Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23 del 27/11/2012


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 23 Anno 2013
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
1. Angela Buccella, nata a Campagna (SA) il 7.5.1969;
2. Emilio Maiorano, nato a Campagna (SA) il 27.1.1962;
avverso la sentenza del 7 febbraio 2012 emessa dalla Corte d’appello di
Salerno;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udite le richieste del Sostituto Procuratore generale Alfredo Montagna, che ha
concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

Data Udienza: 27/11/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte d’appello di Salerno ha
confermato la sentenza del 22 maggio 2008 con cui il Tribunale di quella
stessa città, all’esito di giudizio abbreviato, aveva ritenuto Angela Buccella e
Emilio Maiorano responsabili, in concorso tra loro, del reato di cui all’art. 353

relativa alla vendita di un bene immobile facente parte della massa attiva del
fallimento dichiarato dal Tribunale nei confronti dello stesso Maiorano,
condannandoli alle pene ritenute di giustizia, con dichiarazione di incapacità di
contrattare con la pubblica amministrazione per due anni.
Secondo l’accusa i due imputati, coniugi conviventi, si sarebbero
accordati per impedire l’aggiudicazione a terzi del terreno rientrante nella
massa fallimentare del Maiorano e oggetto della vendita ai pubblici incanti:
infatti, per ben tre volte la Buccella avrebbe partecipato alla gara (14.5.2003;
30.6.2004; 28.11.2005), risultando aggiudicataria del bene e per altrettante
volte sarebbe decaduta dall’aggiudicazione non avendo provveduto a versare
l’intero prezzo dell’aggiudicazione, così impedendo ad altri di aggiudicarsi il
bene.
La Corte territoriale ha ritenuto sussistente il reato, in quanto la condotta
della Buccella avrebbe comunque ritardato in maniera fraudolenta la
definizione della gara, contribuendo a ridurre il numero dei partecipanti; il
ruolo del Maiorano sarebbe stato quello dell’istigatore, agendo per interposta
persona ed eludendo il divieto di cui all’art. 579 c.p.c.

2. Nell’interesse degli imputati l’avvocato Marcello Santoriello ha proposto
ricorso per cassazione.
In ordine alla posizione di Buccellato il ricorrente ha dedotto il vizio di
motivazione sotto distinti profili. Innanzitutto, ha rilevato che i giudici di
merito non hanno preso in considerazione un aspetto rilevante della vicenda,
costituito dal fatto che l’imputata nella gara del 9.10.2006 si è effettivamente
aggiudicata il bene ad un prezzo quasi triplo rispetto a quello stabilito
inizialmente a base d’asta, sicché verrebbe a cadere la ricostruzione fatta in
sentenza sulla finalità della condotta dei due imputati. Inoltre, viene
contestata la spiegazione data dai giudici in ordine a quest’ultima

2

c.p., per avere turbato con mezzi fraudolenti la gara per pubblici incanti

aggiudicazione, secondo cui la Buccella si sarebbe determinata a versare il
prezzo residuo solo perché venuta a conoscenza della denuncia presentata dal
curatore fallimentare, in quanto risulta dagli atti che l’imputata è venuta a
conoscenza del processo a suo carico solo nel marzo del 2007, quindi dopo
l’effettiva aggiudicazione dell’immobile. Secondo parte ricorrente la corretta
valutazione degli elementi probatori acquisiti al processo consentono una

dell’elemento soggettivo del reato, in quanto deve ritenersi che la Buccella
abbia avuto un forte interesse all’acquisto dell’immobile, tale da indurla più
volte a formulare offerte, che non ha potuto completare per la mancanza di
fondi, che è riuscita ad ottenere solo nell’ottobre del 2006, data in cui
l’aggiudicazione si è perfezionata. Infine, si sottolinea che nessuna norma
impedisce al coniuge del fallito di partecipare all’asta dei beni della massa
fallimentare.
Quanto alla posizione di Maiorano, si contesta la motivazione della
sentenza sotto il profilo della manifesta illogicità. Si rileva che non vi è alcuna
prova del contributo causale offerto dall’imputato, dovendo escludersi che una
tale dimostrazione possa fondarsi sul rapporto di coniugio. Inoltre, del tutto
irrilevante e inconferente ai fini della responsabilità del Maiorano è l’elemento
valorizzato dai giudici di merito, costituito dall’avere l’imputato presentato
un’istanza di sospensione della vendita per essere il prezzo stabilito inferiore a
quello di mercato.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Nei motivi contenuti nei ricorsi sono stati denunciati vizi di
motivazione.
Invero, il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne né la
ricostruzione dei fatti né l’apprezzamento del giudice di merito, ma è
circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due
requisiti che lo rendono insindacabile, cioè l’esposizione delle ragioni
giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di difetto o
contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza
delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Peraltro,
l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente
(“manifesta illogicità”), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocuii,

diversa ricostruzione dei fatti che portano anche ad escludere la sussistenza

dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. In altri
termini, l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu ocu/i, in
quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un
orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare

della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Il vizio della
“manifesta illogicità” della motivazione deve risultare dal testo del
provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va
effettuato considerando che la sentenza deve essere logica “rispetto a se
stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla
conseguente valutazione, effettuata dal giudice allo stato degli atti, che si
presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e
incompatibile con i principi della logica.

4. Nella specie, i ricorrenti hanno tentato di fornire una ricostruzione dei
fatti alternativa a quella contenuta in sentenza, senza offrire alcuna
dimostrazione di una manifesta illogicità della motivazione per cui, in
applicazioni dei principi sopra menzionati, deve dichiararsi l’inammissibilità di
entrambi i ricorsi, con la condanna degli imputati al pagamento delle spese
processuali e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende,
che si ritiene equo determinare in euro 1.000,00 per ciascuno.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 27 novembre 2012

Il Consigli re estensore

Il Presidente

l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica

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