Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23002 del 14/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23002 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Bono Giovanni, nato a Ghisalba il 18.9.1953, avverso la sentenza
pronunciata in data 23.9.2011 dalla corte di appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente il difensore di fiducia, avv. Andrea Pezzotta
del Foro di Bergamo, che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.

Data Udienza: 14/11/2012

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza pronunciata il 23.9.2011 la corte di appello di
Brescia, in parziale riforma della sentenza con cui, in sede di
giudizio abbreviato, il giudice per le indagini preliminari presso il
tribunale di Bergamo aveva condannato alla pena ritenuta di

favore della costituita parte civile “Fallimento Coel s.r.l.” da
liquidarsi in separato giudizio, in data 16.7.2010, tra gli altri Bono
Giovanni, nella sua qualità di amministratore di fatto della società
“Coel s.r.l.”, dichiarata fallita dal tribunale di Bergamo con
sentenza del 10.11.2006, del reato di cui agli artt. 110, c.p., 216,
co. 1, n. 1 e n. 3, 219 e 223, legge fall., in relazione ad una
numerosa serie di episodi di bancarotta fraudolenta, patrimoniale
e documentale, elencati nei numeri da 1 a 15 del capo A)
dell’imputazione, nonché del reato di cui agli artt. 110, c.p., 218 e
225, legge fall., in relazione all’art. 218, r.d. 16.3.1942, n. 267
(capo B), assolveva il Bono dal reato di cui al capo A), con
riferimento ai singoli episodi di bancarotta fraudolenta
patrimoniale descritti nei punti n. 4) e n. 5) (ma con esclusione
della sola distrazione della somma di euro 30.000,00), nonché
all’episodio di bancarotta fraudolenta documentale di cui al punto
n. 9) (anche in questo caso, tuttavia, con esclusione della
mancata annotazione della suddetta somma di euro 30.000,00), e
da quello di cui al capo B), perché il fatto non sussiste,
rideterminando, di conseguenza, il trattamento sanzionatorio nei
confronti dell’imputato, con esclusione dell’aumento per la
disciplina della continuazione applicato nella sentenza di primo
grado, nella misura di anni uno mesi sette di reclusione, oltre

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giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti dal reato in

all’applicazione nei suoi confronti delle pene accessorie previste
per legge, omessa dal giudice di primo grado, confermando nel
resto l’impugnata sentenza.
Avverso la decisione della corte territoriale, della quale chiede
l’annullamento, ha proposto ricorso, a mezzo del suo difensore, il
Bono, articolando distinti motivi di impugnazione.
motivazione di cui all’art. 606, co. 1, lett. e) c.p.p., per avere la
corte territoriale affermato la responsabilità dell’imputato in
relazione all’episodio di bancarotta fraudolenta patrimoniale per
distrazione e documentale riguardante il mancato versamento sui
conti correnti della società fallita della somma di euro 30.000,00
che il Sono aveva ricevuto a titolo di corrispettivo di lavori
effettuati dalla sua impresa, dal legale responsabile della società
“Immobiltrenta s.r.l.” Cattaneo Andrea, per il tramite di Arici
Riccardo, legale responsabile della società “Ar.Ca. Costruzioni
s.r.l.”, in quanto dalle dichiarazioni rese nel corso del giudizio di
primo grado sia dal Cattaneo che dall’Arici risulta che mai il Bono
ha ricevuto tale somma, né risulta altrimenti provata tale
circostanza su cui si fonda l’assunto accusatorio.
Con il secondo motivo il ricorrente eccepisce il vizio di cui all’art.
606, co. 1, lett. b), c.p.p., in relazione all’art. 2639, c.c., avendo
errato la corte territoriale nell’affermare la responsabilità penale
del Bono per i reati contestatigli, fondandola sulla sua pretesa
qualità di amministratore di fatto, in realtà insussistente perché
priva del requisito dell’esercizio in modo continuativo e
significativo dei poteri propri della qualifica ovvero della funzione
di amministratore, tipico di tale figura, avendo svolto l’imputato
un ruolo di natura squisitamente tecnica all’interno della società

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Con il primo egli lamenta il vizio della manifesta illogicità della

fallita,

essendo

stato

incaricato

dalla

Baitieri

Claudia,

amministratrice di diritto e vero “dominus” dell’impresa,
semplicemente di curare i rapporti con i committenti e con i
fornitori della manodopera.
Inoltre, ad avviso del ricorrente, i giudici di merito non hanno
fornito alcuna motivazione in ordine ad un ulteriore presupposto

dell’amministratore di fatto: che il Bono, cioè, fosse a conoscenza
delle singole operazioni illecite di bancarotta fraudolenta
patrimoniale e documentale oggetto di contestazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di Bono Giovanni non può essere
accolto.
Al riguardo si osserva che il primo motivo di ricorso va dichiarato
inammissibile.
Con esso, infatti, il ricorrente, da un lato si limita a riproporre
questioni già proposte nei motivi appello e risolte in senso
sfavorevole per l’imputato dalla corte territoriale, dall’altro
prospetta censure di fatto, non consentite, come è noto, in sede
di legittimità.
Nel caso in esame, infatti, la corte territoriale, con motivazione
approfondita ed immune da vizi, rispondendo ai rilievi difensivi sul
punto, ha ritenuto sussistente in capo al Bono i reati di bancarotta
fraudolenta patrimoniale per distrazione e documentale, in ordine
alla somma di 30.000,00 euro.
Si tratta di un segmento della condotta descritta nei numeri 4, 5,
e 9 del capo A) dell’imputazione, relativi alla distrazione della

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indispensabile per l’affermazione della responsabilità penale

somma di euro 122.400,00, avvenuta attraverso l’emissione di
assegni in data 3.6.2005 in favore della “Ar. Ca. Costruzioni
s.r.l.”, di cui era amministratore di diritto Carini Silvano ed
amministratori di fatto Cilio Enrico ed Arici Riccardo, per il
pagamento di fittizie prestazioni di manodopera, apparentemente
rese da tale società, annotando le fatture relative a prestazioni
euro 50,000,00 ricevuta dall’amministratore di diritto della società
“Immobiletrenta s.r.l.”, di cui era amministratore Cattaneo
Andrea, per il tramite dell’Arici, a titolo di corrispettivo di lavori
eseguito dalla “Coel s.r.l.” presso il cantiere di Cornate d’Adda
della menzionata società, in uno con le relative falsificazioni ed
omesse annotazioni in contabilità, specificamente descritte nel n.
9 del capo A).
La corte territoriale, come si è detto, assolveva il Bono dal reato
sub n. 4, ritenendo che non vi fosse assoluta certezza in ordine
alla mancata esecuzione dei lavori, per i quali risultava che la “Ar.
Ca. Costruzioni s.r.l.” aveva fornito la manodopera, mentre in
relazione alla ipotesi sub. n. 5 e n. 9, considerava dimostrata solo
la corresponsione in favore della “Coel” ed il conseguente
occultamento della somma di euro 30.000,00, non anche
dell’ulteriore somma di euro 20.000,00.
Rilevava al riguardo la corte di appello come l’assunto difensivo
secondo cui la somma non sarebbe pervenuta alla società fallita
viene smentita dalla “quietanza rilasciata dalla società” e
dall’ulteriore circostanza “che lo stesso amministratore
dell’Immobiltrenta, Cattaneo Andrea, ha riferito di avere
consegnato l’assegno dell’Arici presso la sede della Coel”, per cui
sarebbe illogico ritenere che la società in questione abbia

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inesistenti, nonché all’occultamento della somma di complessivi

rilasciato, presso la propria sede, quietanza attestante l’avvenuto
pagamento, senza ritirare l’assegno (cfr. pp. 31-32 dell’impugnata
sentenza).
Inoltre, evidenzia la corte territoriale, “il pagamento da parte del
Cattaneo era funzionale allo sgombero del cantiere che la Coel
non voleva rilasciare senza ricevere il pagamento”, per cui
Cattaneo il pagamento di quanto preteso la Coel” non abbia
ritirato l’assegno, pur sgomberando il cantiere, come
sembrerebbe doversi implicitamente ritenere da quanto riferito dal
Cattaneo” (cfr. p. 3 dell’impugnata sentenza).
La circostanza, poi, che la polizia giudiziaria non abbia rinvenuto
traccia dell’assegno in questione sui conti correnti societari della
“Coel”, viene valutata dalla corte di appello, con ragionamento
logico ineccepibile, assolutamente irrilevante ai fini difensivi,
apparendo, al contrario, un apprezzabile elemento di conferma
dell’ipotesi accusatoria, posto che la finalità distrattiva appare del
tutto incompatibile con il deposito della somma distratta sui conti
correnti della società fallita (cfr. p. 3 dell’impugnata sentenza).
Ciò posto evidenti appaiono le ragioni che militano a favore della
inammissibilità del primo motivo di ricorso.
Ed invero va dichiarato inammissibile, ai sensi del combinato
disposto degli artt. 581, co. 1 , lett. c), e 591, co. 1, lett. c), il
ricorso per Cassazione fondato, come nel caso in esame, su
motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute
infondate dai giudici del gravame, dovendosi gli stessi considerare
non specifici, ed anzi, meramente apparenti, in quanto non
assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza
oggetto di ricorso.

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ugualmente illogico ipotizzare “che dopo avere ottenuto dal

La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere
apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza,
ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate della decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di

lett. c), c.p.p., all’inammissibilità (cfr. Cass., sez. IV, 18.9.1997 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Cass., sez. V, 27.1.2005 25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Cass., sez. V, 12.12.1996, n.
3608, p.m. in proc. Tizzani e altri, rv. 207389).
Allo stesso tempo attraverso i motivi di gravame, il ricorrente
prospetta, come si è detto, censure che si risolvono in una mera
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti, preclusa in sede di giudizio di cassazione
(cfr. Cass., sez. I, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507;
Cass., sez. VI, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, rv. 235510; Cass.,
sez. III, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508).
Non può non rilevarsi, infatti, come il controllo del giudice di
legittimità, pur dopo la novella dell’art. 606, c.p.p., ad opera della
I. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di
deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata
pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente
unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della
motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del
giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità, come
si è detto, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri

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mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, co. 1,

di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI,
26.4.2006, n. 22256, Bosco, rv. 234148).
Quanto al secondo motivo di ricorso, esso appare infondato.
Al riguardo si osserva che, come affermato da tempo nella
giurisprudenza di legittimità, in tema di reati fallimentari, il
soggetto che, ai sensi della disciplina dettata dall’art. 2639, c.c.,
da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto
l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre
condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale
responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui
addebitabili, tra i quali vanno ricomprese le condotte
dell’amministratore “di diritto”, anche nel caso di colpevole e
consapevole inerzia a fronte di tali condotte, in applicazione della
regola di cui all’art. 40, co. 2, c.p. (cfr. Cass., sez. V, 20/05/2011,
n. 39593, rv 250844; Cass., sez. V, 2/3/2011, n. 15065,
Guadagnoli e altro, rv. 250094).
Consolidato appare all’interno della giurisprudenza di legittimità
anche l’orientamento secondo cui la nozione di amministratore di
fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo
continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od
alla funzione, anche se “significatività” e “continuità” non
comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri
dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di
un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od
occasionale.
La posizione dell’amministratore di fatto, destinatario delle norme
incriminatrici

della

bancarotta

fraudolenta,

dunque,

va

determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che,

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assume la qualifica l’amministratore “di fatto” della società fallita è

regolando l’attribuzione della qualifica di imprenditore e

di

amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva

di

norme che sono sanzionate dalla legge penale. La disciplina
sostanziale si traduce, in via processuale, nell’accertamento di
elementi sintomatici di gestione o cogestione della società,

che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento
dell'”iter” di organizzazione, produzione e commercializzazione dei
beni e servizi – rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti
materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti – in
qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa,
contrattuale, disciplinare, con pienezza di supremazia decisionale.
Peraltro l’accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione
o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di
fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da
motivazione congrua e logica (cfr. Cass., sez. V, 14.4.2003, n.
22413, Sidoli, rv. 224948; Cass., sez. I, 12.5.2006, n. 18464,
Ponciroli, rv. 234254).
In conclusione può dunque affermarsi che in tema di bancarotta
fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 I.
fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate,
non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla
rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica
ricoperta (cfr. Cass., sez. V, 13.4.2006, n. 19145, Binda e altro,
rv. 234428).
Si è così ritenuto, in applicazione di tali principi, corretta la
attribuzione effettuata dai giudici di merito della qualifica di
amministratore di fatto al preposto al settore commerciale di un
piccolo organismo operante nel mercato del commercio, in

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risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus”

considerazione del peso decisivo rivestito da costui nella
conduzione della società ovvero ad un soggetto che aveva fornito
determinate garanzie personali alle banche, ponendo in essere,
inoltre, un’attività manipolatoria di bilanci e contabilità, a
dimostrazione del suo diretto interesse nella conduzione della
società e del concreto esercizio di un ruolo gestori°, confermato
Con particolare riferimento al reato di bancarotta fraudolenta
patrimoniale per distrazione, poi, si è affermato, con decisione
condivisa da questo Collegio, che affinché l’amministratore di fatto
di una società possa esserne ritenuto responsabile, occorre che
egli abbia posto in essere atti tipici di gestione, offrendo così un
contributo obiettivo alle decisioni adottate da chi è formalmente
investito della qualifica di amministratore, nella consapevolezza
delle implicazioni della condotta tipica del soggetto qualificato (cfr.
Cass., sez. I, 11/01/2012, n. 5063, G.M.).
Orbene la corte territoriale, con motivazione articolata, esauriente
ed immune da vizi, si è mossa nel solco interpretativo tracciato
dalla giurisprudenza di legittimità.
I giudici di merito, infatti, hanno individuato una pluralità di indici
di assoluto valore sintomatico della qualifica di “amministratore di
fatto” rivestita dal Bono, evidenziando: 1) come il Cattaneo
Andrea, rappresentante della “Immobiltrenta”, abbia dichiarato
che il Bono gli fu presentato dall’Arico come il “proprietario” della
“Coel” ed in tale veste si occupò della transazione presso la sede
della società fallita, all’esito della quale il Cattaneo versò la
somma di 30.000,00 euro che l’imputato pretendeva gli fosse
versata direttamente, ma che il Cattaneo versò, invece, all’Arici,
legale responsabile della “Ar.Ca”, la società che rappresentava la

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peraltro da testimonianze di dipendenti e fornitori.

t.

formale controparte della “Immobiltrenta”; 2) come una serie di
soggetti che vantavano crediti nei confronti della “Coel” (Nigro
Luciano, Farinotti Pietro e Bonfanti Diego) venissero indirizzati dai
dipendenti della società e dalla stessa amministratrice “di diritto”
Baitieri Claudia, al Bono, che si preoccupava di soddisfarne le
pretese; 3) come Scotti Vincenzo, legale responsabile della ditta

Bono di potere emettere una fattura dell’importo di 50.000,00
euro per lavori non ancora realizzati, anticipandogli tale somma,
in relazione alla quale riceveva una nota di credito, scoprendo
successivamente che nel 2005 erano state emesse dalla “Coel”, in
due distinte occasioni e nonostante le sue proteste rivolte
all’imputato, “Ri.Ba” fittizie, relative, cioè, a lavori non realizzati,
finalizzate, come lo stesso Bono gli aveva riferito, ad ottenere le
necessarie risorse in un momento di “tensione finanziaria” in cui
versava la “Coel” (cfr. pp. 35-37 dell’impugnata sentenza).
Appare, dunque, evidente, come affermato dalla corte territoriale,
che, contrariamente a quanto preteso dalla difesa, il Bono non
può essere relegato in un ruolo meramente secondario o tecnico,
partecipando egli a fianco dell’amministratore “di diritto” Baitieri,
“alle scelte vitali della società (tra cui anche le modalità di
finanziamento attraverso la pratica delle Ri.Ba fittizie) e
qualificandosi, talvolta, come il reale gestore della società stessa”
(cfr. p. 37 dell’impugnata sentenza), con ciò svolgendo un palese
ruolo di cogestione della società fallita.
Bene è stato individuato l’elemento soggettivo del reato
addebitato, consistente anche per l’amministratore “di fatto” nella
consapevole volontà dei singoli atti di distrazione e della idoneità
dei medesimi a cagionare danno ai creditori, stante la mancanza

11

(4

“Finscott” abbia rivelato di avere acconsentito alla richiesta del

di rispondenza di quegli atti ai fini istituzionali dell’impresa, in
considerazione, ad esempio, della natura fittizia o della entità
dell’operazione che incide negativamente sul patrimonio della
società (cfr. ex plurimis, Cass., sez. V., 24.3.2010, n. 16579,
Fiume, rv. 246879) e, con riferimento agli episodi di bancarotta

necessità che la condotta sia finalizzata allo scopo di di procurare
a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai
creditori in previsione della possibilità del fallimento (cfr. Cass.,
sez. V, 13.10.1993, n. 11329, Trombetta, rv. 195896).
Pertanto la corte di appello ha bene sottolineato la diretta
partecipazione dell’imputato all’attività di gestione dell’impresa in
cui si sono consumati i singoli episodi illeciti contestati a costui,
come riferito, tra gli altri, dalla stessa Baitieri, secondo la quale
l’imputato era costantemente presente alle attività gestionali,
“supervisionando i geometri della “Coel” ed i geometri delle ditte
che operavano in subappalto” (cfr. p. 37 dell’impugnata sentenza)
Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto
nell’interesse di Bono Giovanni va, dunque, rigettato, con
condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al
pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 14.11.2012

fraudolenta documentale, nel dolo specifico rappresentato dalla

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