Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22989 del 30/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 22989 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIOFFRE’ ANTONIO N. IL 04/12/1969
GIOFFRE’ VINCENZO N. IL 24/12/1978
GIOFFRE’ DOMENICO N. IL 27/12/1980
GIOFFRE’ VITTORIO VINCENZO N. IL 02/01/1961
GIOFFRE’ ADRIANO N. IL 01/08/1972
MARAFIOTI ANTONIO PASQUALE N. IL 09/04/1950
BATTAGLIA MARIANO N. IL 20/08/1955
BUGGE’ CARMELO ANTONIO MARIA N. IL 02/10/1938
avverso la sentenza n. 2419/2010 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 03/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 4 . >14 2,342(n
che ha concluso per

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Data Udienza: 30/04/2013

Udito, per la parte civile, l’Avv

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Uditi difensor Avv.

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 3 aprile 2012, la Corte di appello di Reggio Calabria, in
parziale riforma della sentenza emessa il 30 aprile 2010 dal Tribunale di Palmi, ha

ordine al reato al medesimo ascritto per morte dell’imputato, revocando le statuizioni
civili, ed ha confermato la condanna inflitta in primo grado a MARAFIOTI Antonio
Pasquale ad anni sei e mesi sei di reclusione; a BUGGE’ Carmelo Antonio Maria ad
anni sei di reclusione; a BATTAGLIA Mariano ad anni sei di reclusione; a
GIOFFRE’ Vittorio Vincenzo, GIOFFRE’ Antonino, GIOFFRE’ Vincenzo,
GIOFFRE’ Domenico e GIOFFRE’ Adriano ad anni cinque e mesi sei di reclusione
ciascuno, tutti quali imputati del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.
La Corte territoriale, aderendo alle conclusioni cui erano pervenuti i giudici di
primo grado, ha in estrema sintesi ritenuto che in Seminara, poco prima delle elezioni
amministrative che si dovevano svolgere nel maggio 2007 per il rinnovo della
sindacattu- a e degli altri organi comunali, si fosse realizzato un patto fra alcuni
componenti della famiglia GIOFFRE’ e due esponenti della giunta comunale allora in
carica, il sindaco MARAFIOTI Antonio Pasquale ed il suo vice BATTAGLIA
Mariano, al quale aveva preso parte anche BUGGE’Carmelo Antonio Maria, uomo
politico del luogo, ancorchè non investito in quel momento di cariche elettive, ma a
suo tempo collegato con membri della stessa famiglia GIOFFRE’.
In particolare, si è ritenuto che il BATTAGLIA, non essendo più disposto a
rivestire la precedente posizione subordinata, si stesse attivando per creare una
propria lista, a capo della quale contendere la sindacatura di MARAFIOTI.
Tale contrasto creava però il rischio di una dispersione del consenso elettorale
di cui ciascuno dei due poteva disporre. L’insorta divergenza di vedute, secondo i
giudici del merito, venne risolta attraverso un accordo intervenuto fra i suddetti
esponenti politici e GIOFFRE’ Rocco Antonio, poi deceduto, che si sostanziava nella

dichiarato non doversi procedere nei confronti di GIOFFRE’ Rocco Antonio in

adesione dei soggetti “politici” alla cosca GIOFFRE’ e nella creazione di un
organigramma delittuoso, il cui fine precipuo era quello di condizionare il voto,
attraverso la unificazione delle due liste che si dovevano presentare; e, poi, di
coartare, pilotare ed indirizzare il voto verso tale lista.
Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli

Nel ricorso proposto dal MARAFIOTI Antonio Pasquale si lamenta, nel primo
motivo, carenza di motivazione in punto di responsabilità, in quanto i giudici
dell’appello si sarebbero limitati a fare rinvio alla sentenza di primo grado senza
svolgere un autonomo riesame critico sul materiale di prova raccolto. Non
sussisterebbe, poi, la contestata partecipazione alla associazione dei GIOFFRE’
finalizzata alla coartazione delle operazioni elettorali, non potendosi ravvisare
elementi che asseverino la condotta cosciente e volontaria dell’imputato. Si contesta,
anche, che comunque sussista una associazione mafiosa attorno ai GIOFFRE’e si
sottolinea come già in sede cautelare fosse stata censurata da parte del giudice di
legittimità la costruzione logico-giuridica su cui l’accusa si fondava. La stessa logica
secondo la quale la partecipazione dell’imputato si sarebbe realizzata attraverso la
mancata presentazione di una propria lista, si rivelerebbe inappagante, così come
incongrui sarebbero gli incontri evocati in via di accusa ai fini della dimostrazione
della colpevolezza del’imputato.
Tutto ciò, unitamente alla brevità del periodo in cui l’associazione avrebbe
operato ed alla mancata valutazione complessiva della condotta dell’imputato, per il
quale gli indizi sarebbero stati disarticolati, conduce il ricorrente a ritenere violati i
canoni di apprezzamento probatorio, stante anche l’assenza di reati fine.
Sarebbero poi nulli per difetto di motivazione tutti i provvedimenti di convalida dei
decreti di intercettazione, alla luce della giurisprudenza di questa Corte che viene
passata in rassegna. Si lamenta, infine, la eccessività del trattamento sanzionatorio e
la mancata concessione delle attenuanti generiche, in considerazione della buona
personalità dell’imputato e del breve periodo in cui avrebbe operato l’associazione.
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imputati anzidetti.

Nel ricorso proposto nell’interesse di GIOFFRE’ Antonino, GIOFFRE’
Vincenzo e GIOFFRE’ Domenico, si deduce la insussistenza degli elementi atti a
delineare il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. Ampiamente rievocati i principi

affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di associazione mafiosa, si
contesta, infatti, la sussistenza dell’impiego della forza intimidatrice e
MARAFIOTI avrebbe perso le elezioni del 2007 e che la competizione sarebbe stata
vinta dal candidato concorrente Costantino. I GIOFFRE,’ dunque, si sarebbero solo
attivati per supportare un loro congiunto. Gli imputati erano pertanto liberi di
sostenere una candidatura piuttosto che un’altra, e ciò sarebbe avvenuto senza alcun
tipo di intimidazione o di minaccia, come è dimostrato dal fatto che vi era una
candidatura antagonista a quella del MARAFIOTI e che il nipote di GIOFFRE’
Rocco Antonio era candidato nella lista del Costantino.
E’ significativo, ancora, che, come risulta da una conversazione intercettata,
GIOFFRE’ Vincenzo rifiutò, considerandola non corretta, la consegna della scheda
elettorale da parte di un elettore che non avrebbe potuto esercitare il diritto di voto
perchè stava per lasciare Seminara. Si evoca, inoltre, la pronuncia di questa Corte
adottata in sede cautelare, ove si sottolineò come l’eventuale presenza di illeciti
elettorali non bastasse ad integrare l’ipotesi associativa contestata. Nel caso delle
elezioni svoltesi a Seminara, le promesse, se esistenti, non avrebbero avuto influenza
alcuna in ordine alle propensioni degli elettori, i quali hanno liberamente espresso il
loro orientamento.
Si sottolinea, poi, che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe affermato
che la famiglia GIOFFRE’ aveva funto da mediatrice per la risoluzione del conflitto
tra i Pelle-Vottari e i Nirta-Strangio, puntualizzandosi che nessuno dei GIOFFRE’ era
mai stato condannato per reati di mafia.
Le intercettazioni, poi, nulla avrebbero dimostrato sul piano della valenza
mafiosa degli imputati, con la conseguenza che non potrebbe in alcun modo ritenersi
provata l’associazione, al di là di ogni ragionevole dubbio. I colloqui intercettati,
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dell’assoggettamento ed omertà, in quanto tutti a Seminara erano sicuri che il

infatti, non dimostrerebbero altro, si puntualizza nel ricorso, che la “megalomania”
dei colloquianti, mentre i giudici dell’appello non avrebbero valutato adeguatamente
il comportamento complessivo degli imputati, deducendosi sul punto una diffusa
disamina dei fatti per come processualmente accertati.
Si osserva, infine, che, tenuto conto degli elementi di ambiguità che sono insiti

assistite da elementi di conferma che, invece, sono mancati.
In altro atto di ricorso proposto nell’interesse del solo GIOFFRE’ Antonino, si
propongono censure nella sostanza analoghe, sottolineandosi il proscioglimento
dell’imputato nel procedimento denominato “Ponente”. Le intercettazioni avrebbero,
poi, contenuto neutro e non sussisterebbero elementi dai quali dedurre che i
GIOFFRE’ avessero coartato la libera espressione del’elettorato di qualcuno. Ciò, si
aggiunge, sarebbe asseverato anche dalla decisione adottata da questa Corte in sede
cautelare. Si lamenta, infine, la eccessività del trattamento sanzionatorio.
Nel ricorso proposto nell’interesse di GIOFFRE’ Vittorio Vincenzo, si osserva
— seguendo la traccia del percorso logico seguito dai giudici del gravame — che, come
già dedotto in quella sede, con argomenti trascurati dai giudici

a quibus, che il

GIOFFRE,’ all’epoca della faida tra le famiglie Gioffrè – Pellegrino negli anni
settanta, aveva dieci anni e che il procedimento “Ponente” si era chiuso con una
sentenza assolutoria, senza che a quegli elementi altri se ne fossero aggiunti o fossero
stati comunque evocati in sede di merito. Quanto alla posizione dell’imputato, si
lamenta che i giudici dell’appello non abbiano tenuto conto dei rilievi difensivi a
proposito delle conversazioni utilizzate in via di accusa, essendosi offerta congrua
spiegazione delle stesse. Si osserva, in particolare, che l’atteggiamento violento di
una persona, non può essere indicativo di “mafiosità”, né risulta provato che
l’imputato abbia utilizzato la violenza per condizionare la campagna elettorale e si
ribadiscono le spiegazioni già offerte ai giudici dell’appello in ordine alla corretta
lettura dell’atteggiamento che traspare nelle conversazioni intercettate.
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nella interpretazione delle conversazioni intercettate, le stesse dovevano essere

Ugualmente, sarebbero state indebitamente neglette le deduzioni svolte in sede
di appello, a proposito della avversione del Costantino nei confronti dei GIOFFRE’ e
dei lavori effettuati dal ricorrente per il Comune, nonchè in merito ai rilievi svolti per
contrastare l’assunto secondo il quale l’imputato avrebbe promosso le riunioni del
“motore” e della “topa”, cui non avrebbe partecipato e di cui non era a conoscenza.

interessata alla situazione politica del suo paese, ma non ad affari di una presunta
cosca, mentre sarebbe frutto di mera illazione l’accento posto dai giudici del merito
sul carattere inmento dell’imputato stesso. Le intercettazioni, poi, dimostrerebbero
che l’interesse dell’imputato per la candidatura del nipote Adriano fosse una
questione di natura strettamente familiare: il che dimostrerebbe l’assenza dei
connotati associativi, posto che le organizzazioni mafiose scelgono i propri candidati
fuori della cerchia dei familiari.
La Corte, infine, pur prendendo atto di un errore di identificazione in una
conversazione intercettata, nella quale protagonista era GIOFFRE’ Vincenzo e non
GIOFFRE’ Vittorio Vincenzo, avrebbe omesso di trarre da ciò le dovute
conseguenze.
Nel ricorso proposto nell’interesse di GIOFFRE’ Adriano, si lamenta che la
sentenza di appello si sia limitata a rievocare la pronuncia di primo grado, senza
misurarsi con le critiche mosse nei motivi di appello e che tendevano ad escludere la
sussistenza della ipotizzata fattispecie associativa. Sarebbe stata, infatti,
indebitamente valorizzata la sentenza cosiddetta “Ponente, la quale, al contrario di
quanto ritenuto dai giudici a qubus, aveva escluso la sussistenza di una cosca attorno
ai GIOFFRE. Lo stesso è a dirsi a proposito della faida risalente agli anni settanta, per
la quale il Tribunale avrebbe travisato il contenuto di una conversazione intercettata,
così come erronea sarebbe stata la lettura di altre conversazioni intercettate. Si
sottolinea, poi, la estrema brevità del periodo in cui l’associazione sarebbe stata in
vita, posto che il vincolo associativo, a differenza della associazione in quanto tale,
deve assumere carattere di stabilità. Nella specie, invece, a tutto voler concedere, la
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La condotta dell’imputato, si osserva, sarebbe stata quella di persona

famiglia GIOFFRE’ si sarebbe organizzata per alterare le regole di una competizione
elettorale, con programma evidentemente circoscritto.
Sussisterebbe, poi, vizio di motivazione anche in ordine alla presunta
partecipazione dell’imputato al sodalizio, posto che le conversazioni intercettate — e
che vengono in larga misura rievocate – farebbero riferimento all’imputato come un

sarebbe stata, dunque, travisata dai giudici del merito, non essendovi prova che
«l’imputato conoscesse e approvasse il comportamento di alcuni dei suoi familiari,
ma anche che questo si esprimesse con forme di intimidazione mafiosa». La
mancanza, pertanto, di elementi dai quali desumere il contributo offerto dall’imputato
in ordine a fatti specifici e l’assenza di prove circa un qualsiasi apporto o contributo
partecipativo ad un illecito procacciamento di voti, escluderebbe, ad avviso del
ricorrente, la sussistenza dei presupposti per ritenere integrato il reato contestato,
essendo emerso soltanto una convergenza di interessi tra GOFFRE’ Adriano ed
alcuni membri della propria famiglia. Circostanze, queste, che talune cautele che
compaiono nella sentenza, ove si fa riferimento alla posizione defilata dell’imputato
ed alle spiegazioni relative alla sua assenza alle riunioni operative, risulterebbero in
qualche modo riconosciute dagli stessi giudici dell’appello, senza che, peraltro, simili
lacune ed aporie abbiano poi ricevuto adeguata motivazione.
Nel ricorso proposto nell’interesse di BATTAGLIA Mariano, dopo ampia
rievocazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di
partecipazione ad associazione mafiosa, alla luce dei quali appare necessaria una
ricostruzione della condotta partecipativa in termini di materialità, effettività e di
efficienza causale, si sottolinea come nei confronti dell’imputato non sia stata
raggiunta prova di tali elementi essenziali, posto che la motivazione esibita sul punto
dai giudici a quibus si rivelerebbe illogica e contraddittoria. Si osserva, infatti, che la
partecipazione alla associazione sarebbe stata desunta dalla partecipazione soltanto a
due riunioni ed in un arco temporale ridottissimo, difettando, quindi, la necessaria
stabilità nel vincolo. Ciò, anche, in considerazione dell’astio che i GIOFFRE’
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buon candidato per le elezioni di Seminara. La interpretazione di tali conversazioni

nutrivano nei confronti del BATTAGLIA; circostanza, questa, che la sentenza di
appello avrebbe indebitamente trascurato, pur dandone atto; così come,
contraddittoriamente, non avrebbe apprezzato il fatto che tra gli imputati non vi
fossero stati in precedenza rapporti. Che questi rapporti si fossero instaurati solo in
prossimità delle elezioni, dimostra proprio che gli stessi erano rimasti circoscritti alla
Quanto, poi, al tipo di contributo offerto, nessun elemento assevererebbe il
fatto che la partecipazione del BATTAGLIA fosse stata consapevole e volontaria,
proprio perchè limitata alla partecipazione alle due riunioni indette dai GIOFFRE. A
proposito, poi, della rinuncia alla presentazione della lista, il consenso dell’imputato
era viziato dalla intimidazione esercitata dai GIOFFRE’. Sarebbero frutto di
interpretazione erronea le letture delle conversazioni intercettate e di cui si dà atto a
pag. 131 della sentenza impugnata. Non sarebbe stata anche fornita adeguata risposta
ai rilievi difensivi, secondo i quali la discesa in campo del Costantino, come
candidato contrapposto al Marafioti, determinava la impossibilità, per il
BATTAGLIA, di formare una lista di larghe intese con la sinistra.
Incoerente sarebbe anche la motivazione dei giudici dell’appello in riferimento
alla intimidazione subita dal BATTAGLIA, come d’altra parte sarebbe dimostrato dal
fatto che la seconda riunione si era resa necessaria per il fatto che l’accordo tra il
BATTAGLIA ed il MARAFIOTI era sul punto di sfumare. Sarebbe quindi del tutto
contradditorio ipotizzare — come dedotto dai giudici a quibus — che il BATTAGLIA,
da un lato, avesse ceduto alle pressioni dei GIOFFEE’ e, dall’altro, ne avesse
condiviso i fmi sul piano associativo. Tenuto conto delle pressioni subite, l’atto di
adesione sarebbe viziato e sussisterebbero i presupposti per l’applicazione della
esimente di cui all’art. 54 cod. pen. Sarebbe poi del tutto incongruo ipotizzare che il
vantaggio per l’imputato sarebbe stato rappresentato dalla ricollocazione in una
posizione subordinata rispetto ad un soggetto, che, come il MARAFIOTI, non era ben
tollerato: il tutto, si aggiunge, non senza riverberi sul piano del dolo in ordine al reato
di cui all’art. 416-bis cod. pen. A quest’ultimo riguardo, si lamenta come la decisione
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sola vicenda elettorale.

impugnata sia rimasta del tutto silente e non abbia affrontato il problema di come
potesse essere integrato l’elemento soggettivo del reato in capo ad un soggetto
sottoposto a pressioni da parte della cosca dei GIOFFRE’.
Si lamenta, infme, violazione di legge e vizio di motivazione anche in ordine al
trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche,
pena che della mancata concessione delle attenuanti non scritte.
Nel ricorso proposto nell’interesse di BUGGE’ Carmelo Antonio Maria si
rievoca ampiamente il contenuto della sentenza di questa Corte n. 7 del 2009, con la
quale in sede cautelare venne disposto l’annullamento con rinvio del provvedimento
impugnato per vizio di motivazione in punto di metodologia mafiosa, e si sottolinea
come, secondo la stessa sentenza impugnata, l’imputato non avrebbe partecipato ad
operazioni ricollegabili al condizionamento di voto, ma si sarebbe interessato per la
formazione delle liste e, in una fase successiva, per l’assegnazione di un assessorato
da parte del Sindaco eletto. Dunque, una attività non riconducibile al modello
delineato dall’art. 416-bis cod. pen., dal momento che la mediazione richiesta al
BUGGE’ era di natura esclusivamente politica, per di più neppure intesa ad
appoggiare la candidatura di Adriano GIOFFRE’.
Il BUGGE’ d’altra parte, era stato giudicato e prosciolto dalla imputazione di
associazione mafiosa nel procedimento “Ponente” e, sul punto, si riportano i passi più
significativi della sentenza del Tribunale di Palmi. Gli incontri, quindi, non avevano
natura diversa da quella politica, mentre nessun rilievo possono avere i rapporti di
affinità con un pregiudicato o incontri con tali Dinaro Antonio, ritenuto vicino alla
cosca Gallico. Si lamenta, infine, la mancata concessione delle attenuanti generiche.
In prossimità della udienza, ha depositato motivi nuovi il difensore di
BATTAGLIA Mariano, svolgendo deduzioni in merito alla insussistenza del
requisito della stabilità del vincolo associativo, tenuto conto del breve arco temporale
in cui si sarebbero svolti i fatti, nonché in merito alla volontarietà della condotta,
posto che l’imputato sarebbe stato vittima e non sodale dei GIOFFRE’. Si sottolinea,
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posto che i medesimi elementi di sfavore sarebbero stati apprezzati tanto ai fini della

altresì, la carenza di una condotta di “messa a disposizione” nei confronti della intera
associazione e la mancanza di un contributo causalmente rilevante alla operatività del
sodalizio.

Il procedimento si è snodato attorno ad una imputazione che presenta
specifiche peculiarità, sulle quali è pregiudiziale soffermarsi per verificare se, alla
stregua delle circostanze di fatto emerse nel corso dei gradi di merito, possa
inferirsene la congruenza e la esaustività agli effetti della integrazione della
contestata fattispecie associativa, nel quadro, appunto, dei particolari connotati che ne
hanno disegnato il perimetro strutturale.
Nei confronti degli odierni ricorrenti è stato infatti contestato — e ritenuto dai
giudici del merito — il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., per aver diretto (Gioffrè
Rocco Antonio, poi deceduto) e fatto parte (tutti gli altri imputati) di un’associazione
per delinquere di stampo mafioso denominata ndrangheta e, segnatamente `ndrina
Gioffrè, operante nel territorio di Seminara, la quale, avvalendosi della forza di
intimidazione del vincolo associativo sedimentatasi nel tempo, derivante dall’essere
stata coinvolta negli anni 70 nella sanguinosa faida con la famiglia Pellegrino e per
aver già fatto parte il Battaglia Mariano ed il Buggè Carmelo del Consiglio Comunale
di Seminara, disciolto per infiltrazione mafiosa con provvedimento in data 30
settembre 1991, nel quale si fa esplicito riferimento ai legami dell’allora Sindaco
Buggè Carmelo con la “cosca mafiosa Giofrè ed in particolare con Rocco Gioffrè”
(fatti — puntualizza il capo di imputazione — che, in una piccola comunità quale quella
di Seminara, paese di circa 3.000 abitanti, attribuivano agli indagati il pacifico ruolo
di appartenenti ad associazione mafiosa armata) e, dunque, della condizione di
assoggettamento e di omertà che ne derivava, si adoperava al fine di controllare
totalmente le elezioni comunali dell’anno 2007 e, dunque, per acquisire in modo
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Considerato in diritto

diretto ed indiretto la gestione o comunque il controllo di concessioni, autorizzazioni,
servizi pubblici comunali, realizzando, così, profitti o vantaggi ingiusti per sé o per
altri, impedendo, al contempo, il libero esercizio del voto in tal modo procurando voti
per la lista supportata e, in particolare, per il soggetto preposto alla cosca di
appartenenza quale sindaco (Marafioti Antonio Pasquale), in occasione delle

Dettagliata è, poi, la disamina dei fatti su cui si è radicata la configurazione
della fattispecie associativa. In particolare, infatti, si addebitava agli imputati di aver,
rispettivamente, promosso e partecipato a due riunioni in periodo pre-elettoralle,
l’una tenutasi presso l’abitazione della famiglia Gioffrè in data 16 aprile 2007 e
l’altra in terreni di proprietà nelle campagne di Seminata in 21 aprile 2007, entrambe
caratterizzate dalla clandestinità, durante le quali si decideva di far ritirare la lista
presentata da Mariano Battaglia, con il suo consenso, e di far confluire lo stesso nella
lista presentata da Sindaco uscente Marafioti Antonio Pasquale; con l’accordo che al
Battaglia sarebbe andata la carica di Vice Sindaco in caso di vittoria elettorale —
accordo poi mantenuto — e che il medesimo Battaglia sarebbe stato supportato per
concorrere alla carica di sindaco alle successive elezioni politiche — accordo non
mantenuto per cause indipendenti dalla volontà degli imputati -; il tutto, affinché i
voti dell’area politica di riferimento dei Gioffrè non andassero dispersi in due
differenti liste, avvantaggiando così di fatto la lista avversaria di Costantino, ritenuto
dalla ndrina “sbirro” ed “amico dei Carabinieri; in tal modo alterando il meccanismo
democratico di presentazione delle liste e con correlativa compromissione del
principio di libera determinazione del corpo elettorale nella scelta dei propri
rappresentanti.
Si deducevano, ancora, quali condotte tipizzanti la contestata fattispecie
associativa, l’aver contestualmente deciso che il candidato a Sindaco per quelle
elezioni dovesse essere Marafioti Pasquale; di aver altresì deciso che nella lista
dovesse essere incluso un membro prossimo congiunto — Gioffi -è Adriano — con
l’ulteriore accordo che allo stesso sarebbe andato un assessorato, cosa verificatasi
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richiamate consultazioni elettorali.

all’indomani delle elezioni; di aver presidiato materialmente — al fine di incutere
timore agli elettori, violando in tal modo la libertà nel voto — i tre seggi elettorali del
Comune attraverso la nomina a rappresentanti della lista Gioffrè Vincenzo presso il
seggio n. 1, Gioffrè Domenico presso il seggio n. 2, e Di Savo Andrea Vincenzo —
originariamente coindagato — presso il seggio n. 3, nonché con la presenza costante

originariamente anch’egli coindagato); di aver ritirato le tessere elettorali di diversi
elettori, in maniera da controllare una per una le persone che andavano a votare,
riconsegnando le tessere davanti al seggio anche al fine di esercitare una notevole
pressione psicologica finalizzata a “ricordare” agli elettori i candidati cui doveva
essere data la preferenza; di aver fatto utilizzare a svariati elettori il normografo in
sede di apposizione del nome del candidato cui dare la preferenza, al fine di effettuare
un controllo successivo sulle schede elettorali finalizzato alla verifica se determinati
elettori avessero effettivamente votato i candidati della loro lista, ingenerando negli
stessi paura per eventuali ritorsioni nell’ipotesi in cui non avessero votato i candidati
proposti da Gioffrè, ed alterando, in tal modo, «il libero esercizio del voto sotto il
profilo della libertà, genuinità e segretezza»; di aver preteso, infine, allo stesso scopo,
che alcuni elettori testimoniassero con fotografie scattate presumibilmente con
apparecchi telefonici cellulari dotati di macchina fotografica, il proprio voto e la
preferenza data, anche in tal caso ingenerando negli stessi paura per eventuali
ritorsioni, nell’ipotesi in cui non avessero votato i candidati proposti dai Gioffrè ed
alterando, in tal modo, il libero esercizio del voto, sotto il profilo della libertà,
genuinità e segretezza.
Condotte, quelle descritte, che venivano contestate come commesse in
Seminara, nel periodo intercorso dall’aprile al 17 novembre 2007.
Ciò che vale a caratterizzare l’addebito associativo è, dunque, un coeso fascio
di condotte, volte a condizionare e “sfruttare” una tornata elettorale amministrativa, al
dichiarato e precipuo scopo di penetrare nelle leve di governo amministrativo del
Comune (BUGGE’, in una telefonata con la quale comunica la soddisfazione per la
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presso i medesimi seggi di Gioffrè Antonio e Tripodi Vincenzo (quest’ultimo

conferma del successo del 2002 da parte del MARAFIOTI, espressamente rievoca
l’interesse a “prendere il Comune”: v. sentenza impugnata, pag. 19); così da
orientarne l’attività in senso favorevole alla associazione nel suo complesso, a
prescindere dalle “utilità” — che ben possono essere differenziate — che i singoli
associati ne avrebbero potuto trarre (sul piano politico, economico, di controllo del

Il tutto, ovviamente, realizzato attraverso la tipica metodologia mafiosa, che
costituisce l’elemento specializzante del delitto di cui all’art.

416 bis cod.

pen.,rappresentata dalla forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo e dalla
condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.
E’ noto, a tale riguardo, che la consorteria deve potersi avvalere della pressione
derivante dal vincolo associativo, nel senso che è l’associazione in quanto tale,
indipendentemente dal compimento di specifici atti di intimidazione da parte dei
singoli associati, a esprimere il metodo mafioso e la sua capacità di sopraffazione.
Essa rappresenta, come s’è accennato, l’elemento strumentale tipico del quale gli
associati si servono in vista degli scopi propri dell’associazione, con la conseguenza
che l’associazione deve aver conseguito in concreto, nell’ambiente circostante nel
quale opera, una effettiva capacità di intimidazione e che gli aderenti se ne siano
avvantaggiati in modo effettivo, al fine di realizzare il loro programma criminoso.
La violenza e la minaccia, dunque, rivestono natura strumentale nei confronti
della forza di intimidazione; costituiscono un accessorio eventuale, o meglio latente,
della stessa, ben potendo derivare dalla semplice esistenza o notorietà del vincolo
associativo. Esse, quindi, non costituiscono modalità con le quali deve puntualmente
manifestarsi all’esterno la condona degli agenti, dal momento che la condizione di
assoggettamento e gli atteggiamenti omertosi, indotti nella popolazione,
costituiscono, più che l’effetto di singoli atti di sopraffazione, la conseguenza del
prestigio criminale della associazione che, per la sua fama negativa e per la capacità
di lanciare avvertimenti, anche simbolici ed indiretti, sia accreditata come temibile,
effettivo ed “autorevole” centro di potere.
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territorio, e simili).

Tali profili dovranno dunque essere congruamente valorizzati, per annettere il
giusto significato —ben scolpito dai giudici del doppio grado di merito — a quelle
condotte di “pressante” vicinanza dei protagonisti della vicenda, nel “gestire” i
potenziali elettori, tutti in grado di percepire il “forte” interessamento dei GIOFFRE’
nella tornata elettorale, la loro presenza anche fisica nel controllo del voto, il solido

vittima, ma convinto partecipe del costituito sodalizio — ed il BUGGE’, attivo
nell’assecondare la riuscita del pactum sceleris.
Il “microsistema” che governava il piccolo Comune della Calabria, la chiara
“ripartizione” soggettiva e di intere famiglie nell’ambito della netta separazione
“bipolare” tra sinistra e destra, la “storicizzata” presenza di gruppi riconducibili a
quella particolare forma criminale di associazione mafiosa denominata ndrangheta
(gli indizi, infatti, che in un contesto territoriale e sociale potrebbero avere un
significato neutro, nelle zone in cui il fenomeno mafioso ha profonde radici storiche e
culturali, assumono il valore di fatti concludenti e di circostanze rivelatrici di una
realtà criminale sottostante), sono tutti elementi giustamente posti in risalto dai
giudici del merito per escludere la fondatezza dei rilievi difensivi: rilievi
insistentemente concentrati (per negare l’esistenza di un clima di assoggettamento
omertoso) sul limitato scarto di voti tra le due liste contrapposte, che aveva
caratterizzato l’esito di quella tornata elettorale, e sulla assenza di specifici atti di
intimidazione nei confronti degli elettori, tanto della lista del MARAFIOTI che di
quella avversaria del Costantino.
Per altro verso, è noto che la tipicità dello schema e della struttura del reato di
associazione per delinquere di tipo mafioso va colta nelle modalità in cui esso si
manifesti in concreto e non nelle finalità che l’associazione persegue o intende
perseguire, giacché le finalità elencate nell’art. 416-bis cod. pen. coprono un’area
pressoché indefinita di possibili tipologie di reato e possono anche avere per oggetto
attività in sé lecite. Il reato di associazione mafiosa costituisce, infatti, una ipotesi di
delitto a condotta multipla, per cui, quando l’associazione risulta finalizzata alla
13

accordo “politico-affaristico” con il MARAFIOTI, il BATTAGLIA — tutt’altro che

commissione di delitti, l’elemento del metodo mafioso vale a caratterizzarla, rispetto
alla associazione per delinquere “comune”, nella previsione speciale, ai sensi dell’art.
15 cod. pen.; mentre, nell’ipotesi in cui le finalità perseguite sono diverse, l’elemento
stesso vale a costituire un titolo autonomo di reato, il cui evento va individuato nella
situazione di pericolo per la libera espressione delle attività socio economiche — e

quelle specifiche caratterizzazioni.
Va da sé, d’altra parte, che la platea delle situazioni in cui può concretamente
realizzarsi la fattispecie associativa delineata dall’art. 416 bis cod. pen., risente

fortemente dei connotati — per così dire “storicizzati” — che ciascun “fenomeno”
mafioso è in grado di esprimere. Non è dunque un caso, sotto questo specifico
profilo, che lo stesso legislatore abbia nel tempo avvertito la necessità di estendere
l’applicabilità della fattispecie anche al di là della originaria matrice “mafiosa” che ne
aveva rappresentato l’ occasio legis (al punto da strutturare la fattispecie sulla
falsariga del tradizionale modo d’essere e di esprimersi della omonima
organizzazione, denominata, appunto “mafia”), per attrarre nella relativa sfera
precettiva anche “fenomenologie” criminali diverse, quali la camorra, la ndrangheta
(art. 6, comma 2, del d.l. 4 febbraio 2010, n. 4, convertito con modificazioni dalla
legge 31 marzo 2010, n. 50), e, in genere, tutte le altre organizzazioni, comunque
localmente denominate (ad es. Sacra Corona Unita, Stidda, ecc.), fino ad assorbire,
nel genus, anche le associazioni straniere (ad es. la cosiddetta mafia cinese, russa e
simili) (art.1, comma 1, lett. b bis, n. 4, del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con

modificazioni dalla legge 24 luglio 2008, n. 125).
Ciò sta dunque a significare che, agli effetti della integrazione del precetto,
ciascuna realtà associativa, al di là del nomen, più o meno tradizionale, vive di
“regole proprie”, così come assume connotati strutturali, dimensioni operative ed
articolazioni territoriali che vanno analizzati caso per caso, senza che i relativi
modelli debbano necessariamente essere riconducibili ad una sorta di unità “ideale”;
con l’ovvia conseguenza che, a ciascun fenomeno associativo, potranno annettersi
14

nella specie dei diritti civili e politici — insita nel particolare vincolo associativo con

caratteristiche peculiari, e ritenersi applicabili “massime di esperienza” non
necessariamente trasferibili rispetto a sodalizi “mafiosi” di diversa matrice. E la
presente vicenda processuale ne è fedele testimonianza, giacchè da essa emerge
plasticamente come, nella stessa “tradizione organizzativa” della ndrangheta, non
possa intravedersi un’unica associazione articolata e presente in determinati territori,

salvo intessere collegamenti con altre entità locali, parimenti organizzate ed
autosufficienti.
Il “localismo” è, dunque, un connotato tipizzante, sul piano strutturale e
funzionale, circa la presenza e l’attività delle “ndrine,” o dei “locali”, con ovvi
riverberi sul piano della “notorietà” e appariscenza dei singoli sodalizi nella vita
sociale, economica e politica di quello specifica zona, in termini (evidentemente)
inversamente proporzionali alla estensione del territorio ed al numero delle persone
ivi residenti.
Per altro verso, e sotto il profilo squisitamente finalistico, non può non rilevarsi
come il legislatore abbia precipuamente riguardato l’esperienza “mafiosa,” come un
realtà in grado di penetrare, non soltanto la realtà socio economica di determinate
aree del Paese, ma anche suscettibile di inserirsi negli stessi gangli della gestione
politico-amministrativa degli enti esponenziali di determinate realtà territoriali, al
punto da aver introdotto, col d.l. n. 306 del 1992, non soltanto la figura del reato di
scambio elettorale politico mafioso (art. 416-ter cod. pen,), ma anche, nel corpo dello
stesso art. 416-bis cod. pen., la specifica finalità — quale scopo del sodalizio mafioso
— di «impedire od ostacolare il libero esercizio del diritto di voto o di procurare voti a
sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali».
Si è osservato, a questo riguardo, come la novella legislativa (introdotta, come
è noto, sull’onda dei tragici attentati mafiosi di quell’anno) non presenti una reale
portata precettiva innovativa, avuto riguardo alla natura intrinsecamente criminosa
del fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto, alla luce delle previsioni
dettate dall’art. 294 cod. pen., nonchè della normativa penale in materia elettorale,
15

ma più “centrali operative” , ciascuna delle quali dotata di una propria autonomia,

rappresentata — per quel che qui interessa — dagli artt. 86, 87 e 90 del d.P.R. 16
maggio 1960, n. 570, recante il Testo unico delle leggi per la composizione e la
elezione degli organi dell’Amministrazione comunale, la quale, appunto, punisce
l’uso di violenza o minaccia o di qualsiasi mezzo illecito di pressione nell’esercizio
del diritto di voto.

state iscritte dal legislatore nel perimetro concettuale dei profitti e vantaggi ingiusti
già previsti dal terzo comma dell’art. 416 bis cod. pen. come elemento di “scopo” che

qualifica le condotte in sé lecite, considerato il rilievo che le modalità di
partecipazione al voto assumono ai fini della qualificazione della ingiustizia del
profitto.
Ma al di là dei profili di possibile evocazione dei reati elettorali come reati-fine
della associazione mafiosa, non sembra revocabile in dubbio la circostanza che il
legislatore, nell’introdurre la novella di cui si è detto, abbia inteso orientare le
applicazioni giurisprudenziali della fattispecie delineata dall’art. 416 bis cod. pen.

anche verso il settore delle collusioni con la politica e le amministrazioni locali,
realizzate attraverso il condizionamento e la manipolazione dei flussi elettorali, reso
possibile proprio attraverso la carica intimidatoria indotta dalla “presenza” e dallo
specifico “interesse” manifestato dal sodalizio mafioso “competente” ratione loci.
In tale quadro di riferimento diviene allora agevole la configurazione di un
sodalizio di tipo mafioso “organizzato” — attraverso la necessaria partecipazione di
concorrenti “politici” – proprio al fine di “controllare”, con la metodologia tipica di
quel genere di associazioni, la tornata elettorale presa in considerazione, al fine di
creare le premesse per poter inserire uomini del sodalizio in seno a quella determinata
amministrazione locale, e traendo da ciò gli indubbi vantaggi che una simile
“penetrazione” è in grado di produrre; vantaggi certamente variegati (sul piano
politico, amministrativo ed economico), ma tali da cementare, e rendere stabile anche
per il futuro il sodalizio, malgrado la diversa matrice e origine dei singoli associati.
16

Deriva, quindi, da tutto ciò, che le finalità del procacciamento del voto sono

Si tratta, quindi, di tutta una serie di “peculiarità” che indubbiamente
presentano rilievo agli effetti della verifica dei presupposti per ritenere integrato il
delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen.; e ciò, tanto sul versante degli elementi

oggettivi, che su quello del profilo psicologico. E’ evidente, infatti, che proprio lo
specifico fine perseguito dalla associazione — contestato, in rubrica, nelle articolate
societatis, altra essendo la correlazione parentale e di “storia” che legava fra loro i
componenti della famiglia GIOFFRE’, altro il collegamento che si è instaurato fra
questi ed i soggetti “politici” inquisiti e tra i medesimi soggetti fra loro.
Altrettanto evidente è il rilievo, per così dire “temporale,” che ha caratterizzato
i fatti oggetto del procedimento, giacchè il prius ed il post elezioni trovavano una loro
lettura unitaria solo nella prospettiva, appunto, del successo elettorale e dei “frutti”
che da esso si intendevano desumere. E’ noto, infatti, a questo riguardo, che ai fini
della configurabilità del reato di associazione per delinquere non è necessario che il
vincolo associativo assuma carattere di assoluta stabilità, essendo sufficiente che esso
non sia a priori e programmaticamente circoscritto alla consumazione di uno o più
delitti predeterminati, atteso che l’elemento temporale insito nella nozione stessa di
stabilità del vincolo associativo non va inteso come necessario protrarsi del legame
criminale, essendo per contro sufficiente ad integrare l’elemento oggettivo del reato
una partecipazione all’associazione anche limitata ad un breve periodo (Cass., Sez. V,
28 giugno 2000, Buscicchio.In senso analogo e più di recente, v. Cass, Sez. I, n.
31845 del 18 marzo 2011).
La circostanza che l’accordo programmatico e costitutivo ruotasse attorno ad
una elezione amministrativa, non può essere dunque evocato — come erroneamente
pretendono i ricorrenti — alla stregua di un elemento indicativo di un programma, per
così dire, ad acta, limitato alla “gestione” della vicenda elettorale, senza alcun
seguito e prospettiva futura. Il programma — da attuare col metodo mafioso — era
infatti tutt’altro che contingente, e mirava ad introdurre, fra l’altro, nella compagne
amministrativa del Comune di Seminara, non soltanto i vertici, quali il Sindaco ed il
17

“forme” di cui si è detto — presenta un indubbio risalto sul versante della affectio

suo vice, ma anche un componente della famiglia GIOFFRE’ da proiettare verso
futuri maggiori incarichi e responsabilità politiche; a testimonianza di come il pactum

sceleris avesse tutt’altro che un oggetto limitato ad un orizzonte “temporalmente”
circoscritto, e meno ancora collegato funzionalmente alla semplice vittoria elettorale
(le intercettazioni richiamate nella sentenza impugnata testimoniano, infatti, in

Allo stesso modo, sono, ancora una volta, proprio le particolarità strutturali e
funzionali del sodalizio a spiegare la ragione per cui le “pressioni” degli associati
erano rivolte a persone vicine (o comunque non pregiudizialmente contrarie) alla
matrice politico-ideologica della lista del MARAFIOTI, del BATTAGLIA e di
GIOFFRE’ Adriano, così come è del tutto logico che le modalità attraverso le quali
gli elettori dovevano essere “convinti” a votare quella lista, non assumessero
connotati di eclatante violenza o minaccia, bastando a tal fine la semplice e vigile
“presenza” dei GIOFFRE’ a fungere da persuasivo incitamento. Gli elettori
dell’opposta lista, infatti, non erano “ontologicamente” avvicinabili — in un Comune
così piccolo, in cui tutti si conoscevano e “conoscevano” i GIOFFRE’ – senza
suscitare pericolose “reazioni.” Allo stesso modo, episodi di intimidazione diretta dei
possibili elettori, si rivelavano non soltanto inutili, ma anch’essi pericolosi, visto,
soprattutto, che la partita fra le due liste si giocava su uno scarto assai modesto di
voti.
Quelli, dunque, che ad avviso dei ricorrenti dovrebbero rappresentare indici del
non condizionamento delle operazioni elettorali, finiscono per trovare — come i
giudici del merito hanno puntualmente messo in evidenza — una coerente spiegazione
proprio alla luce delle peculiarità delle condizioni in cui il sodalizio si è costituito e
delle finalità che esso perseguiva.
D’altra parte, non è senza significato la circostanza che il controllo e la
manipolazione del voto postulasse strategie per così dire differenziate in ragione della
natura dei rapporti che i protagonisti della vicenda avevano con gli elettori, visto che
gli stessi GIOFFRE’, «nei casi in cui avevano imposto il loro voto a certe frange del
18

termini univoci, la enunciazione di prospettive da coltivare anche a lungo termine).

parentado [come nel caso delle pressioni esercitate su Raco Raffaele] lo avevano fatto
senza andare troppo per il sottile» (v. sentenza impugnata, pag. 14).
Al tempo stesso, assume tutta un’altra luce — rispetto a quella benevola additata
dai difensori — la circostanza che GIOFFRE’ Adriano mostrasse preoccupazione per
l’uso di metodi illegali, quali l’uso degli “stampini”, dal momento che l’impiego di

bastando a ciò la presenza del sodalizio, e, soprattutto, rischiosa, perché sarebbe stata
sufficiente una sola denuncia, anche di un elettore della parte avversa (i reati
elettorali sono, come è noto, ad azione pubblica: v. art. 100 del già citato d.P.R. n.570
del 1960) a vanificare la intera operazione.
D’altronde, che

i GIOFFRE’ esprimessero una indubbia “forza di

persuasione,” è ben testimoniato dall’episodio relativo a Domenico Melissari, il
quale, pur trovandosi nel nord Italia, a seguito delle richieste rivoltegli da Vincenzo
GIOFFRE, «pur in assenza di esplicite intimidazioni, si era determinato a ritornare in
tempo utile per votare, dal momento che le schede elettorali non potevano essere
cedute a terzi, cosa di cui il GIOFFRE’ era certamente a conoscenza» (v. la sentenza
impugnata a pag. 116).
Le sentenze di merito, lungi dall’affidarsi a ricostruzioni teoriche e ad analisi di
tipo meramente ambientale, si sono lungamente soffermate sulla lunga teoria di indizi
— desunti da specifiche circostanze di fatto, tutte criticamente analizzate – dai quali
hanno tratto la conclusione di ritenere processualmente accertata la connotazione
mafiosa che nel corso degli anni è venuta, per così dire dia cronicamente, a
caratterizzare la presenza in loco della famiglia GIOFFRE. E ciò a far tempo dai
primi anni ’70, allorchè tra i GIOFFRE’ ed i Pellegrino esplose una cruenta faida, che
si protrasse per diversi anni e che vide numerosi omicidi e tentati omicidi commessi
in danno dei contrapposti appartenenti, secondo cadenze cicliche e con connotazioni
di tipo mafioso e tali da far assumere a quel gruppo, strutturatosi su base familiare,
una fama ed un potere in quello specifico contesto territoriale mai offuscatosi nel
tempo.
19

strumenti tanto “rozzi” per il controllo del voto appariva, per un verso, superfluo,

La sentenza di appello giustamente rievoca l’univoco significato di varie
conversazioni, fra le quali quella intercorsa tra GIOFFRE’ Vincenzo e tale Nuccio
Schiavone, nella quale il primo ricorda la “storia” della propria famiglia, le varie
carcerazioni, le vendette, il numero dei morti e la fierezza di appartenere a quella
“famiglia” ed alla sua storia.

ad Antonio GIOFFRE’un episodio nel quale il defunto GIOFFRE’ Rocco Antonio
aveva pesantemente redarguito Saro Mamrnoliti, capo della omonima cosca di
Castellace. Sempre dalle intercettazioni emergeva, poi, l’esistenza di solidi rapporti
di “rispetto” che l’anziano capo carismatico della famiglia aveva intessuto e
manteneva con gli esponenti di altre cosche, come è dimostrato dal fatto di aver
consentito ad un figlio degli Avignone di lavorare presso la propria cava in un
periodo in cui quella famiglia aveva attraversato difficoltà, a causa di lunghi periodi
di carcerazione dei propri sodali.
Traspariva anche, in termini inequivoci, la vicinanza, non soltanto
“ambientale”, che i GIOFFRE’ manifestavano rispetto agli assetti delle famiglie
mafiose palmesi, visto che Vincenzo GIOFFRE,’ nel parlare con il suo interlocutore,
dimostrava di ben conoscere le vicende, il ruolo e la posizione dei Gallico, dei
Condello, dei Parrello e dei Cagliostro, fornendo al riguardo una serie di indicazioni
che, del tutto pertinentemente, i giudici a quibus hanno ritenuto potessero essere note
soltanto agli intranei alle logiche mafiose locali.
E’ ancora dalle intercettazioni che si viene ad apprendere che Domenico
GIOFFRE’ aveva ricevuto il battezzo, ossia la rituale investitura con cui si viene
affiliati alla `ndrina, ad opera di uno dei maggiorenti dei Parrello, nota cosca di
Palmi, anch’essa impegnata in passato in una faida contro un clan rivale: ed era stato
proprio grazie all’intervento di Rocco Antonio GIOFFRE’ che si era scongiurato uno
sterminio. Una pax, soggiungeva Vinconzo GIOFFRE’, che aveva visto i Galliuco ed
i Pan-ello dividersi Palmi (…«dal Tribunale per sopra era dei Pan -ello, dal Tribunale
20

Una fierezza che traspare anche da altra intercettazione nella quale si rammenta

per sotto era dei Gallico, a spartire proprio il paese. Ora sono uniti che mancu li
cani!»).
Del tutto logico, quindi che i GIOFFRE’ fossero assai temuti in paese, come
d’altra parte emerge dalla conversazione riprodotta a pag. 52 della sentenza
impugnata.
Domenico ed Antonio GIOFFRE’al pranzo nel quale veniva decisa la pace, nella
quale aveva avuto un ruolo significativo proprio GIOFFRE’ Rocco Antonio,
intervenuta fra le famiglie Nirta -Strangio, da un lato e Pelle-Vottari, dall’altro, la cui
contrapposizione aveva dato vita ad una sanguinosa faida, culminata, nell’agosto di
quel 2007, nella strage di Duisburg. Ed è proprio GIOFFRE’ Antonio ad evidenziare,
esaltandola, la compattezza e la “mafitosità” dei gruppi, in un fraseggio scoperto e
tutt’altro che millantatorio, dal quale traspare l’auspicio di veder trasferita anche a
Seminara la “serietà” delle famiglie si San Luca («ma quando mai a Seminara, a
Seminara non sanno cosa vuol dire `ndrangheta non vedi come sono compatti
`Ntoni…abbiamo fatto amicizia adesso che è stata fatta l’amicizia qua una foglia di
albero non si muove, che ti pare qua hanno responsabilità i due perni principali, uno
da una parte e uno dall’altra, e basta, rispondono solo i perni principali, qualsiasi cosa
succede. A Seminara una responsabilità di questa vediamo uno quale responsabilità si
poteva prendere con questi quattro porcarusi che se ne vanno rubando casa casa da
una parte all’altra che ti vergogni pure di dire che sei di Seminara, mi
vergogno…pure la collana alla Madonna ragazzi! Ma non scherziamo. Fanno queste
cose qua per …i Strangio, Pelle, Giorgi, i Nirta tutti là erano…e con quale gioia non
hai visto ballando e saltando…»).
Una pace, a quanto sembra, che aveva visto addirittura la “benedizione”,
rivolta al “pacificatore” GIOFFRE’ Rocco Antonio, dal Vescovo della diocesi di
Locri-Gerace, nel cui territorio ricadeva il santuario di Polsi, luogo del convegno in
cui si era celebrata la “pace di San Luca”.
21

Di indiscutibile valore probatorio è, poi, la partecipazione dei fratelli

E’ dunque, del tutto persuasivo e logico il corollario che da ciò hanno desunto i
giudici del merito, laddove hanno ritenuto che la partecipazione dei GIOFFRE’ ad un
evento di così elevato spessore avesse un senso presupponendo la qualità mafiosa di
quella famiglia in Seminara. In questa prospettiva si coglie, dunque, la ratio essendi
del richiamo — fortemente censurato dalla difesa di GIFFRE’ Adriano — agli esiti del

ritenuta insussistenza in Seminara di una associazione a delinquere unitaria, non
implicava affatto — come recita la relativa sentenza riprodotta a pag. 43 del
provvedimento impugnato – «l’ulteriore negazione della realtà di una autonoma cosca
GIOFFRE’ radicata nello stesso paese come quella distinta dei Santaiti. Gli stessi
chiamanti, che non danno corpo, con le loro propalazioni, ad alcuna realtà di coesione
dei due distinti gruppi criminali, non esitano infatti a individuare in Seminara più
aggregazioni delinquenziali, indicandole concordemente in quelle principali dei
Santaiti e dei GIOFFRE’, oltre che in quella subordinata dei Caia».
Se, dunque, le acquisizioni dell’epoca non erano state reputate congrue agli
effetti della affermazione di penale responsabilità, del tutto pertinentemente quelle
voci processuali ricevono oggi — nel contesto delle diverse e più ampie acquisizioni —
una nuova chiave di lettura, tale da permettere di intravedere in quel processo — e nei
relativi dati probatori — un significativo “tassello” del percorso “mafioso” che ha
costellato il progressivo incedere della cosca GIOFFRE’nel panorama delle
“famiglie” della zona.
L’obiettivo del sodalizio era dunque quello di “impadronirsi” del Comune di
Seminara e per far ciò occorreva, accanto alla gestione “manipolativa” delle
operazioni elettorali, anche una “squadra” politica destinata ad assumere la veste
formale di candidati “presentabili” all’elettorato, ma che assentissero cogestendoli —
ai propositi di “infiltrazione” da tempo maturati dai GIOFFRE’. Questi ultimi
volevano evitare — come testimoniano le intercettazioni — che Costantino o la sinistra
potessero nuovamente prevalere nelle elezioni amministrative e porre dunque al
vertice della amministrazione locale persone che potessero assecondare i loro
22

processo cosiddetto “Ponente”pur conclusosi con decisioni assolutorie, giacchè, la

obiettivi. Il quinquennio di sindacatura del MARAFIOTI, che aveva prevalso nel
2002 sulla opposta lista del Costantino, aveva posto in luce una condotta
amministrativa che non mostrava segni di pregiudiziale avversione nei confronti dei
GIOFFRE’, malgrado la “fama” che li circondava. D’altra parte — hanno sottolineato
i primo giudici – il MARAFIOTI, suocero del mafioso Stanganelli Domenico, «non

notoriamente inseriti in ambienti malavitosi organizzati».
Per altro verso, l’accordo con i GIOFFRE’ non rappresentava un elemento
“neutro” ai fini del successo elettorale, considerato che gli stessi — per consistenza del
nucleo familiare e parentale e per la loro stessa “notorietà” — disponevano di un
bacino di voti ragguardevole e tale da assumere rilievo determinante per gli esiti delle
elezioni: non è un caso, quindi, a testimonianza anche dell’interessamento dei
GIOFFRE’ per la vicenda delle candidature, che nel corso di una conversazione tra
GIOFFRE’ Vincenzo e tale Emma Vincenzo, il primo affermasse, senza mezzi
termini, che era il proprio genitore a decidere chi dovesse essere il Sindaco di
Seminara.
In tale contesto si inquadra, dunque, l’accordo “politico-mafioso” che vedeva
impegnati, da un lato, il gruppo dei GIOFFRE’ e, dall’altro, i “politici” MARAFIOTI
e BATTAGLIA con il contributo “catalizzatore” del BUGGE, e che vide i
protagonisti raggiungere un accordo “costitutivo” del sodalizio e della “iniziativa” nel
corso di due specifiche (e analiticamente scandagliare) riunioni tenutesi, la prima, il
16 aprile 2007 presso la residenza di GIOFFRE’ Antonio Rocco, denominata il
“motore”, e la seconda il 21 aprile 2007, presso un terreno dei GIOFFRE’ ubicato in
una contrada denominata “Topa”. Riunioni, entrambe, caratterizzate da segretezza e
cautela dei convenuti, a fedele testimonianza del contenuto illecito dell’accordo,
inteso ad influire sulla correttezza della presentazione delle liste e delle modalità di
gestione delle operazioni elettorali, in vista, poi, dello sfruttamento politico affaristico
del Comune, una volta occupati i relativi vertici amministrativi e gestionali,
23

disdegnava, pur nella sua posizione, rapporti quantomeno amichevoli con soggetti

attraverso, anche, la penetrazione in seno alla amministrazione comunale di un
rappresentante della famiglia, nella persona di GIOFFRE’ Adriano.
Alla illecita influenza sul voto si è poi accompagnato l’impiego di metodi che,
correttamente, sono stati ricondotti al paradigma della forza intimidatrice promanante
dal sodalizio e dell’assoggettamento incontestabilmente “omertoso” che da esso è

caratterizzato l’attività dei GIOFFRE’nell’accostarsi agli elettori potenziali,
nell’isolare le iniziative di persone vicine all’opposto schieramento o propensi
comunque ad appoggiare altre candidature (illuminante l’iniziativa per impedire che
Artuso Giuseppe potesse ritirare le schede elettorali e svolgere funzione di
“persuasione” ai fini del voto), e nel seguire passo passo chi e per chi venisse
esercitato il diritto di voto, non potevano ricevere una interpretazione avulsa dalla
“storia” di quella famiglia — notoriamente attiva proprio nell’assecondare, come si è
detto, importanti accordi di “pacificazione” tra notissime compagini mafiose
calabresi — in un contesto territoriale così ristretto e con riferimento ad elezioni
amministrative di un Comune il cui consiglio, già nel 1991, aveva conosciuto un
provvedimento di scioglimento per mafia.
Pensare, dunque, che elementi in ipotesi riconducibili a mere “irregolarità
elettorali,” come il ritiro dei certificati elettorali, l’accompagnamento degli elettori ai
seggi, la presenza dei GIOFFRE’ presso gli stessi seggi come rappresentanti di lista,
o l’impiego dei cosiddetti stampini, il tutto in funzione dell’orientamento e del
controllo del voto, risultino pertinenti — come mostrano di ritenere i ricorrenti — alla
configurazione, se del caso, di soli reati elettorali, finisce per risultare ipotesi al
tempo stesso incoerente sul piano logico e, comunque, ampiamente contraddetta dallo
stesso tenore delle conversazioni intercettate.
I GIOFFRE’, d’altra parte, si muovevano a loro agio proprio in quanto famiglia
“onorata”, al punto da poter contattare senza tema anche soggetti in stato di latitanza
(v. sentenza impugnata a pag. 123): il che dimostra come, non essendo pensabile che
un latitante potesse venire a votare, simili contatti servissero proprio per rendere
24

derivato, posto che la “pressante” vicinanza ed il costante attivismo che ha

ancora più incisiva l’opera di “persuasione” che un certo tipo di ambiente era in
grado di determinare.
D’altra parte, che il clima generatosi in quella tornata elettorale non fosse dei
più sereni, è stato puntualmente posto in evidenza già nella sentenza di primo grado,
la quale, nel dedicare ampio spazio alla testimonianza resa dal Costantino, aveva

smorzare i toni e di minimizzare: quando proprio il Costantino era rimasto vittima del
danneggiamento della propria autovettura, significativamente mai denunciato;
episodio, questo, al quale si coniugava il fatto che 1’11 maggio 2007, Buggè
Giuseppe, fratello dell’imputato e candidato nella lista del Costantino, aveva
denunciato il danneggiamento mediante incendio di alcune piante di ulivo.
In tale quadro di riferimento anche vicende all’apparenza collaterali, come
quella relativa al “ricollocamento”di Ciappina Maria Concetta, assessore uscente e
prima degli eletti, la quale aspirava — tramite le “pressioni” esercitate al marito Enzo
Savo — a mantenere un ruolo di primo piano, difficilmente compatibile con il disegno
di attribuire il suo assessorato a GIOFFRE’Adriano, assume un significato del tutto
convergente rispetto al quadro complessivo tracciato dai giudici del merito. Essendo
stata la Ciappina la più votata, si pensava di soddisfarne le aspirazioni accordandole
la presidenza del Consiglio comunale, ed il BUGGE’cercava quindi di convincere il
Savo sulla bontà di tale soluzione, trattandosi di incarico che richiedeva doti di
competenza e capacità. Proposta, peraltro, che vedeva il Savo in netto disaccordo, al
punto da sottolineare, in toni forti, che il suo impegno a favore della lista lo
legittimava ad avere ben di più che quella insignificante posizione, minacciando,
addirittura, la possibilità “che si andasse tutti a casa”.
La Ciappina, poi, non conseguiva incarichi di sorta, a testimonianza del
“potere” ormai raggiunto dai GIOFFRE’: ma è significativo il tipo di “arma di
pressione” impiegato nei loro confronti dal Savo. Quest’ultimo, infatti, aveva fatto
intendere ai GIOFFRE’ di aver redatto un memoriale nel quale erano state riportate
circostanze idonee a determinare il loro arresto per associazione. «Il Savo, difatti,
25

osservato come costui, nell’offrire la propria versione dei fatti, avesse cercato di

seppur assolto nel processo “Ponente”, si era reso latitante con gran parte dei mafiosi
seminaresi poco prima che scattasse l’esecuzione dell’ordinanza cautelare e quindi
era a conoscenza di tanti segreti, mafiosi e politici». Da qui, intervento del BUGGE’
e il tentativo di “aggiustare” la vicenda assegnando alla donna il ruolo di presidenza
del Consiglio comunale (v. sentenza impugnata, pag15 e segg. e 77 e segg.).

poche difficoltà, si sia limitata ad affermare — malgrado le intercettazioni
dimostrassero il contrario — che la sua mancata riconferma era dipesa da scelte
personali e dal minimo apporto dato alla giunta precedente a causa delle sue
prolungate assenze per maternità, dimostrando, per facta concludentia, l’esistenza di
quel clima di assoggettamento omertoso che aveva accompagnato l’intero
svolgimento della tornata elettorale e la gestione delle stesse vicende consiliari.
Che l’attività del sodalizio nel suo complesso non fosse poi circoscritta alla
sola “conquista” del Comune di Seminara, ma fosse proiettata anche verso il futuro,
secondo prospettive di comune e reciproco vantaggio — in tal modo dissolvendo la
fondatezza dei rilievi difensivi, secondo i quali l’associazione contestata avrebbe
rappresentato una sorta di sodalizio “a tempo determinato” — è circostanza
univocamente asseverata dalle diverse vicende ed interessi maturati sull’onda del
successo elettorale. Fra gli aspetti ricollegabili agli interessi dei GIOFFRE’, per i
quali il neo sindaco avrebbe dovuto svolgere un ruolo agevolativo, vi era, infatti, la
vicenda della cava sita in contrada Zambara e gestita, senza le dovute autorizzazioni
(tant’è che per essa venne pronunciata il 2 luglio 2009 sentenza di condanna da parte
del Tribunale di Palmi), da Vincenzo GIOFFRE; una vicenda, questa, per la quale,
mentore il MARAFIOTI (v. pag. 145 della sentenza impugnata), il capo dell’ufficio
tecnico del Comune di Seminara, architetto Alvaro„ aveva preso tanto a cuore la
vicenda da aver accompagnato GIOFFRE’ Antonio a Catanzaro, sede
dell’assessorato regionale competente, per ricercare e proporre soluzioni sananti.
Nella medesima prospettiva di “sfruttamento” della posizione conseguita, è
stata pure inquadrata la vicenda relativa alla costruzione della cappella funeraria della
26

Non stupisce,dunque, che la donna, presentatasi in dibattimento dopo non

famiglia Gagliotti, per la quale si stava attivando Mariangela Gagliotti, figlia di
Domenico, ucciso nel dicembre 2004, la quale voleva appunto onorare in tal modo il
genitore. L’iniziativa, osteggiata dai GIOFFRE’ che non volevano quella tomba,
venne bloccata per non meglio precisate questioni amministrative, dall’Alvaro,
ancora una volta con il diretto interessamento del MARAFIOTI (pag. 89 della
promanante dalla cosca dei GIFFRE’ sono, poi, le preoccupazioni manifestate per la
propria incolumità da Carmine Gaglioti, fratello della intestataria del permesso,
essendo a tal proposito eloquente la conversazione riprodotta a pag. 88 della
sentenza, ove l’uomo disapprovava la tenacia della sorella nell’avversare la revoca
del permesso, perché in tal modo avrebbe “deciso la sua morte”.
Altrettanto significativi sono, infine, i riferimenti alla vicenda dei contributi
devoluti dal Comune per l’annuale festa agostana della Madonna dei Poveri e quella
relativa alle assunzioni nei cantieri autostradali della IMPREGILO, diffusamente
rievocati in entrambe le sentenze di merito (pagg. 155 e segg. della sentenza di primo
grado e pagg. 89 e segg. di quella di appello).
Scendendo all’esame dei singoli ricorsi — che devono essere tutti respinti — può
rilevarsi come, a proposito delle censure dedotte nel ricorso rassegnato nell’interesse
di GIOFFRE’ Antonino, GIOFFRE’ Vincenzo e GIOFFRE’ Domenico, l’aspetto
centrale delle doglianze, in larga misura reiterative di quelle già devolute
all’attenzione dei giudici dell’appello, ruoti essenzialmente attorno alla assenza di
qualsiasi connotazione di “mafiosità” nell’interessamento degli imputati per
l’andamento della campagna elettorale e dell’esercizio del voto, ponendosi
essenzialmente in luce la regolarità delle operazioni, l’assenza di minacce esplicite, la
libertà di candidarsi per l’una o l’altra delle liste contrapposte.
Quanto al lessico “violento” che traspare dalle intercettazioni, unitamente ad
altre circostanze reputate indizianti, il tutto sarebbe frutto di atteggiamenti di
megalomania, neutri sul piano probatorio. A conferma di ciò, starebbero anche le
decisioni cautelari, nelle quali si era affermata la equivocità di elementi come il ritiro
27

sentenza impugnata). Oltremodo significative della perdurante intimidazione

t

delle schede o i noti “stampini,” per delineare, al di là di semplici illeciti elettorali, la
sussistenza della contestata ipotesi associativa.
Le posizioni degli imputati, contrariamente all’assunto del ricorso, sono più
che adeguatamente scolpite nella sentenza impugnata, la quale — attenta a misurarsi
con le censure di merito proposte in sede di appello e per molti profili rievocate anche

desunti dalle conversazioni intercettate. Che di queste, poi, e ancora una volta in
contato con l’opposta tesi del ricorrente, sia stata fornita una lettura del tutto univoca
e coerente, traspare a chiare note dai numerosi passaggi riprodotti nella decisione
impugnata, ed il cui senso compiuto appare essere chiaramente sintonico rispetto al
quadro d’assieme in cui giudici

a quibus hanno ritenuto di iscrivere i singoli

riferimenti.
A proposito di GIOFFRE’ Antonino, che è il maggiore dei figli di Rocco
Antonino, indiscusso leader carismatico della cosca (i riferimenti alla sua “storia”,
alla fama ed al prestigio che si era guadagnato anche nei confronti delle altre famiglie
mafiose, alla sua “presenza” sul territorio e nel Comune di Seminara, ed al timore con
cui le persone del luogo si rapportavano alla sua persona, sono un dato costante che
traspare dalle sentenze di merito), la decisione impugnata ne puntualizza il ruolo
come persona sempre presenta accanto al padre nelle questioni di maggiore
delicatezza. Partecipa, infatti alle due riunioni “operative” svoltesi il 16 ed il 21 aprile
per appianare il problema posto da Mariano BATTALIA, riottoso nell’accontentarsi
del ruolo di vice sindaco, e si prodiga nell’intessere le fila con quanti dovevano essere
resi edotti dell’andamento della campagna elettorale e delle trattative per la
presentazione di una lista unitaria. E’ presente, sempre assieme al padre e ad Adriano,
ad un incontro per cercar voti da soggetti che si trovavano in stato di latitanza, e
partecipa ad un incontro riservato con il MARAFIOTI per parlare delle deleghe
assessoriali e dei problemi inerenti alla cava di famiglia sita in contrada Zambara.
E’ben al corrente e attivo partecipe del problema connesso al ricollocamento della
Ciappina e delle sue aspirazioni ad ottenere la delega attribuita ad Adriano
28

in sede di ricorso — ha puntualizzato i sicuri indici partecipativi, in larga misura

GIOFRE’e si mostra in stretto contatto con il BATTAGLIA, dal quale veniva spesso
accompagnato per operazioni economiche e personali, a testimonianza di un sodalizio
ormai definitivamente cementatosi. Non è stato ritenuta senza significato, infine, la
circostanza che l’imputato si fosse recato il 13 settembre 2007 al santuario di Polsi
ove, secondo quanto ipotizzato dalle indagini (ma, soprattutto, secondo quanto

“mafiosa” tra le famiglie di San Luca, Pelle-Vottari e Nirta-Strangio.
Da tutto ciò, l’assunto dei giudici a quibus che hanno indicato nell’imputato
colui che rivestiva un ruolo di assoluto spessore, proprio in quanto figlio maggiore
del poi defunto Rocco Antonio e dunque pronto ad assumerne l’eredità.
Ugualmente di rilievo è la figura di GIOFFRE’ Vincenzo. Costui, infatti, è il
secondo dei figli del capo Rocco Antonio ed è la persona che, fin troppo “aperta” e
trasparente nelle conversazioni che lo hanno visto protagonista, racconta con fierezza
la “storia” mafiosa della propria famiglia, soffermandosi sui trascorsi e sui tragici
fatti che avevano cadenzato la faida che aveva contrapposto i GIOFFRE’ ai
Pellegrino. Ha buona dimestichezza con le varie famiglie mafiose di Palmi,
mostrandosi conoscitore di varie vicende dei Gallico, Condello, Parrello Cagliostro
che solo persona “interna” all’ambiente può aver appreso; come, d’altra parte, è
logico che sia, stante il rapporto di “comparaggio” esistente tra il fratello Domenico e
Cecè Parrello, definito, appunto, “uno dei capi”. Da qui, la conoscenza, tutta
“intranea,” della intervenuta “divisione” di Palmi, a seguito di un accordo
pacificatorio,tra i Parrello, da un lato, ed i Gallico, dall’altro (“…dal Tribunale per
sopra era dei Parrello, dal Tribunale per sotto era dei Gallico, a spartire proprio il
paese. Ora si sono uniti che mancu li cani!”). Sempre dalle intercettazioni è emerso il
ruolo di grande attivismo partecipativo alla attività preparatoria —al punto, precisa la
sentenza impugnata, da essere stato «in grado di calcolare in maniera quasi perfetta il
numero dei voti riportati dalla coalizione di MARAFIOTI (“1050 voti”)», rispetto a
quelli effettivi pari a 1058 — che alla stessa “gestione” del voto, quale rappresentante
29

traspare dalle conversazioni intercettate), sarebbe stata sancita la pacificazione

t

di lista, attento ad “accompagnare” e sollecitare i votanti, al punto da farsi redarguire
dal maresciallo dei Carabinieri presente presso il seggio (v. pag. 104 della sentenza).
Quanto a GIOFFRE’ Domenico, la cui indole violenta è stata posta in luce
dalle conversazioni intercettate, è anch’egli presente ai seggi quale rappresentante di
lista, al precipuo scopo (come emerge da una intercettazione ambientale) di ricordare

proveniva da persona che aveva ricevuto, come si è già ricordato, l’affiliazione da
uno dei capi della cosca Parrello di Palmi, e che, dunque, non proveniva da un
semplice “attivista,” ma da un qualificato esponente di una “famiglia” coagulatasi
attorno al progetto di favorire — con i metodi tipici della associazione mafiosa – la
candidatura del MARAFIOTI, per ottenere il “controllo” del Comune e permettere la
“scalata politica” al cugino Adriano, al quale doveva essere attribuito un assessorato.
Progetto comune al quale l’imputato ha dato la propria adesione e per la riuscita del
quale si è attivamente impegnato assieme ai fratelli.
Ugualmente non fondate sono anche le doglianze poste a base del ricorso
rassegnato nell’interesse di GIOFFRE’ Vittorio Vincenzo. Il ricorso, infatti, si snoda
secondo un percorso ricostruttivo che ha seguito pedissequamente lo “schema” logico
e cronologico adottato dai giudici

a quibus per ripercorrere la genesi del clan

GIOFFRE,’ come compagine mafiosa, e le successive evoluzioni, fino al “patto” con
i “politici” inteso a conseguire il controllo della amministrazione comunale di
Seminara: il tutto,peraltro, attraverso un metodo di dissoluzione atomistica delle varie
“tappe,” e di isolamento dei percorsi dei singoli che finisce per svalutare totalmente
la interazione tra le vicende e tra i personaggi (quasi fossero tante monadi, e non una
stessa “razza” — come più volte si dice nelle intercettazioni — unita da vincoli
parentali e non solo); frustrando, in al modo, qualunque possibilità di lettura unitaria
dei fatti. In questa prospettiva, la faida degli anni ’70 tra i GIOFFRE’ ed i Pellegrino
finisce per assumere connotazioni del tutto neutre, sul semplice presupposto che gli
odierni imputati — ed in particolare GIOFFRE’ Vittorio Vincenzo, ancora bambino a
quell’epoca — non avrebbero direttamente partecipato a quelle tragiche vicende. Il
30

agli elettori di votare secondo gli impegni presi. Un “invito”, va sottolineato, che

processo “Ponente”, dalle cui acquisizioni sarebbero stati tratti indebitamente spunti
per asseverare l’ escalation dei GIOFFRE’ ed i rapporti da tempo esistenti tra il
“capo” GIOFFRE’ Rocco Antonio ed il BUGGE,’a testimonianza di quanto fosse
vivo già all’epoca l’interesse di quella famiglia per la “vicinanza” con le
amministrazioni comunali, si era concluso con tutte assoluzioni. Quanto, poi, alle

certo a qualificarlo come mafioso, mentre si esclude che lo stesso abbia concorso a
promuovere le riunioni al “motore”, il 16 aprile, ed alla “topa”, il 21 aprile: riunioni
alle quali il medesimo non ebbe a partecipare e delle quali non risulta fosse a
conoscenza. D’altra parte, si osserva, se l’imputato venne tenuto al di fuori delle
riunioni fondamentali per la riuscita del programma, a causa del suo carattere
invento, non si vede perché non ne dovesse essere sfruttato il contributo, proprio
quale strumento ancor più “persuasivo”. I giudici dell’appello, si sottolinea
conclusivamente, avrebbero quindi nella sostanza costruito la posizione dell’imputato
sulla base di elementi di ordine congetturale, interpretando in modo parziale le
intercettazioni, e non assegnando alcun rilievo a tutte le spiegazioni alternative poste
a base dell’atto di appello e che in sede di ricorso vengono diffusamente rievocate.
I rilievi si rivelano, però, privi di consistenza e risultano enunciati in termini
tali da rendere il ricorso prossimo alla inammissibilità, sia perché sostanzialmente
aspecifico, in quanto nella sostanza reiterativo delle questioni già agitate e
motivatamente affrontate dai giudici del gravame, sia perché l’unico motivo
rassegnato, solo in apparenza (a prescindere dai comuni rilievi in ordine alla
configurabilità del reato associativo) deduce vizio di motivazione e di violazione di
legge, apparendo in larga misura orientato a sollecitare un nuovo apprezzamento
delle risultanze probatorie, evidentemente incompatibile con la presente sede di
legittimità.
Al contrario, la sentenza impugnata ha puntualmente messo in luce come
l’imputato — alla stregua di quanto egli stesso andava affermando nelle conversazioni
intercettate — si mostrasse, al di là della violenza e della logica di “regolamento dei
31

risultanze delle intercettazioni, l’atteggiamento violento dell’imputato non varrebbe

conti” che traspariva da ogni suo dire, perfettamente in sintonia con il contesto
mafioso della sua famiglia (è il nipote di GIOFFE Rocco Antonio e fratello di
GIOFFRE’ Vincenzo, ucciso il 13 agosto 2009 a Seminara, sotto casa, colpito — si
legge nella sentenza impugnata- da colpi di arma da fuoco caricata a pallettoni, con
modalità tipiche dell’esecuzione mafiosa) ed inserito nelle logiche familiari intese a

“stampini”, fortemente avverso al Costantino, etichettato nel peggiore dei modi, non
per qualche ragione di tipo politico-amministrativo, ma semplicemente perché
rigoroso e non disponibile a favorire gli stessi GIOFFRE’ («…quel cornuto che gli
toglie il pane ai miei figli…»), a differenza del ben più malleabile MARAFIOTI.
Propenso ad appoggiare la candidatura di Adriano — fatto, questo, per il quale si
arrogava il merito di essere stato colui che aveva promosso l’idea — non soltanto per
“penetrare” nei gangli dell’amministrazione, ma anche per il “prestigio” della
famiglia («L’ho fatto per la famiglia, per dimostrargli stavolta la forza dei
GIOFFRE’»), l’imputato non è stato chiamato a svolgere, dato il suo carattere
irruento, compiti di mediazione; ed è in tale contesto che ben si colloca l’assunto dei
giudici a quibus secondo il quale il medesimo, pur non partecipando agli accordi
stipulati in contrada Topa, non soltanto ne avesse condiviso appieno lo svolgimento e
l’esito, affermando di essere stato proprio lui a lanciare l’idea che il padre convocasse
i “politici” per sancire l’accordo poi intervenuto, ma ne avesse seguito da vicino i
relativi sviluppi.
D’altra parte — ed a fedele testimonianza di quali fossero in concreto le sue
capacità di “persuasione” e l’attivismo mostrato nella intera operazione — sta
l’episodio di Domenico Melissari, il quale, trovandosi al nord, proprio su
sollecitazione dell’imputato, «pur in assenza di esplicite intimidazioni, si era
determinato a ritornare in tempo utile per votare, dal momento che le schede elettorali
non potevano essere cedute a terzi; cosa di cui il GIOFFRE’ era certamente a
conoscenza».
32

“conquistare” il Comune di Seminara. Era perfettamente al corrente dell’uso degli

Va respinto anche il ricorso proposto nell’interesse di GIOFFRE’ Adriano. Le
considerazioni svolte per sostenere la insussistenza del contestato sodalizio mafioso,
sono, nella sostanza, comuni a quelle svolte negli altri ricorso; sicchè per esse
valgono le considerazioni già svolte. A proposito, infatti dell’insistito rilievo
concernente l’impossibilità di evocare la sentenza “Ponente” come base storica atta

esclusa l’esistenza a quell’epoca di una cosca così denominata, s’è già posto in
evidenza come, nell’ambito di quel processo, più voci ne avevano accreditato
l’esistenza, pur se alle stesse non si era ritenuto di annettere la rilevanza probatoria
congrua agli effetti della declaratoria di responsabilità penale. E’ del tutto coerente,
quindi, che il quadro probatorio ritenuto insufficiente in quel contesto processuale,
possa ricevere, oggi, alla luce delle nuove acquisizioni, una lettura, per così dire, più
“sedimentata” e tale da legittimare la ricostruzione “storica” effettuata dai giudici

a

quibus, in termini di progressivo accrescimento della presenza mafiosa della famiglia
GIOFFRE’, mai distaccatasi da un certo humus e da un certo modo di essere presente
sul territorio.
Il tentativo, poi, di accreditare una lettura “neutra” delle intercettazioni
rievocative della tragica faida degli anni ’70, quasi fosse una semplice rimembranza
di tempi passati e di vicende vissute da altri, si scontra con l’esplicita “fierezza” con
la quale quei fatti venivano ricordati,a1 punto da rendere quelle vicende, non soltanto
un elemento di orgoglio familiare, quanto piuttosto il coagulo storico sul quale e per
il quale si era cementata la genesi ed il prestigio del clan.
Quanto, poi, alla personalità dell’imputato, la difesa fa leva sulla circostanza
che, dalle stesse conversazioni intercettate fosse emerso che i familiari del giovane ne
avevano promosso la candidatura proprio per il fatto che lo stesso era “rimasto fuori
da tutto” e rappresentava “la nuova speranza della famiglia”, accreditandone, dunque,
la estraneità a qualsiasi progetto delittuoso. L’assunto non è però concludente, dal
momento che — secondo la ricostruzione operata dai giudici del merito – l’obiettivo
comune perseguito dal sodalizio era proprio quello di giungere al “controllo” della
33

ad asseverare l’assunta “mafiosità” dei GIOFFRE’, essendo stata processualmente

amministrazione comunale, non soltanto attraverso la partecipazione a tale disegno di
coloro che dovevano ricoprire le cariche di vertice di quella amministrazione, ma
anche attraverso un componente della stessa famiglia GOFFRE’ che avesse, per così
dire, il “volto presentabile.” Anche la preoccupazione mostrata dall’imputato per
l’uso degli “stampini” per gli analfabeti, si iscrive in questa logica, non avendo alcun

“storia” familiare, e poi “minarne” la credibilità, coinvolgendolo in prima persona
nella consegna degli “stampini” col suo nome e cognome. Generando, al tempo
stesso, il rischio — come si è già messo in luce — dell’avvio di un qualche
procedimento per reati elettorali, promuovibile a seguito di azione popolare.
Il pieno coinvolgimento dell’imputato nel progetto politico-mafioso maturato
in occasione delle elezioni amministrative del 2007 al Comune di Seminara e
destinato a “fruttare” per il futuro in caso di vittoria della lista MARAFIOTI, è stato
desunto da varie circostanze, tutte di univoco segno. GIOFFRE’ Adriano era infatti
non soltanto a conoscenza delle vicende familiari e del particolare contesto
ambientale in cui le stesse si erano iscritte, ma si mostrava del tutto consenziente
rispetto ai metodi di “persuasione” utilizzati dai suoi familiari per appoggiarne la
candidatura («…gliele abbiamo dette quattro parole giuste giuste…», «…glielo dice
per bene a suo padre…»), partecipando attivamente alla ricerca di voti, in vista del
condiviso progetto di futuro “politico” («…lo scopo che vogliamo ottenere io e
Adriano..» dice Domenico), che non si doveva arrestare neppure all’incarico di
assessore. Il che, tra l’altro, denota come si trattasse di un progetto a lungo termine, e
non certo di un disegno — come pretenderebbe il ricorrente — circoscritto alla semplice
tornata elettorale del 2007.
La sentenza impugnata, sulla falsariga della diffusa analisi già condotta dai
primo giudici, ha, d’altra parte, motivatamente dissolto la versione dell’imputato
secondo la quale il medesimo avrebbe maturato la decisione di candidarsi nella
prima settimana di aprile, comunicandolo ai propri familiari. La decisione,invece, era
stata presa dai GIOFFRE’ qualche giorno prima della riunione che GIOFFRE’ Rocco
34

senso offrire agli elettori un GIOFFRE’ apparentemente non compromesso dalla

Antonio aveva indetto per la giornata del 16 aprile ( già il 12 aprile, infatti,
GIOFFRE’ Domenico dice: «Allora il nostro candidato sarà Adriano, hai
capito?…Però muto!…Perchè lo sappiamo io, tu, Adriano e tuo zio Vincenzo.. .E mio
padre…»). La “investitura” familiare per la candidatura e la comune gestione della
vicenda elettorale, esclude, dunque, l’ipotesi che l’imputato avesse maturato una

“clan”: l’adesione al progetto è, dunque, indice di adesione al sodalizio, e non un
percorso autonomamente prescelto.
Per altro verso, l’attenzione serbata dall’imputato alle diverse vicende connesse
alla problematica degli accordi col MARAFIOTI ed il BATTAGLIA, è testimoniata
dalla “vicinanza” fisica che — alla stregua delle indagini — lo vide presente, poco dopo
la fondamentale riunione del 21 aprile a contrada Topa, in una zona vicina a quella in
cui era avvenuto l’incontro tra i GIOFFRE’ ed i politici BUGGE’, MARAFIOTI e
BATTAGLIA (v. pag. 124 della sentenza impugnata).
Il pieno coinvolgimento dell’imputato, per altro verso, traspare univocamente
anche dalla circostanza che lo stesso pur prudente Adriano (le sentenze di merito
hanno assai diffusamente scandagliato tale aspetto) partecipa assieme a Nino ed allo
stesso GIOFFRE’ Rocco Antonio ad un incontro con soggetti che si trovavano in
stato di latitanza per cercare voti: episodio, questo, in rapporto al quale la sentenza
impugnata deduce, in termini logicamente più che plausibili, che «con ogni
probabilità, il latitante incontrato in tale occasione doveva essere un personaggio di
spessore, tanto che lo stesso GIOFFRE’ Rocco Antonio si era scomodato ad
accompagnare il candidato all’incontro, rischiando così egli stesso di essere
arrestato».
Le doglianze relative al rigetto della richiesta riapertura della istruzione
dibattimentale e quella concernente la mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche sono entrambi inammissibili, essendo la prima del tutto generica
e la seconda manifestamente infondata, alla luce della puntuale e non censurabile
motivazione offerta sul punto dai giudici dell’appello.
35

autonoma scelta verso la politica, dal momento che a ciò era stato indotto proprio dal

Quanto a BUGGE’ Carmelo Antonio le censure proposte nel ricorso oltre ad
attestarsi sui rilievi svolti da questa Corte in sede cautelare, nella sentenza n. 7/09
pronunciata dalla Sesta sezione di questa Corte il 3 dicembre 2008, con la quale
venne annullata con rinvio la decisione reiettiva della istanza di riesame avanzata
nel’interesse dello stesso imputato, si ribadisce, nella sostanza, si concentrano sulla

di condizionamento del voto; e si sottolinea, al riguardo, come il contributo offerto
dall’imputato si sarebbe limitato ad un’opera di mediazione di carattere
esclusivamente politico: Allo stesso modo, soltanto per ragioni politiche era
intervenuto nelle varie vicende inerenti al voto, quali quelle relative alle assegnazioni
degli assessorati e alle stesse riunioni preelettorali. D’altra, parte, ha sottolineato il
ricorrente, il medesimo era stato prosciolto dalla accusa di concorso esterno mossagli
nell’ambito del noto processo “Ponente”; inoltre, soggiunge il ricorso, «aveva avuto
rigettata una proposta per misura di prevenzione da parte del Tribunale di Reggio
Calabria ed aveva subito una lunga serie di danneggiamenti, tutti regolarmente
denunciati, che facevano denotare l’assoluta estraneità di esso ricorrente a contesti di
criminalità organizzata».
Le doglianze sono, però, prive di fondamento. A proposito, infatti, della
decisione adottata in sede cautelare, non può non sottolinearsi come a quella
decisione ne siano succedute altre di segno completamente opposto, quale la sentenza
pronunciata da questa stessa Sezione n. 38/09 del 29 gennaio 2009, nei confronti di
GIOFFRE’ Rocco Antonio, GIOFRE’ Antonino, GIOFFRE’ Vincenzo e GIOFFRE’
Domenico, e la sentenza, sempre di questa Sezione, n. 23169/09 del 26 febbraio
2009, relativa al “politico” MAFRAFIOTI, ove si osservò, fra l’atro, come le
modalità degli incontri osservati dalla polizia giudiziaria fra soggetti tutti
direttamente interessati all’sito elettorale, il contenuto dei colloqui percepiti
attraverso le captazioni delle conversazioni intercettate, il coinvolgimento e la storia
della famiglia GIOFFRE’, ed i peculiari metodi — ritiro delle schede elettorali,
impiego degli “stampini” e simili — fossero elementi, tutti, indicativi «di una strategia
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assenza di elementi dai quali desumere il dispiegarsi del metodo mafioso nella attività

di imposizione di un esito elettorale che si pone totalmente al di fuori delle regole
previste per un ordinato svolgimento delle elezioni».
L’intervento di BUGGE’, d’altra parte, non è né estemporaneo ne avulso da
pregresse esperienze e relazioni. Egli,infatti, da tempo in politica, è stato sindaco a
Seminara a più riprese e da ultimo fino al 1991, allorché il consiglio comunale venne

i GIOFFRE’ ed in particolare col “padrino” Rocco Antonio. Non a caso,dunque,
entrambi erano stati coinvolti nel processo “Ponente” ed avevano subito un periodo di
comune carcerazione, durante il quale Rocco Antonio lo aveva aiutato
economicamente. L’intervento di BUGGE’, dunque, non cala dal nulla e non si
iscrive quale iniziativa politica individuale, ma scaturisce — secondo la ricostruzione
puntualmente operata dai giudici del merito — da una richiesta dei GIOFFRE’, alla
quale il ricorrente aderì prontamente, proprio in virtù dei solidi legami che lo
vedevano da tempo strettamente collegato con il capo carismatico della famiglia.
Famiglia della quale ben conosceva storia, metodi ed obiettivi. Che la sua opera, poi,
non si fosse limitata alla partecipazione alle pur fondamentali riunioni operative per
la riuscita della strategia elettorale, è testimoniato dal fatto che, come emerge dalle
conversazioni intercettate, anche dopo le elezioni il BUGGE’ si era adoperato
attivamente per far sì che gli accordi presi tra tutti i protagonisti della vicenda nella
riunione svoltasi il 21 aprile a contrada Topa, fossero, non solo rispettati, ma anche
portati a buon esito negli obiettivi perseguiti; obiettivi fra i quali doveva essere
annoverato anche — aspetto, questo, di non trascurabile risalto — l’attribuzione di un
assessorato per il giovane GIOFFRE’ Adriano. Evenienza, questa, che, come s’è già
accennato, assumeva grande rilievo proprio sul piano della associazione, dal
momento che, attraverso quel disegno, si realizzava la prospettiva di collocare il
“volto presentabile” della famiglia in una posizione ottimale ai fini della sua futura
“carriera” politica, e, quindi, permettere un “controllo” ancora più stringente sulla
amministrazione comunale.
37

sciolto per mafia e nel relativo provvedimento si rievocavano, appunto, i rapporti con

Ed è questa la ragione per la quale si iscrive appieno fra le attività svolte
nell’interesse del sodalizio la serie di interventi effettuati dall’imputato per risolvere
la questione relativa a Ciappina Maria Assunta, assessore uscente e risultata la più
voltata, che mirava — come s’è già ricordato – ad ottenere la riconferma
nell’assessorato in precedenza ricoperto e che, invece, si intendeva attribuire al

Quanto, poi, ai vari danneggiamenti di cui il BUGGE’ sarebbe rimasto vittima
e che, a parere della difesa, dimostrerebbero la provenienza politica di tali episodi e la
estraneità dell’imputato a qualsiasi contesto di criminalità organizzata, sta la diffusa
replica offerta dei giudici del merito, i quali hanno, al contrario, motivatamente
escluso qualsiasi riconducibilità di tali episodi a vendette connesse alla sua attività
politica. D’altra parte, che la lista appoggiata dai GIOFFRE’avesse bisogno di un
“sostegno” del tutto particolare e capacità di persuasione di tipo mafioso, è attestato
dalla conversazione dello stesso BUGGE’ con tale Totò Russo, nel corso della quale
quest’ultimo, riferendosi al MARAFIOTI e alla sua lista, chiaramente osserva che
«…le persone per bene non li votano e lui può fare pressione sui delinquenti, e di
quella riunione che hanno fatto la sopra, quella è stata la loro toppa…».
Le riunioni del “motore” e della “Topa” sono state, dunque, segrete, e hanno
visto i convenuti muoversi con notevole circospezione, non — come vorrebbe
accreditare il ricorrente — per tener celati i loro disegni politici agli avversari, ma
perché era l’oggetto delle riunioni e la personalità degli associati a dover restare
occulto, trattandosi di momenti qualificanti la genesi e lo sviluppo dello stesso
programma associativo, che mirava, dapprima, a manipolare le modalità e gli esiti
della consultazione elettorale, e, poi, ottenere il controllo della amministrazione
comunale.
Le doglianze relative alla mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche ed al trattamento sanzionatorio sono palesemente destituite di fondamento
giuridico, in quanto la motivazione offerta in proposito dai giudici dell’appello si
rivela congrua e non suscettibile di censura in questa sede.
38

giovane e Adriano.

Anche il ricorso di BATTAGLIA Mariano deve essere respinto. La base dello
schema difensivo ed il nucleo centrale attorno al quale ruotano le censure del
ricorrente si snoda essenzialmente attorno alla assenza di elementi che denotino una
“affinità” dell’imputato, tanto nei confronti del gruppo GIOFFRE’che nei riguardi
dello stesso MARAFIOTI: evidenziandosi, a tal proposito, accanto alla brevità di tali

affectio societatis; al punto da evocare la scriminante di cui all’art. 54 cod. pen., in
ordine ai noti accordi intervenuti nel corso delle due riunioni operative.
Si tratta, però, di rilievi entrambi fallaci. Ai fini della integrazione del delitto di
cui all’art. 416 bis cod. pen., infatti, ciò che rileva è l’adesione al sodalizio al quale si

intende fornire un contributo, e che tale contributo si realizzi attraverso forme idonee
al mantenimento in vita della struttura ed al perseguimento degli scopi di essa.
L’affectio sociatatis è, infatti, elemento che attiene all’asseto organizzativo ed alla
permanenza della associazione, ma non presuppone affatto, nell’ambito degli stessi
rapporti di sodalità, una specifica convergenza nelle vedute strategiche, o, addirittura,
rapporti intersoggettivi qualificabili in termini di “amicalità”. Il vincolo di sodalità,
dunque, non presuppone affatto collegamenti riconducibili ai “moti dell’animo”, ma
si radica attorno ad una serie di regole da rispettare e da far rispettare, anche con la
forza, proprio per mantenere stabile ed operativo il sodalizio stesso. E ciò, in
particolare, nelle associazioni di stampo mafioso, per le quali la forza intimidatrice
assume necessariamente i connotati di una duplice proiezione: all’esterno, ma anche
all’interno della associazione stessa, giustificandosi proprio in ciò la formulazione
della massima di esperienza che permette di reputare permanente il vincolo
associativo, salvo prova positiva della sua dissoluzione.
Che, dunque, i GIOFRE’ non vedessero di “buon occhio” il BATTAGLIA,
specie in rapporto alle sue pretese di presentare una lista “alternativa” a quella del
MARAFIOTI, con il rischio di vanificare le iniziative volte a conseguire il controllo
della amministrazione comunale, è circostanza del tutto neutra agli effetti del reato
contestato, così come del tutto inconferenti si rivelano anche gli “screzi” che
39

rapporti — circoscritti alla vicenda elettorale — la sostanziale assenza di una qualche

potevano aver visto lo stesso BATAGLIA contrapporsi al MARAFIOTI nel tentativo
di”scalata” del Comune.
Ancor meno plausibile è la tesi difensiva, secondo la quale il BATTAGLIA
sarebbe rimasto “vittima” delle coartazioni dei GIOFFRE’, al punto da far ritenere
ipotizzabile la causa di non punibilità prevista dell’art. 54 cod.pen. Per un verso,

MARAFIOTI rappresentava l’unica concreta possibilità di una riuscita elettorale, alla
quale lo stesso BATTAGLIA fortemente aspirava, anche se ciò lo avrebbe portato a
rimanere in posizione vicaria. D’altra parte, la circostanza che l’eventuale dissenso
dalle deliberazioni di un associazione mafiosa possa esporre a gravi rischi chi vi
abbia aderito, non può certo configurare in suo favore la scriminante di cui all’art. 54
cod.pen. in ordine ai delitti la cui esecuzione sia stata deliberata dal sodalizio stesso,
dal momento che tale situazione è stata volontariamente causata dalla accettazione di
un ruolo in seno al sodalizio , con adesione alle relative regole, ivi comprese quelle
deliberative (cfr., al riguardo, Cass., Sez. II, 1 dicembre 1994, Graviano). Sotto un
ultimo e conclusivo profilo, è evidente che la sussistenza della scriminante deve
essere provata da chi la deduce: e nella specie, come sottolineano i giudici

a quibus,

nessun elemento risulta asseverare una siffatta ipotesi.
Per altro verso, non è senza significato la circostanza che, dopo le note
riunioni, siano risultati numerosi ed assidui i contatti tra i GIOFFRE’ ed il
BATTAGLIA; contatti dai quali sono emersi rapporti del tutto sintonici e privi di
qualsiasi contrapposizione; il che legittima, dunque, l’assunto dei giudici del merito,
secondo i quali l’imputato, «accettando di modificare il piano di presentazione di una
propria lista in ossequio ai desiderata dei GIOFFRE’, ha condiviso gli obiettivi dei
predetti facendoli propri». Resta, invece, del tutto ininfluente, agli effetti che qui
rilevano, la circostanza che egli avesse agito per soddisfare un interesse di tipo
personale e politico, trattandosi di profilo che inerisce, seminai, al movente del reato,
ma che non coinvolge il relativo elemento soggettivo.
40

infatti, è assorbente il rilievo per il quale l’accordo con i GIOFFRE’ e con il

Le censure relative al trattamento sanzionatorio e alle attenuanti generiche sono
manifestamente infondate, in quanto la motivazione offerta dai giudici dell’appello si
rivela puntuale ed esaustiva, su profili, tutti, che riflettono apprezzamenti di merito in
sé non sindacabili in questa sede.
Va respinto, infme, anche il ricorso proposto nell’interesse di MARAFIOTI

generale, che sono stati già affrontati. Le conversazioni intercettate rivelano,
anzitutto, un dato di sicura valenza, nel contesto delle peculiari connotazioni che,
come s’è detto, hanno contrassegnato l’oggetto del procedimento ed il relativo capo
di imputazione. MARAFIOTI, a differenza di tutti gli altri “politici” della zona, era,
infatti, persona particolarmente gradita ai GIOFFRE’, i quali ne avevano apprezzato
la sindacatura, non per specifiche doti nella gestione politico amministrativa, ma
soprattutto perché non si era mostrato “prevenuto” nei loro confronti, malgrado la
“fama” che li circondasse, consentendo ad alcuni di loro di”lavorare” e di ottenere
appoggi in relazione a singole vicende che sono state già scandagliate.
Dunque, un sicuro punto di riferimento, proprio nella prospettiva di un
“controllo” diretto della amministrazione comunale, considerato che era proprio solo
attraverso il fattivo “appoggio” dei GIOFRE’ — e con i loro metodi “persuasivi” — che
la difficile tornata elettorale poteva essere superata con successo. Una piena
convergenza di interessi, quindi, che valeva a cementare un sodalizio che doveva
durare anche dopo le elezioni, vista anche la programmata “scalata” che i
GIOFFRE’intendevano compiere ove si fossero realizzati i progetti che coltivavano
sul conto del giovane Adriano. D’altra parte, la sentenza impugnata sottolinea come il
MARAFIOTI fosse ben visto dai GIOFFRE’probabilmente anche per i contatti che
questi aveva con ambienti legati alla malavita, e che erano emersi in modo del tutto
eloquente dai colloqui che costui ebbe con la figlia durante il periodo di custodia
cautelare e che vennero registrati (v. pag. 143 della sentenza impugnata).
A proposito, poi, della condotta serbata dal MARAFIOTI dopo la sua elezione,
diversi, e tutti oltremodo significativi e convergenti nel senso dei favoritismi riservati
41

Antonio Pasquale. La gran parte delle censure rassegnate evoca profili di carattere

ai GIOFFRE’, sono gli episodi che le sentenze di merito hanno messo in luce: quali
l’interessamento per i problemi relativi alla cava dei GIFFRE’in contrada Zambara; la
vicenda dei contributi erogati in occasione della festa della Madonna dei Poveri e la
vicenda relativa alle assunzioni nei cantieri autostradali. Lo snodarsi delle varie
vicende e l’assoluta condivisione del progetto, non soltanto elettorale, ma di
la fattiva collaborazione di tm gruppo già ampiamente noto al MARAFIOTI,
denotano, dunque, una condotta, non soltanto meramente adesiva alla associazione,
ma di diretta e fattiva partecipazione alla riuscita del programma associativo: a
prescindere, ovviamente, dalle personali “utilità” che ciascuno degli associati — e fra
questi soprattutto i “politici” — intendeva desumere dal vincolo di sodalità
liberamente contratto.
In tale quadro di riferimento risultano, dunque, pienamente integrati tutti i
presupposti, oggettivi e soggettivi, per ritenere perfezionato, anche nei confronti
dell’odierno ricorrente, il contestato delitto di partecipazione ad associazione di
stampo mafioso.
Deve ritenersi infine inammissibile per genericità la censura relativa alla
pretesa carenza di motivazione dei provvedimenti riguardanti le intercettazioni,
mentre sono manifestamente infondate le doglianze formulate in ordine al trattamento
sanzionatorio ed alle attenuanti generiche, considerata — come si è più volte
sottolineato — la esaustività e correttezza degli apprezzamenti svolti al riguardo nella

“occupazione” dell’amministrazione comunale, da realizzare con metodi e attraverso

sentenza impugnata.
Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
P. Q. M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2013

DEP.r.35:TA i O IN CANCELLERIA

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