Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2300 del 10/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 2300 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto dal

Procuratore generale presso la Corte di

appello di Venezia avverso la sentenza della Corte di appello veneta, 6 marzo
2013, pronunciata nei confronti di Deda Shpresim, nato il 7 marzo 1972 in
Albania,

Morina Luan, nato il giorno 7 dicembre 1978 in Albania, Dedej

Gentian nato il giorno 20 dicembre 1978 in Albania.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e le memorie di Deda e Dedej.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale
Eduardo Vittorio Scardaccione che ha concluso per il rigetto del ricorso, nonché il
difensore di Deda e Dedej che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 10/12/2013

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1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia ricorre
avverso la sentenza della Corte di appello veneta, 6 marzo 2013, pronunciata nei
confronti Deda Shpresim, Morina Luan, Dedej Gentian in relazione alle accuse che
seguono.
2. Deda Shpresim, Morina Luan, Dedej Gentian sono accusati -tra l’altro- al

perché in concorso tra loro e con il minore Kala Jolent, il Dedej ed il Deda anche in
qualità di mandanti, sequestravano Charfi Miled, al fine di conseguire, quale prezzo
per la sua liberazione e dietro minaccia di morte, la corresponsione da conoscenti
del Charfi di complessivi 12.000 euro costituenti il saldo di partite di stupefacente
consegnate al predetto dal Dedej e dal Deda, tramite il Kala, e dal Morina; in
particolare Dedej Gentiam, Deda Shpresim, Morina Luan, unitamente al Kala, dopo
aver immobilizzato il Charfi, anche con la minaccia di un coltello, lo obbligavano a
salire sull’auto del Dedej conducendolo, su disposizione dei Dedej e del Deda, in
una località isolata ove gli sottraevano la somma di 500 euro e, quindi, mediante
altra auto tornita dal Dedej, il Morina ed il Kala lo trasportavano in un casolare
abbandonato in agro di Cadoneghe dove lo tenevano segregato, legato o
imbavagliato, fino alla mattina del giorno 9 agosto quanto l’ostaggio era liberato
dai Carabinieri che, nell’occasione traevano in arresto Kala Jolent.
3. Con sentenza emessa dal Tribunale di Padova in data 31.3.2008 Deda,
Morina e Dedej venivano dichiarati colpevoli: tutti e tre del reato rubricato

sub

A), di concorso in sequestro di persona aggravato dalla collaborazione nella
commissione del reato di un minore di età ed aggravato, per il DEDA ed il DEDEJ ,
dall’avere organizzato e diretto l’attività dei concorrenti; il DEDA ed il DEDEJ del
reato rubricato sub D), di concorso nella detenzione ai fini di spaccio e nella
cessione di eroina con l’aggravante di essersi avvalsi, nella commissione del reato,
di un soggetto minore di età e con l’ulteriore aggravante, per il DEDEJ, di avere
organizzato e diretto l’attività di alcuni concorrenti, esclusa l’aggravante di cui
all’ari 80, 110 comma D.P.R. n. 309/1990; il solo MORINA del reato sub E) , di
detenzione ai tini di spaccio e cessione di eroina; il solo DEDA del reato sub B), di
concorso in qualità di mandante , organizzatore e determinatore dell’attività altrui,

capo A) del delitto p. e p. dagli arti. 110, 112 comma 1 un. 2 e 4 e 630 C.P„

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di rapina aggravata dalle minacce , dall’uso di anni, dall’avere agito in più persone
riunite e dall’essersi avvalso nella commissione del reato di un minore di età.
Unificati i reati ascritti sotto il vincolo della continuazione, esclusa, quanto al
reato sub A), l’aggravante dell’ingente quantità, riconosciute a tutti gli imputati le
attenuanti generiche e l’attenuante della provocazione considerate prevalenti sulle
reclusione , il DEDEJ alla pena di anni 13 e mesi 6 di reclusione; il Morina alla pena
di anni 12 e mesi 6 di reclusione.
4. La Corte di appello di Venezia, con la gravata sentenza, 6 marzo 2013,
in parziale riforma della sentenza 31 marzo 2008 del Tribunale di Padova appellata
dai tre condannati e, in via incidentale, dal Procuratore Generale nei confronti del
solo MORINA: a) ha dichiarato la nullità della decisione emessa nei confronti
DEDEJ Gentiarn ed ordinato la restituzione degli atti al Tribunale di Padova per la
prosecuzione del processo; b) ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello
incidentale proposto dal Procuratore Generale nei confronti di MORINA; c) ha
assolto DEDA Shpresim dai reati ascrittigli ex art. 530 comma 1.1-0 c.p.p. per non
aver commesso il fatto; d) ha assolto MORINA Luan dal reato di cui al capo E) per
non aver commesso il fatto, e, riconosciuta nei suoi confronti la circostanza
attenuante della lieve entità introdotta dalla sentenza n. 68/2012 della Corte
Costituzionale , ha ridotto la pena nei suoi confronti ad anni 7 e mesi 8 di
reclusione.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il Procuratore generale propone tre motivi di gravame, tutti per
inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione: agli artt.
178, 185, 420 ter, 420 quater, per il I motivo; artt. 63, 197, 197 bis, 213 e 214
cod. proc. pen., per il II motivo; artt. 63, 197, 197 bis, 213 e 214 cod. proc. pen.
per il III motivo.
2. Con il primo dei detti motivi la parte pubblica lamenta violazione delle
norme processuali, stabilite a pena di nullità, negli artt. 178, 185, 420 ter e 420
quater cod. proc. pen., rilevando che la nullità è stata dichiarata nei confronti di
Dedej quale conseguenza della sua mancata partecipazione all’udienza 14 marzo
2006. Egli era detenuto per altra causa, e per quell’udienza non era stato disposto

residue aggravanti , il DEDA veniva condannato alla pena di anni 13 e mesi 8 di

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un tempestivo ordine di traduzione dinanzi al Giudice né era risultata una sua
rinuncia a comparire. Tuttavia, non era stato disposto il rinvio ad altra udienza,
ed erano anzi state assunte delle dichiarazioni testimoniali.
3. Per il ricorrente appare inaccettabile la pura e semplice equazione tra
stato dì detenzione e legittimo impedimento nel senso che non si tratta

detenuto, quanto piuttosto di stabilire se proprio a queste sia da ascrivere la
mancata presenza all’udienza, avuto riguardo al tenore ed ai due momenti
desumibili dall’art. 420 ter cod. proc. pen. che imporrebbe al giudice la risolutiva
“valutazione se sia stata realmente la detenzione a determinare l’assenza, così da
avere avuto una reale incidenza quale impedimento a comparire dinanzi al
Giudice; o se piuttosto non si tratti della legittima scelta di non presentarsi e di
non partecipare al processo”, attesa anche la tardiva notizia della sopravvenuta
detenzione dell’imputato.
4. Il motivo, come pure argomentato dal Procuratore generale in udienza,
non ha fondamento.
5. Nel nostro sistema, lo stato di detenzione dell’imputato, implicando
l’assenza della libertà di locomozione, condizionata al volere delle autorità
carcerarie, costituisce impedimento assoluto a comparire, con la conseguenza che,
ove a tale situazione non sia posto rimedio mediante l’ordine di traduzione,
l’imputato è privato del diritto di intervenire e di difendersi, anche personalmente,
nel processo, diritto che, invece, deve essergli incondizionatamente assicurato.
D’altro canto, in tale ipotesi, non sussiste a carico dell’imputato un onere di
preventiva comunicazione della propria materiale impossibilità a comparire, né tale
onere può essere desunto dalla diversa ed esplicita previsione dettata per il
difensore (art. 420 ter, comma quinto, cod. proc. pen.) – che trova ragione nella
insindacabile scelta di bilanciare con esclusivo riferimento alla difesa tecnica i
valori costituzionali in gioco – la quale, al contrario, consente di escludere che un
analogo onere di tempestiva deduzione possa implicitamente desumersi dal
sistema per l’imputato, anche alla luce delle norme sovranazionali ed in particolare
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – come interpretati dalla

semplicemente di prendere atto delle limitazioni imposte alla libertà dell’imputato

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giurisprudenza della CEDU – alle quali lo Stato italiano ha l’obbligo di conformarsi
(cfr in termini: cass. pen. sez. 5, 37620/2006 Rv. 235227).
6.

Inoltre la detenzione dell’imputato per altra causa, sopravvenuta nel

corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di
legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in

informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la
traduzione, in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto
accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento
(in termini: cass. pen. sez. 6, 44421/2008 Rv. 241605 Massime precedenti
Conformi Sezioni Unite: N. 37483 del 2006 Rv. 234600).
7.

In tale quadro quindi, ritiene la Corte di ribadire le precedenti

interpretazioni, in linea con la decisione delle S.U. (n. 37483/2006, in ricorso
Arena), concludendo per la correttezza della decisione della Corte di appello ed il
rigetto della corrispondente doglianza della ricorrente parte pubblica.
8. Per il Procuratore generale di Venezia inoltre, un ulteriore e più specifico
profilo di illegittimità si sarebbe realizzato nella successiva statuizione, relativa alla
pronuncia di condanna ed al suo collegamento con l’ordinanza ritenuta nulla.
La Corte di Appello ha infatti dichiarato la nullità anche della sentenza, in
quanto nell’udienza 14 marzo 2006 “si era proceduto all’assunzione di importanti
incombenti istruttori, quali l’audizione dell’agente di polizia giudiziaria Mezzalira e
del perito fonico Mirashi” valutazione, questa, chiaramente intesa
all’adeguamento con la giurisprudenza regolatrice, secondo cui per il
riconoscimento della nullità derivata ex art. 185 c.p.p. non è sufficiente il solo
criterio cronologico, ed è invece necessaria a tal fine anche una sostanziale
dipendenza dell’atto successivo da quello precedente affetto da nullità.
In realtà, sostiene il ricorrente, si trattava della deposizione del mar. CC
Mezzalira Maurizio, chiamato a riferire sul contenuto di intercettazioni telefoniche
già trascritte e presenti nel novero del materiale probatorio, e della deposizione
della c.t.u. Mirashi Perjona, chiamata ad illustrare i contenuti delle già acquisite
trascrizioni, da lei medesima compiute.

contumacia, anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto

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9.

Reputa il Collegio che il motivo, su tali punti, risulti inammissibile in

quanto non deduce vizi apprezzabili ex art. 606 cod. proc. pen. e, in ogni caso,
tende a sostituire la valutazione di merito della Corte di appello sul grado di
incidenza delle prove assunte, nell’ illegittima assenza dell’imputato, con una
difforme e favorevole lettura in linea con gli assunti dell’impugnazione.

assolve Deda Shpresim dai reati di sui agli artt. 628, 630 e 699 c.p., e 73 D.P.R.
n. 309/1990, per non avere commesso il fatto, inosservanza di norme processuali
stabilite a pena di nullità e inutilizzabilità in relazione agli artt. 63, 197, 197 bis,
213 e 214 cod. proc. pen..
11. Per il Procuratore generale ricorrente l’assoluzione di Deda Sphresim
per non avere commesso il fatto è avvenuta a seguito della sottrazione, nei
confronti dell’insieme probatorio emerso a suo carico, dei singoli dati di prova che
la Corte di Appello ha considerato non utilizzabili, perché acquisiti con atti
istruttori compiuti con violazione della legge processuale.
Non sarebbero utilizzabili le dichiarazioni rese da Charfi Mìled, la vittima dei
reati, nell’incidente probatorio il 14 agosto 2003, in quanto lo stesso sisarebbe
dovuto esaminare non quale persona informata sui fatti bensì come indagato di
),

reato connesso, dal momento che nei suoi confronti erano emersi consistenti
indizi che avesse commesso reato di acquisto di stupefacenti ex art. 73 D.P.R. n.
309/1990; né sarebbero utilizzabili le dichiarazioni rese nel dibattimento dinanzi
al Tribunale da Tristano Marilena, che all’epoca aveva una relazione con Charfi ed
era stata teste oculare delle prime fasi del sequestro di persona, anche lei da
Il
ti
esaminare come indagata di reati connessi, essendo emersi nei suoi confronti
indizi che avesse collaborato con l’amico all’acquisto della sostanza stupefacente e
che avesse omesso di dargli aiuto mentre veniva posto sotto sequestro (art. 593
c.p.).
12. Orbene, tanto premesso, ritiene la Corte che il giudice territoriale
abbia, con apprezzamento di fatto, immune da vizi logici, esattamente ed
insindacabilmente individuato la sussistenza delle condizioni di concreta
operatività dei disposti dell’art. 63 cod. proc. pen., valutando e giustificando la
sussistenza di “indizi di reato” prima e durante l’audizione dei testi in questione.

10. Con un secondo motivo il ricorso lamenta ancora, nella parte che

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E’ noto infatti che in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la
veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in
termini sostanziali (come fatto dalla Corte di appello), e quindi al di là del
riscontro di indici formali, come l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa
nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso della qualità di
accertamento si sottrae, se congruamente motivato come avvenuto nella
fattispecie, al sindacato di legittimità (cfr. cass. pen. sez. Unite, 15208/2010
Rv. 246584, in ricorso Mins) .
13. Con un terzo motivo si prospetta, nella parte che assolve Morina Luan
dal reato di cui all’art. 73 D.PR. n. 309/1990 (sub E), per non avere commesso il
fatto, inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità in
relazione agli artt. 63, 197 e 197 bis stesso codice), posto che l’assoluzione di
Morina Luan dal reato sub E si collega alla ritenuta non utilizzabilità delle
dichiarazioni accusatorie di Charfi Miled.
Anche questa doglianza non ha fondamento e va rigettata, atteso che a
confutazione di tale statuizione, il ricorrente richiama le considerazioni già
esposte con riferimento alla pronuncia dì assoluzione di Deda Shpresim.
14. Da ultimo, quanto alla deposizione della Dal Molin, ritenuta nulla dalla
corte distrettuale (pagg.39 e 40), per violazione degli artt. 213 e 214 cod. proc.
pen., si versa nella specie a fronte di un motivato giudizio di inutilizzabilità non
censurabile nei contesti in fatto in cui l’individuazione fotografica e la ricognizione
di persona sono avvenute.
15. In conclusione il ricorso risulta infondato, valutata la conformità del
provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la tenuta logica e
coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il giorno 10 dicembre 2013
Il consigliere estensore

indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo

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