cod. pen. (risulta
contestata la recidiva qualificata), è di anni nove, interamente maturato alla data
dell’odierna pronunzia.
Va invece ricalcolata la pena per il reato sub b) che – in ragione dei criteri di
calcolo indicati nelle stesse motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado
– risulta essere di mesi nove di reclusione e € 300.00 di multa previa
concessione della circostanza attenuante di cui al secondo comma dell’art. 648
cod. pen.; ridotta per il rito a mesi sei di reclusione e € 200.00 di multa.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al
capo a) della rubrica, perché estinto per prescrizione; ridetermina la pena,
quanto al residuo reato di cui al capo b), in
multa. Rigetta nel resto.Ait

p esi sei di reclusione e € 200.00 di

Cor•-2 4o-

Così deciso i

a, il 23 febbraio 2016

Il Consigli

sore

Il Presidente

Questa Corte, infatti, ha più volte affermato che allorché non tutti i motivi di

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