Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23003 del 16/01/2015

Penale Sent. Sez. 2 Num. 23003 Anno 2015
Presidente: IANNELLI ENZO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso prosto da:
A.A.
B.B.
avverso la sentenza n. 191/ 2014 della Corte di appello di Torino emessa in data 16.01.2014
che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino n. 274/2009, condanna
B.B. alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione ed euro 200,00 di multa; e
A.A. alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ed euro 280,00 di multa per il
reato loro ascritto ex artt. 81 cpv., 99, 110 e 643 c.p. Ordina la sospensione condizionale della
pena per B.B..
Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giovanni Diotallevi.
Udite le conclusioni del P.G., in persona del Sostituto Procuratore Enrico Delehaye, che ha
concluso per la declaratoria di annullamento senza rinvio per essere il reato estinto per morte
dell’imputato A.A. e per il rigetto del ricorso di B.B..

RITENUTO IN FATTO

A.A. e B.B., difesi dai rispettivi avvocati di fiducia Gianfranco Ferreri e
Andrea Aliprandi, ricorrono per Cassazione avverso la la sentenza n. 191/ 2014 della Corte di
appello di Torino emessa in data 16.01.2014 che, in parziale riforma della sentenza del
Tribunale di Torino n. 274/2009 ha condannato B.B. alla pena di anni uno e mesi
dieci di reclusione ed euro 200,00 di multa; e A.A. alla pena di anni due e mesi sei di
reclusione ed euro 280,00 di multa per il reato loro ascritto ex artt. 81 cpv., 99, 110 e 643 c.p.
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Data Udienza: 16/01/2015

Ha ordinato la sospensione condizionale della pena per B.B..
Chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato, propongono due distinti ricorsi con i
quali rispettivamente,
1. B.B. deduce:
A) Ai sensi dell’art. 606 lett. b) cod.proc.pen. l’inosservanza ed erronea applicazione della
legge penale in relazione all’art. 643 cod.pen. e agli artt. 187, 190, 192, 546 lett. e)
cod.proc.pen. Nonché, ai sensi dell’articolo 606 lett. e) cod.proc.pen. un’errata valutazione dei
pretesi elementi indiziari ed un coevo vizio di motivazione.

in concorso con il A.A., la sussistenza dell’attività d’induzione ed abuso della persona
offesa, elementi costitutivi la fattispecie di reato in esame, nonostante non ci sia un quadro
probatorio sufficientemente solido ed orientato univocamente in tale senso. Infatti, secondo la
difesa, il fatto che l’odierno ricorrente abbia richiesto al Notaio Filippone la ricezione dell’atto di
rinuncia anche con urgenza non dimostrerebbe che questi abbia posto in essere attività
persuasive, dato che l’urgenza era unicamente determinata dal fatto che il decreto ingiuntivo,
ormai irrevocabile, avrebbe consentito l’iscrizione di un’ipoteca giudiziale, financo alla
concessione titolata di credito a terzi. Inoltre, la difesa contesta che la sollecitazione fatta alla
persona offesa di firmare tale atto di rogito nonché la lettera del 02.08.2007, con cui
quest’ultima avrebbe ricusato il mandato ai propri avvocati, siano stati unicamente opera del
figlio del Salerno. Lo stesso dicasi per l’atto a rogito Notaio Martucci del 27.09.2007. La difesa
sostiene, altresì, che non sarebbe ravvisabile alcuna instaurazione di un rapporto squilibrato
fra vittima ed agente, richiesto per la configurazione del reato di circonvenzione di incapace,
dato che lo B.B. avrebbe avuto occasione di incontrare la persona offesa solo una volta,
alla presenza di un pubblico ufficiale.
B) Ai sensi dell’art.606 lett. b) cod. proc.pen., la violazione e falsa applicazione della legge
penale in relazione all’art. 643 cod.pen. e agli artt. 187, 190, 192 co.2, 546 lett e)
cod.proc.pen. Nonché, ai sensi dell’articolo 606 lett. e) cod.proc.pen. un errata valutazione dei
pretesi elementi indiziari ed un coevo vizio di motivazione.
Il ricorrente si duole del fatto che la Corte distrettuale, nel ritenere la sussistenza dello stato di
infermità della persona offesa e soprattutto, la riconoscibilità da parte dello B.B. di tale
menomata condizione psichica al momento della redazione degli atti in questione, avrebbe
compiuto un ragionamento artificioso e meramente presuntivo, omettendo di prendere in
esame una serie di elementi prodotti nel corso del processo dalla difesa, idonei ad affermare,
invece, che lo stato della persona offesa al tempo degli ascritti reati era sostanzialmente
impescrutabile. A tale riguardo viene rilevato che entrambi gli atti fondamentali in questa
vicenda sono stati sottoscritti dinanzi a due notai diversi che hanno ben potuto indagare la
capacità e volontà delle parti al momento della compilazione; orbene nessuno dei due avrebbe
riscontrato alcun segno di infermità mentale tale da poter essere ostativo alla sottoscrizione
degli atti. Lo stato di degenerazione mentale, inoltre, non sarebbe stato riconoscibile da terzi
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Il ricorrente si duole del fatto che la Corte distrettuale abbia riconosciuto in capo all’imputato,

aventi sporadici contatti con il Salerno ( tale sarebbe il rapporto tra l’imputato e la persona
offesa secondo la difesa) né al tempo della perizia Jaretti Sodano, su incarico del PM, né al
tempo dell’audizione del Salerno avanti al Giudice Tutelare.
C) Ai sensi dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc.pen., vizio di omessa motivazione sulle
censure di appello in ordine alla dedotta inosservanza della legge civile ai sensi degli artt. 633
e 634 cod.proc.civ. e art. 1988 cod.civ.
Il ricorrente si duole del fatto che la sentenza impugnata ometta completamente di motivare
in relazione all’eccezione, sollevata in sede di appello, secondo cui dai documenti prodotti non

confronti della SPEDI srl, né che la scrittura sottoscritta dal A.A. poteva essere qualificata
come promessa unilaterale o ricognizione di debito. Rileva inoltre il ricorrente che il cosiddetto
credito era già prescritto al tempo della diffida di pagamento inviata alla Spedi dagli avvocati
della persona offesa, rispetto alla pretesa ricognizione di debito.
D) Ai sensi dell’art.606 lett. b) cod. proc.pen., la violazione e falsa applicazione della legge
penale in relazione all’art. 643 cod.pen. e agli artt. 112, 166 e 167 cod.proc.pen. nonché, ai
sensi dell’articolo 606 lett. e) cod.proc.pen. un coevo vizio di motivazione.
Anche alla luce delle considerazioni svolte nel precedente motivo di doglianza l’inesistenza del
credito che la persona offesa avrebbe vantato nei confronti della Spedi srl renderebbe evidente
la non pregiudizialità sia della scrittura privata autenticata nella firma dal Notaio Filippone in
data 8.05.2007, sia dell’atto di rogito del Notaio Martucci del 27.09.2007 di rinuncia agli atti
della causa di opposizione al decreto ingiuntivo. Il ricorrente osserva, inoltre, che dalla
comparsa di risposta inviata dal legale della persona offesa alla Spedi, non sarebbe stato
possibile desumere né tantomeno compiere degli accertamenti circa l’incapacità mentale del
Sig. Salerno; inoltre non ci sarebbe alcuna motivazione circa le conseguenze favorevoli che
tale atto di rinuncia avrebbe prodotto per la suddetta società e per l’imputato.
E) Ai sensi dell’art.606 lett. d) cod.proc.pen., la mancata assunzione di prove decisive sullo
stato e sulla non riconoscibilità da parte di terzi dell’infermità psichica della persona offesa.
Il ricorrente si duole del fatto che la Corte distrettuale abbia omesso di motivare in relazione
alla richiesta, formulata dalla difesa ai sensi dell’art.495 cod. proc.pen., dell’acquisizione di due
distinti atti giudiziari, nello specifico due comparse di risposta recanti la firma, autenticata da
parte di un professionista, della persona offesa ed i correlativi verbali di conciliazione
giudiziale. La difesa rileva l’efficace valenza probatoria di siffatta documentazione perché
presenta una datazione successiva al giorno in cui il Salerno, cadendo, avrebbe fortemente
compromesso le sue capacità mentali; in questo modo sarebbe provato o che il Salerno non
era incapace ( confutando le ricostruzioni dei periti dell’accusa) o almeno che tale presunta
incapacità non era riconoscibile agli occhi di terzi ( nel caso di specie, quelli dell’Avvocato
Piacenza).
F) Ai sensi dell’art.606 lett. d) cod.proc.pen., la mancata assunzione di prove decisive in
relazione al cd. atto Martucci.
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poteva desumersi con certezza la sussistenza del credito vantato dalla persona offesa nei

Il ricorrente lamenta l’omessa motivazione in merito alla richiesta, formulata in sede di
istruttoria dibattimentale, di escussione di un teste nella persona dell’avvocato Visca. Tale
professionista, con le sue dichiarazioni, avrebbe incontrovertibilmente comprovato quanto
sostenuto dal ricorrente e cioè che al momento di redigere l’atto di rinuncia dinanzi al notaio
Martucci l’imputato si era trovato per tutto l’arco della giornata presso lo studio legale del
teste.
G) Ai sensi dell’articolo 606 lett. e) cod.proc.pen. la mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione in merito alla valutazione della scrittura privata del 29.10.2006

La difesa lamenta un’illogicità manifesta della sentenza impugnata laddove, al momento di
assolvere gli imputati in merito alla vicenda in esame, avrebbe ritenuto il documento de quo
indispensabile ai fini della decisione mentre, a seguito dell’accertamento, essa sarebbe
divenuta priva di significato ed inidonea a negare l’esistenza del credito del Salerno nei
confronti della Spedi srl.
H) Ai sensi dell’art.606 lett. b) cod. proc.pen., la violazione e falsa applicazione della legge
penale in relazione all’art.175 cod.proc.pen.
La difesa si duole dell’omessa motivazione in merito alla richiesta di concessione dei doppi
benefici. Nonché, ai sensi dell’articolo 606 lett.e) cod.proc.pen. un coevo vizio di motivazione.
La difesa dell’imputato B.B. ha prodotto memoria con la quale ribadisce la richiesta di
accoglimento dei sopraesposti motivi di gravame, rileva la prescrizione del reato a far data
dall’otto novembre 2014 e deduce altri due motivi di ricorso.
I) Ai sensi dell’art.606 lett. b) cod. proc.pen., la violazione e falsa applicazione della legge
penale in relazione all’art. 643 cod.pen.
Il ricorrente si duole del fatto che la Corte distrettuale avrebbe riconosciuto in capo a
quest’ultimo la condotta delittuosa di circonvenzione di incapace senza dimostrare né motivare
l’effettiva sussistenza dell’elemento oggettivo della fattispecie delittuosa consistente nel
conseguimento da parte dell’attore di un profitto ingiusto.
L) Ai sensi dell’art.606 lett. b) cod. proc.pen., la violazione e falsa applicazione della legge
penale in relazione all’art. 592 cod.proc.pen.
Infine la difesa lamenta l’illegittimità della statuizione sulla condanna alle spese delle parti
civili, pronunciata in mancanza di una doppia decisione conforme.
2. A.A., ai sensi dell’art.606 lett. d) ed e) cod.proc.pen., deduce:
A) L’omessa motivazione in relazione alla riserva, assunta con l’ordinanza del 08.04.2013,
con la quale la Corte territoriale riservava al merito la decisione in punto di accoglimento o
reiezione della richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento proposta dalla difesa.
B)

La contraddittorietà della sentenza in relazione alla riconosciuta responsabilità

dell’imputato rispetto al contenuto motivazionale ed all’impianto logico della sentenza di prime
cure.
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riconducibile all’avv.to Salerno.

CONSIDERATO IN DIRITO

1. Il ricorso dell’imputato B.B. è manifestamente infondato.
2. In relazione al primo motivo di doglianza, la Corte osserva che in apparenza si deducono vizi
della motivazione ma, in realtà, si prospetta una valutazione delle prove diversa e più
favorevole al ricorrente, ciò che non è consentito nel giudizio di legittimità. Si prospettano,
cioè, questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di

principi di diritto enunciati da questa Corte, come quella del provvedimento impugnato che,
pertanto, supera il vaglio di legittimità. (Cass. sez. 4, 2.12.2003, Elia ed altri, 229369; SU n°
12/2000, Jakani, rv 216260).
Per una corretta disamina del ricorso appare opportuno ribadire i consolidati principi che
regolano la materia della circonvenzione di persone incapaci ed in particolare quello secondo
cui, ai fini dell’integrazione dell’elemento materiale del delitto di circonvenzione di incapace,
devono concorrere: (a) la minorata condizione di autodeterminazione del soggetto passivo
(minore, infermo psichico e deficiente psichico) in ordine ai suoi interessi patrimoniali; (b)
l’induzione a compiere un atto che comporti, per il soggetto passivo e/o per terzi, effetti
giuridici dannosi di qualsiasi natura, che deve consistere in un’apprezzabile attività di pressione
morale e persuasione che si ponga, in relazione all’atto dispositivo compiuto, in rapporto di
causa ad effetto; (c) l’abuso dello stato di vulnerabilità del soggetto passivo, che si verifica
quando l’agente, ben conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza
per raggiungere il fine di procurare a sé o ad altri un profitto.
Innanzitutto, per quanto concerne la condotta dolosa, giova ricordare la consolidata
giurisprudenza, che questa Corte condivide, per cui le condotte di abuso e di induzione
consistono rispettivamente in qualsiasi pressione morale idonea al risultato avuto di mira
dall’agente e in tutte le attività di sollecitazione e suggestione capaci di far sì che il soggetto
passivo presti il suo consenso al compimento dell’atto dannoso (sent. n. 31320 del 01/07/2008
– Rv. 240658). Il concetto di induzione, che si configura come un elemento del tutto distinto e
non va confusa col mezzo usato (atto giuridico), postula una attività positiva diretta a
determinare o, quantomeno, a rafforzare (ostacolando ripensamenti) nel soggetto passivo il
proposito di compiere un determinato atto giuridico per lui pregiudizievole. Invero, indurre vuol
dire convincere, influire sulla volontà altrui, e quindi esige da parte dell’agente uno stimolo che
poi determina il soggetto passivo al compimento dell’atto dannoso. Pertanto, non basta che
l’agente si giovi delle menomate condizioni psichiche del soggetto passivo come non possono
ritenersi sufficienti semplici richieste rivolte alla vittima, essendo invece necessaria un’attività
apprezzabile di suggestione, di pressione morale, di persuasione per determinare la volontà
minorata del soggetto passivo (v. fin da Sentenza n. 9731 del 24/06/1985-Rv. 170826).
Quando la persona offesa si trovi nella situazione di poter essere inabilitata a causa di
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legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi di logica, coerente con i

condizioni psichiche così precarie da privarla gravemente della capacità di discernimento e di
autodeterminazione, la prova dell’induzione può essere desunta in via presuntiva, potendo
consistere in un qualsiasi comportamento dell’agente cui la vittima non sia in grado di opporsi
e che la porti a compiere in favore dell’autore del reato atti per sé pregiudizievoli e privi di
causale alcuna, che in condizioni normali non avrebbe compiuto. (Sentenza n. 4816 del
15/01/2010 – Rv. 246279). La prova della condotta induttiva può essere tratta anche da
elementi indiziari e prove logiche, avendo riguardo alla natura dell’atto, all’oggettivo
pregiudizio da esso derivante e ad ogni altro accadimento connesso al suo compimento

Orbene, correttamente conformandosi alla succitata giurisprudenza, la Corte di appello, con
una motivazione esaustiva, scevra da vizi di logicità nonché coerente con le risultanze
processuali, ha ritenuto sussistente in capo ad entrambi gli imputati la condotta delittuosa de
quo. Difatti, appare incontestabile la natura pregiudizievole ed illogica degli atti di rinuncia del
credito e di revoca del mandato difensivo, tenuto conto che in questo modo il Salerno ha
vanificato il tentativo di recuperare un credito di notevole entità che, anche alla luce delle
testimonianze dei suoi familiari, egli stesso riteneva necessario per risollevare le sorti della sua
gravosa situazione economica. Tale natura del tutto illogica degli atti è stata giustamente
ritenuta particolarmente significativa ai fini della dimostrazione dell’attività induttiva, così come
la condotta tenuta dagli imputati in concomitanza della realizzazione dei suddetti documenti è
apparsa di evidente significato probatorio,(si vedano le pagg.25-28 e 31 della sentenza
impugnata); tutto ciò in modo perfettamente aderente al sopraesposto principio di diritto
secondo cui la relativa prova non deve di necessità poggiare su episodi specifici di suggestione
e pressione morale, ben potendo il convincimento sul punto essere fondato su elementi
indiretti e indiziari o su prove logiche, tratte dal complessivo contesto dei rapporti tra le parti e
dagli accadimenti più strettamente connessi al compimento degli atti pregiudizievoli.
Anche in merito alla responsabilità del singolo imputato B.B., questa Corte rileva che i
Giudici di merito hanno provveduto a motivare in modo pieno ed esaustivo, coerente con le
risultanze processuale e aderente ai principi di diritto. In particolare giova ricordare il principio,
fatto proprio dal Collegio, secondo cui ai fini della sussistenza del concorso di persone nel
reato, se non occorre la prova di un previo concerto tra i concorrenti, è necessario, nondimeno,
dimostrare che ciascuno di essi abbia agito per una finalità unitaria con la consapevolezza del
ruolo svolto dagli altri e con la volontà di agire in comune. Inoltre, nel caso in cui taluno abbia
deciso di subentrare in un progetto criminoso da altri intrapreso, è necessaria una più attenta
motivazione del giudice dì merito in ordine al dolo di partecipazione, occorrendo la
dimostrazione che il subentrante conoscesse quanto già realizzato dai singoli compartecipi,
quanto fosse ancora da realizzare e quali fossero i compiti specifici di ciascuno. ( ex multis
SS.UU. n. 31/2001-Rv. 218525; sent.n.25705 del 21/03/2003-Rv. 225935) Ed ancora: in tema
di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un
previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, in quanto
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(Sentenza n. 6078 del 09/01/2009 – Rv. 243449).

l’attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da qualsiasi comportamento
esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione,
organizzazione od esecuzione, alla realizzazione dell’altrui proposito criminoso. Ne deriva che a
tal fine assume carattere decisivo l’unitarietà del “fatto collettivo” realizzato che si verifica
quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi postumo,
integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è
sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla
condotta altrui. (sent. n. 25894 del 15/05/2009- Rv. 243901). Appare, pertanto,

ritenuto pienamente condivisibile le argomentazioni svolte dal giudice di prime cure circa
l’acquisizione di numerosi elementi di prova (pagg. 33-34 della sentenza) più che sufficienti
per affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che lo B.B. abbia contribuito
consapevolmente e fattivamente alla realizzazione dell’ episodio delittuoso ex art. 643 cod.pen.
Infatti, non solo l’imputato si è materialmente attivato a redigere gli atti e sollecitare l’incontro
con il notaio Filippone ma egli ha, altresì, tenuto una condotta palesemente contraria alla
buona fede, nonché in netto contrasto con il corretto esercizio della sua professione forense (
emblematica in tal senso appare la circostanza, evidenziata dai giudici di merito della totale
mancanza di una qualsivoglia reazione successiva al recepimento della comparsa di
costituzione e risposta dell’avv. Pellerito in cui si dava dettagliatamene conto delle gravi
condizioni di menomazione psichica in cui versava il Salerno).
3. In relazione al secondo motivo di doglianza la Corte osserva che i Giudici di merito hanno
già provveduto a motivare in modo pieno ed esaustivo, scevro da qualsivoglia vizio di logicità,
coerente con le risultanze processuali e conforme ai principi di diritto sul punto. Peraltro, è
appena il caso di ricordare che le valutazioni di merito sono insindacabili nel giudizio di
legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi
giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie.
Difatti, in tema d’incapacità del circonvenuto, è consolidato l’orientamento giurisprudenziale
secondo cui, tale stato pur non dovendo necessariamente consistere in una vera e propria
malattia mentale, deve comunque provocare una incisiva menomazione delle facoltà di
discernimento o di determinazione volitiva, tale da rendere possibile l’intervento suggestivo
dell’agente; deve cioè essere esclusa la capacità del circonvenuto di avere cura dei propri
interessi. La sussistenza di questa condizione di incapacità del soggetto passivo costituisce un
presupposto del reato e pertanto il giudizio di colpevolezza può fondarsi solo sull’assoluta
certezza della sua sussistenza. (ex multis sent. 15185 del 25/03/2010- Rv. 247018; sent. n.
17762 del 11/04/2014 – Rv. 259563). I Giudici di merito, uniformandosi a tale principio di
diritto, hanno riconosciuto giustamente che, quantomeno dal giorno successivo alla caduta,
l’avv.to Salerno versasse in condizione di circonvenibilità per infermità e deficienza psichica. La
Corte territoriale è pervenuta a tale conclusione attraverso una motivazione costruita mediante
un iter argomentativo pienamente logico e soprattutto coerente e congruo con le risultanze
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perfettamente aderente a tali principi di diritto la valutazione della Corte territoriale con cui ha

processuali. In particolare, lo stato della persona offesa è stato accertato alla luce non solo
delle deposizioni testimoniali dei familiari e del medico curante, ma anche della consulenza
svolta dal CT dell’accusa e dall’audizione con il Giudice tutelare tutte concordi nel riconsocere
un grave stato di deficienza psichica della persona offesa.
Per quanto concerne, inoltre, la riconoscibilità dello stato di salute assolutamente
compromesso dell’anziano avv.to da parte dello B.B. questa Corte ha già stabilito che la
consapevolezza, da parte dell’agente, dello stato anomalo del soggetto passivo può essere
legittimamente desunta dalla evidenza di atti immotivati di disposizione patrimoniale, dalla

( sent. n. 40383/2006 del 04/10/2006 ). La motivazione della sentenza impugnata appare,
pertanto, conforme a tale principio nella parte in cui, dopo aver rilevato la natura illogica degli
atti attribuiti al Salerno, ha ritenuto che il frettoloso concatenarsi degli eventi che avevano
condotto alla redazione di tali documenti, (peraltro proprio avviato dalla immediata solerzia
dello B.B. nel contattare il notaio) non troverebbe alcuna spiegazione se non nella presa
di coscienza da parte dell’imputato ( direttamente edotto dal figlio della vittima) della
sopravvenuta infermità della vittima. Peraltro, la vicenda della comparsa di costituzione e
risposta inviata dall’avvocato della famiglia Salerno allo B.B. , nella quale si dava conto
della grave infermità dell’anziano, è già un ulteriore elemento probante della consapevolezza
dell’imputato circa lo stato di incapacità della vittima.
4. Anche in relazione al terzo motivo di doglianza la Corte osserva che con il ricorso, in
apparenza si deducono vizi della motivazione ma, in realtà, si prospetta una valutazione delle
prove diversa e più favorevole al ricorrente, ciò che non è consentito nel giudizio di legittimità;
si prospettano, cioè, questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa
in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi di logica, coerente
con i principi di diritto enunciati da questa Corte, come quella del provvedimento impugnato
che, pertanto, supera il vaglio di legittimità. (Cass. sez. 4, 2.12.2003, – rv. – 229369; SU n°
12/2000, Jakani, rv – 216260). Difatti, il ragionamento operato dai Giudici di merito in
relazione alla sussistenza del credito vantato dalla persona offesa appare, anche in questo
caso, saldamente ancorato alle risultanze processuali. Nel ricorso, sul punto, si prospettano
esclusivamente valutazioni di elementi di fatto, divergenti da quelle cui è pervenuto il giudice
d’appello con motivazioni congrue ed esaustive, previo specifico esame degli argomenti
difensivi attualmente riproposti. Peraltro, giova ricordare la consolidata giurisprudenza civile
secondo cui la ricognizione di debito, consistendo in una dichiarazione unilaterale recettizia,
non integra una fonte autonoma di obbligazione ma ha effetto confermativo di un preesistente
rapporto fondamentale, comportando soltanto l’inversione dell’onere della prova dell’esistenza
di quest’ultimo, sicché è destinata a perdere efficacia qualora la parte da cui provenga dimostri
che il rapporto medesimo non sia stato instaurato, o sia sorto invalidamente ( Cass. Civile
sent. n. 13506 del 13/06/2014 (Rv. 631306); orbene, tale onere probatorio non può ritenersi
essere stato soddisfatto dal ricorrente.
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donazione di beni di cospicuo valore e dalla stessa arrendevolezza dimostrata dal circonvenuto

5. In merito al quarto motivo di doglianza la Corte rileva che tale motivo di gravame è stato
già proposto in sede di appello ed ha ricevuto una ciongrua valutazione dai giudici di merito.
Orbene, questo Collegio, secondo un consolidato principio di diritto, ritiene che nel ricorso per
Cassazione contro la sentenza di appello non può essere riproposta – ferma restando la sua
deducibilità o rilevabilità “ex officio” in ogni stato e grado del procedimento – una questione
che aveva formato oggetto di uno dei motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata
in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici, come è avvenuto nel caso di specie.
Più specificamente, è opportuno sottolineare che il reato di circonvenzione di incapace si

capace di procurare un qualsiasi effetto giuridico dannoso per la persona offesa o per altri. ( ex
multis sent. n. 27412 del 23/04/2008 – Rv. 240733). Per la configurabilità di siffatta fattispecie
delittuosa non occorre che l’effetto dannoso consegua all’atto indotto come sua conseguenza
giuridica immediata e che, quindi, l’attitudine a determinare un danno o un pericolo di danno
costituisca una manifestazione tipica dell’atto stesso, ma è sufficiente che questo, determinato
dal dolo o dalla frode dell’agente, sia idoneo ad ingenerare un pregiudizio o un pericolo di
pregiudizio per il soggetto passivo che l’ha posto in essere o per altri. ( sent. n.2063

del

13/04/2000 – Rv. 215913). Peraltro, sebbene sia necessario accertare la sussistenza del dolo
specifico di procurarsi un profitto ingiusto, esso può essere di carattere anche non
necessariamente patrimoniale, essendo sufficiente che si ingeneri un pericolo di pregiudizio per
il soggetto passivo. (sent. n. 48537 del 01/12/2004 – Rv. 230488). Uniformandosi alla sopra
citata giurisprudenza, la Corte di appello ha provveduto a motivare, in merito alla natura
pregiudizievole per il Signor Salerno sia della scrittura privata autenticata nella firma del notaio
Filippone sia dell’atto di rogito del notaio Martucci, in modo pieno ed esaustivo, e soprattutto
coerente con le risultanze processuali. Difatti, non si ravvisa alcuna lacuna né contraddizione
motivazionale nel ritenere tali documenti del tutto illogici rispetto ad una situiazione di normale
capacità di autodeterminazione dell’anziano avvocato, nonchè profondamente lesivi della sua
sfera patrimoniale, posto che lo stesso aveva più volte manifestato la volontà di recuperare il
credito ingente (come risulta dalla testimonianze dei familiari ma anche e soprattutto dallo
scambio epistolare con il A.A. nel tentativo di arrivare ad un recupero bonario della
somma). Allo stesso modo, è corretta la qualifica di atto pregiudizievole del rogito posto che in
questo modo si è scientemente evitata ogni possibile verifica del giudicante civile circa le
modalità di redazione della rinuncia dell’ 08.05.2007.
6. Il quinto ed il sesto motivo possono essere trattati congiuntamente.
Osserva la Corte che la nuova formulazione dell’art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc.
pen., introdotta dall’art. 8 L. 20 febbraio 2006 n.46, non ha avuto influenza sulla nozione di
decisività della prova, per cui deve continuare a ritenersi che per “prova decisiva” sia da
intendere unicamente quella che, non incidendo soltanto su aspetti secondari della motivazione
(quali, ad esempio, quelli attinenti alla valutazione di testimonianze non costituenti
fondamento della decisione) risulti determinante per un esito diverso del processo, nel senso
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configura come un reato di pericolo che si consuma nel momento in cui viene compiuto l’atto

che essa, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da
dimostrare che, ove fosse stata esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa
pronuncia. (sent. n. 16354 del 28/04/2006 – Rv. 234752). Ed ancora, deve ritenersi prova
decisiva quella la cui mancata acquisizione abbia inciso a tal punto sulla decisione da portare
ad una motivazione basata su affermazioni apodittiche o congetturali da parte del decidente,
ma non quella che, in presenza di motivazione fondata su prove acquisite agli atti del
processo, ipoteticamente può essere indicativa di elementi fattuali non contrastanti con quelli
probatoriamente accertati.(sent. n. 3182 del 17/01/1995 – Rv. 200690; sent. n. 7747 del

costituire motivo di ricorso per cassazione solo quando essa, confrontata con le argomentazioni
addotte in motivazione a sostegno della decisione, risulti determinante per un esito diverso del
processo e non si limiti ad incidere su aspetti secondari della motivazione. (sent. n.21884 del
20/03/2013 – Rv. 255817). Orbene, alla luce di tali principi di diritto, non è possibile qualificare
come decisive le testimonianze di cui la difesa ha chiesto l’acquisizione, dato che i risultati che
la parte richiedente si propone di ottenere dal negato esperimento probatorio, confrontati con
le altre ragioni poste a sostegno della decisione, non possono condurre ad una diversa
valutazione degli elementi già legittimamente e regolarmente acquisiti. Sotto questo profilo il
quadro probatorio ricostruito dalla Corte di appello risulta coerente con le risultanze processuali
secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito che sfugge al sindacato di
legittimità ove abbia formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi logici e giuridici,
come nel caso di specie.
7. Il settimo motivo di doglianza può essere trattato unitamente al nono motivo, dedotto con
memoria.
In relazione a tali doglianze questa Collegio rileva che la Corte di appello ha già provveduto a
motivare in modo pieno ed esaustivo, nonché coerente con le risultanze processuali nonchè
aderente ai principi di diritto.
Difatti, i Giudici di merito al momento di pronunciarsi in merito all’assoluzione dei ricorrenti ,
per altro solo ai sensi del secondo comma dell’articolo 530 cod.proc.pen., hanno ritenuto che la
lettera del 29.10.2006 fosse del tutto generica ed in quanto tale priva di significativa valenza
probatoria in merito alla dismissione del credito da parte della vittima.
Non risulta, pertanto, sussistere alcun vizio di illogicità o contraddizione della motivazione nella
parte in cui, pur avendo escluso la responsabilità penale in merito alla vicenda della lettera de
quo, gli imputati siano stati ritenuti colpevoli del reato ascrittogli. Consolidato è il principio di
diritto, che questa Corte condivide, secondo cui ai fini della configurabilità del delitto di
circonvenzione di persona incapace, di cui all’art. 643 cod. pen., è necessario il dolo specifico
di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto di carattere non necessariamente patrimoniale,
ed è sufficiente che si ingeneri un pericolo dì pregiudizio per il soggetto passivo, atteso che
trattasi di reato di pericolo. (sent. n. 48537 del 01/12/2004 – Rv. 230488). La decisione dei
Giudici di merito, pertanto, risulta conforme a tale orientamento giurisprudenziale in quanto,
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23/05/1996 – Rv. 205528). Di conseguenza, la mancata assunzione di una prova decisiva può

dopo aver escluso che la lettera potesse valere come significativo elemento di prova circa
l’inesistenza del credito vantato dalla vittima, sulla base delle risultanze processuali e di un
articolato e concordante quadro probatorio, ha correttamente riconosciuto la sussistenza in
capo all’imputato del dolo specifico richiesto consistente, appunto, nel perseguire un profitto
ingiusto, così come richiesto dalla fattispecie delittuosa.
8. In riferimento all’ottavo motivo di doglianza la Corte osserva che i Giudici di merito hanno
provveduto a motivare anche su questo punto in modo pieno ed esaustivo nonché coerente
con i principi di di diritto. In particolare la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla

necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale,
potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod.
pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il
richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere. (sent. n.36245 del 26/06/2009 Rv. 245596). Orbene i Giudici di merito non solo hanno motivato coerentemente con tale
principio di diritto ma hanno, altresì, provveduto a precisare in modo puntuale e coerente l’iter
argomentativo che li ha portati a ritenere congruo il trattamento sanzionatorio posto in capo
all’imputato, legittimamente ponendo l’accento sulla gravità del fatto e la condotta dello
B.B..
9. In riferimento alla prescrizione del reato (eccepita nella memoria) si rileva che, considerato
l’atto di rinuncia dell’08.05.2007 come episodio delittuoso più grave cui parametrare la pena
base nonché la contestata continuazione ex art. 81 cod.pen., la prescrizione del termine
decorrerà solo a far data dal 29 aprile 2017.
10. Infine, per quanto concerne l’ultimo motivo di gravame ( dedotto con la memoria) la Corte
osserva che nella sentenza impugnata non si ravvisa alcuna violazione di legge in relazione
all’articolo 592 cod.proc.pen.
A tale riguardo, giova rilevare che il principio di diritto a cui fa riferimento la difesa secondo cui
” il giudice di appello che modifichi la decisione di primo grado in senso più favorevole
all’imputato non può contestualmente condannarlo alle spese processuali, in quanto tale
condanna consegue esclusivamente, e senza possibilità di deroghe, al rigetto
dell’impugnazione o alla declaratoria della sua inammissibilità” ( sent. n.46453 del 21/10/2008
– Rv. 242611) non trova alcuna ragione di applicazione nel caso di specie.
Difatti, la pronuncia del Giudice di appello in senso più favorevole al reo è solo ed
esclusivamente quella di assoluzione con formula piena (e non, si ribadisce, nel caso di rigetto
o inammissibilità del ricorso dell’imputato), come consolidato dalla giurisprudenza secondo cui:
la violazione del principio della soccombenza, in ordine al regolamento delle spese da parte del
giudice di merito, deve ravvisarsi soltanto nella ipotesi in cui l’imputato sia totalmente
vittorioso, nel senso che lo stesso sia stato assolto con formula preclusiva dell’azione civile,
mentre è legittima la condanna dell’imputato al pagamento delle spese verso la parte civile sia
quando la responsabilità sia stata confermata, pur in presenza di un accoglimento parziale
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quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è

dell’impugnazione dell’imputato sotto altri profili ( sent. n. n.46453 del 21/10/2008 – Rv.
242611; sent. n. 6419 del 19/11/2014 – Rv. 262685), sia nel caso in cui la responsabilità sia
confermata in appello ma la pena sia stata ridotta ( sent. n 44777 del 02/10/2007 – Rv.
238660), come avvenuto nel caso di specie.
B. Con riferimento al ricorso promosso dall’imputato A.A., la Corte rileva che nei
confronti dello stesso la sentenza deve essere annullato perché il reato è estinto per morte
dell’imputato.
10. È appena il caso di rilevare, incidentalmente, che le argomentazioni espresse con l’atto di

probatori a quella già espressa dal giudice della cognizione in modo pieno ed esaustivo, nonché
coerente con le risultanze processuali ed i principi di diritto.
11. Ciò posto va’ rilevato che, nelle more del procedimento, in data 05.09.2014 , è intervenuto
il decesso dell’imputato, come risulta dal certificato di morte rilasciato in data 12.12.2014,dal
Comune di Gassino Torinese, e in atti. Per l’effetto, i reati contestati al medesimo si sono
estinti, ai sensi dell’art. 150 c.p., con la conseguenza che la sentenza impugnata, per quanto
riguarda le statuizioni relative, deve essere annullata senza rinvio.
12. Deve per vero osservarsi che la morte dell’imputato, intervenuta successivamente alla
proposizione del ricorso per Cassazione, impone l’annullamento detto, con l’enunciazione della
relativa causale nel dispositivo, risultando esaurito il sottostante rapporto processuale, essendo
preclusa ogni eventuale pronuncia di proscioglimento nel merito ex art. 129 c.p.p., comma 2,
tanto più quando non risulti dal testo del provvedimento impugnato, come nel caso di specie,
l’evidenza di non responsabilità penale dell’imputato.( Sentenza n. 24507 del 09/06/2010 – Rv.
247790).
13. Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte annulla senza rinvio la sentenza
impugnata nei confronti di A.A. per essere il reato estinto per morte dell’imputato.
Dichiara inammissibile il ricorso di B.B. e, per il disposto dell’art.616 c.p.p.,
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal
ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM
annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di A.A. per essere il reato
estinto per morte dell’imputato. Dichiara inammissibile il ricorso di B.B. e, per il
disposto dell’art.616 c.p.p., condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 1000,00.

Ro

16 Gennaio 2015

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
SECONDA SEZIONE PENALE

gravame sono meramente in fatto e mirano a sovrapporre una propria valutazione dei dati

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