Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 230 del 30/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 230 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: LA POSTA LUCIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PANARO SEBASTIANO N. IL 10/08/1969
avverso l’ordinanza n. 912/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 16/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;

Data Udienza: 30/09/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Roma
respingeva il reclamo proposto da Sebastiano Panaro avverso il decreto
ministeriale con il quale veniva prorogato il regime di cui all’art. 41-bis Ord.
Pen..
Il tribunale, premesso che il predetto è stato tratto in arersto nel dicembre
2006 ed è ristretto in regime differenziato dal gennaio 2007, evidenziava

nell’ambito del sodalizio mafioso denominato clan dei casalesi e dai legami di
parentela con la famiglia Schiavone, nonché dalla attualità della operatività del
predetto sodalizio. Dava atto, altresì, della corrispondenza del detenuto
sottoposta a trattenimento per i riferimenti a circostanze riconducibili ad
avvenimenti correlati alle strategie criminali del gruppo e della gravità dei reati
commessi dal Panaro in uno alla mancanza di elementi dai quali desumere
l’allontanamento dal contesto criminale di appartenenza.

2. Ricorre l’interessato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo il vizio
di motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti di legge necessari per la
proroga del regime speciale di detenzione.
In particolare, lamenta la mancanza di riferimento a condotte sintomatiche
di una condizione soggettiva di pericolosità e la mera indicazione della biografia
delinquenziale e giudiziaria che da sola non è idonea a dimostrare la attuale
pericolosità concreta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I motivi del ricorso sono manifestamente infondati.
Ribadito che nel caso di specie è ammesso esclusivamente il ricorso per
violazione di legge, deve rilevarsi che il provvedimento impugnato,
nell’esaminare la motivazione del decreto di proroga ministeriale, si è attenuto ai
criteri indicanti dalla vigente formulazione dell’art. 41-bis, comma 2 -bis, legge
26 luglio 1975 n. 354, laddove prevede che la proroga è disposta quando risulta
che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale non è
venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita
dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio
criminale, della sopravvivenza di incriminazioni non precedentemente valutate,
degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del
sottoposto. Inoltre, il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé,

2

l’elevatissima pericolosità desunta dal ruolo di spicco rivestito dal condannato

elemento sufficiente ad escludere la capacità di mantenere collegamenti con
l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa.
Il tribunale, quindi, in ossequio a detta disposizione era tenuto a porre in
risalto il duplice dato della biografia delinquenziale del detenuto e dell’attuale
operatività del sodalizio di appartenenza, accompagnando l’indicazione di indici
fattuali, anche non coesistenti, sintomatici dell’attuale pericolo di collegamenti
con l’esterno.
A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, il controllo del tribunale sul

pericolosità criminale del detenuto, desunta da oggettive circostanze di fatto
indicati nel decreto ministeriale e desumibili in atti. Il tribunale ha proceduto ad
una corretta verifica in ordine alla possibile persistenza di collegamenti con il
gruppo criminale di appartenenza. Sul punto il tribunale si è uniformato ai criteri
ermeneutici più volte ribaditi da questa Corte che ha anche precisato come, ai
fini della proroga è sufficiente la potenzialità, attuale e concreta, di collegamenti
con l’ambiente malavitoso che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata
con il regime carcerario ordinario (Sez. 1, n. 47521, 02/12/2008, Rogoli, rv.
242071).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’
art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro mille in favore della
cassa della ammende.

Così deciso, il 30 settembre 2013.

provvedimento di proroga è stato effettuato attraverso una verifica della

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