Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22979 del 09/05/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 22979 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) Martinengo Isidoro

nato il 17.9.1946

avverso l’ordinanza del 24.10.2012
del Tribunale di Torino
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P. G., dr. Francesco Salzano, che
ha chiesto rigettarsi il ricorso

I

Data Udienza: 09/05/2013

1. Con ordinanza in data 24.10.2012 il Tribunale di Torino rigettava la richiesta di riesame
proposta da Martinengo Isidoro avverso l’ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di
Torino il 25.9.2012, con la quale era stata applicata nei confronti del predetto la misura
cautelare degli arresti domiciliari.
Premetteva il Tribunale che il Martinengo era indagato per il reato di cui agli artt.416 commi
1,2,3 c.p. in relazione agli artt. 43 D.L.vo n.504/1995, 491 bis c.p., 8 D.L.vo 74/2000 per
essersi associato con altri soggetti al fine di commettere una serie indeterminata di delitti di
evasione dell’accisa sui prodotti alcolici e dell’imposta di valore aggiunto sui medesimi prodotti,
di falso in atto pubblico informatico, di emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti.
Dopo aver ricostruito la vicenda, quale emergeva dalle indagini (anche attraverso
intercettazioni telefoniche) e dopo aver richiamato, in assenza di specifiche contestazioni in
ordine alla valenza dimostrativa ed all’efficacia delle fonti indiziarie, l’iter motivazionale sul
punto dell’ordinanza impugnata, rilevava il Tribunale che anche nei confronti del Martinengo
sussisteva la gravità del quadro indiziario.
Il coinvolgimento del predetto nella vicenda emergeva indiscutibilmente dalla sua veste di
rappresentante legale delle società Martinengo Distribuzioni e Martinengo Vini che lo rendeva
di fatto titolare del deposito fiscale sito in Belveglio, con conseguente piena conoscenza delle
attività orbitanti intorno ad esso. Tale deposito era stato concesso in uso dal Martinengo per lo
stoccaggio di prodotti destinati alle false esportazioni in ambito extracomunitario dietro
corrispettivo, calcolato sulla base degli autocarri apparentemente o effettivamente transitati
nel deposito medesimo (significativa in proposito era la conversazione tra i coindagati Porta ed
Aracri, nel corso della quale si faceva riferimento ad un compenso concordato di euro
2.000,00 e si faceva intendere che il deposito in questione era utilizzato per le operazioni
poste in essere In evasione delle accise). Rilevava inoltre il Tribunale che le allegazioni
difensive del Martinendo risultavano smentite dalle risultanze di indagini.
Secondo il Tribunale, infine, sussistevano le esigenze cautelari.
2. Ricorre per cassazione Martinengo Isidoro, a mezzo del difensore, denunciando la violazione
dell’art.273 comma 1 bis c.p.p. e dell’art.292 co.2 lett, c) c.p.p. ed il vizio di motivazione.
La misura cautelare è stata applicata, sostanzialmente, sulla base di un unico elemento, vale a
dire l’affitto (non contestato), a titolo oneroso, dei capannoni in Belveglio e sul contenuto,
peraltro incerto, di una telefonata intercettata.
Tali elementi non consentono di ritenere la gravità del quadro indiziario.
Peraltro, come evidenziato nel corso dell’interrogatorio di garanzia, i rapporti con il Porta erano
tenuti dalla segretaria, come del resto emergeva dalla stessa telefonata tra il predetto e
l’Aracri. Le dichiarazioni dei coindagati confermavano l’estraneità del Martinengo al sodalizio
criminoso.
Secondo la giurisprudenza di legittimità più recente la disposizione dell’art.192 co.2 c.p.p.,
anche se non espressamente richiamata dall’art.273 co.1 bis c.p.p., costituisce un canone di
prudenza nell’esercizio del potere cautelare.
Ma gli elementi indiziari evidenziati dal Tribunale, soprattutto sotto il profilo soggettivo, non
sono tali da poter integrare i requisiti di cui all’art.273 c.p.p.
Il Tribunale del riesame ha poi completamente omesso di motivare in ordine alla sussistenza
delle esigenze cautelari.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
2. Va premesso, per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei provvedimenti
“de libertate”, che, secondo giurisprudenza consolidata, la Corte di Cassazione non ha alcun
potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo
spessore degli indizi, nè di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione
alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito

2

RITENUTO IN FATTO

2.1. Tanto premesso, il Tribunale ha rilevato che non si trattava di una mera (legittima)
locazione di un deposito, emergendo piuttosto dagli atti che I locali erano stati dati
consapevolmente in uso per lo stoccaggio di prodotti destinati alle false esportazioni in ambito
extracomuntario. Ha evidenziato, infatti, che la titolarità da parte dell’indagato del deposito
fiscale ubicato in Belveglio comportava “una approfondita conoscenza di qualsivoglia attività
orbitante attorno a tale deposito” e la conferma della piena consapevolezza della illecita attività
emergeva chiaramente dalle intercettazioni.
Il ricorrente contesta tale ricostruzione dei fatti, ipotizzando una diversa interpretazione degli
stessi ed escludendo che da essi, tenuto conto del contenuto incerto delle intercettazioni,
possa emergere la gravità del quadro indiziarlo.
Tali censure,
però, involgono una valutazione su questioni di fatto (quali sono la
interpretazione del contenuto delle telefonate) sottratte al sindacato di legittimità, se
congruamente e logicamente (come nel caso di specie) argomentate.
2.2. Anche in ordine alle esigenze cautelari il Tribunale ha adeguatamente motivato, facendo
riferimento alla reiterazione delle condotte anche in epoca successiva, agli interventi di
controllo, al rapporto fiduciario instaurato tra i vari soggetti, all’abilità manifestata nell’impiego
di complessi meccanismi fiscali e contabili (pag.36) e, quanto alla adeguatezza della misura
applicata, ha sottolineato che essa costituiva il minimo indispensabile per la salvaguardia di
siffatte esigenze (pag.37).
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma Il 9.5.2013

rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del
riesame. Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto
impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e,
dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento (Cass.sez.6 n.2146 del 25.5.1995).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art.273 c.p.p. e delle esigenze cautelari di cui
all’art.274 stesso codice è, quindi, rilevabile in cessazione soltanto se si traduce nella
violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione,
risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda né la ricostruzione dei fatti, né
l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e
concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che pur investendo
formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di
circostanze esaminate dal giudice di merito (dr.ex multis Cass.sez.1 n.1769 del 23.3.1995).
Sicchè, ove venga denunciato il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi
di colpevolezza, è demandato al giudice di merito “la valutazione del peso probatorio” degli
stessi, mentre alla Corte di cessazione spetta solo il compito ” …di verificare…, se il giudice di
merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la
gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della
motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica
ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie” (Cass.sez.4
n.22500 del 3.5.2007).

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