Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2297 del 28/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2297 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
nato il 26.6.1973
nato l’ 11.8.1945

1) Clemente Ettore Mariano
2) Clemente Luigi
avverso la sentenza del 6.7.2011
della Corte di Appello di Bari

sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P. G., dr. Sante Spinaci, che ha
chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata
e,qualificato l’appello come ricorso per cassazione, dichiararsi
la prescrizione
sentito il difensore, avv.Roberto Di Luzio, che ha concluso per
per raccoglimento dei ricorsi

1

Data Udienza: 28/11/2012

1) Il Tribunale di Foggia, sez. dist. di San Severo, in composizione monocratica,
con sentenza dell’8.11.2000, condannava Clemente Ettore Mariano e Clemente
Luigi, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena
(sospesa) di euro 10.000,00 di ammenda ciascuno per il reato di cui agli artt.110
c.p., 51 co.2 D.L.vo 22/1997, essendo stato accertato il deposito incontrollato
dl rifiuti non pericolosi, derivanti dall’attività di scavo realizzata dagli imputati.
La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 6.7.2011, dichiarava inammissibile
l’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale.
Rilevava la Corte che, trattandosi di condanna a pena pecuniaria, gli imputati, a
norma dell’art.593 co.3 c.p.p., non erano legittimati a proporre appello. Né
ricorrevano le condizioni per applicare il disposto di cui all’art.568 co.5 c.p.p., sia
perchè l’impugnazione era articolata su questioni di fatto, sia perchè la parti
aveva effettivamente voluto e denominato appello il gravame proposto e non
consentito dalla legge.
2. Ricorrono per cassazione Clemente Ettore Mariano e Clemente Luigi, con
ricorsi separati ma di contenuto identico, denunciando la violazione di legge in
relazione agli artt.593 e 568 co.5 c.p.p.
Il Giudice di Appello, essendo la sentenza non appellabile, doveva limitarsi a
trasmettere gli atti alla Corte di Cassazione
Peraltro, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, l’impugnazione
non era certo fondata su questioni di fatto, essendo stata lamentata la mancanza
di motivazione e quindi un vizio denunciablle in cassazione ex art.606 lett.e)
c.p.p. Inoltre, prima della emissione della sentenza impugnata, era maturata la
prescrizione.
2.1. Con motivi aggiunti, depositati il 16.11.2012, nel ribadire la violazione ed
erronea applicazione dell’art.568 co.5 c.p.p., si assume che si era in presenza di
semplice inesatta qualificazione giuridica del gravame

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che la sentenza del Tribunale di
Foggia, sez. di San Severo, in composizione monocratica, fosse inappellabile ex
art.593 co.3 c.p.p., essendo stata applicata in primo grado la soia pena
dell’ammenda; erroneamente, però, ha ritenuto di poter esaminare il “merito”,
al fine di valutare se la proposta impugnazione contenesse motivi di legittimità
ex art.606 c.p.p.
La stessa Corte territoriale ha richiamato l’art.568 c.5 c.p.p., secondo cui
l’impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione ad essa
data dalla parte che l’ha proposta, ma ha omesso di considerare che l’ultima
parte della norma richiamata prevede espressamente che “se l’impugnazione è
proposta a un giudice incompetente questi trasmette gli atti al giudice
competente”.
E, secondo la giurisprudenza ormai pacifica di questa Corte, se un
provvedimento giurisdizionale è impugnato dalla parte interessata con un mezzo
di gravame diverso dal tipo (unico) legislativamente prescritto e/o proposto
dinanzi a giudice incompetente, il giudice adito- prescindendo da qualsiasi
Indagine valutativa in ordine alla indicazione di parte, se frutto cioè, di errore
ostativo o di scelta deliberata- deve limitarsi semplicemente, a norma della
regola iuris dettata dall’art. 568 comma 5 c.p.p., a prendere atto della voluntas

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RITENUTO IN FATTO

2. Va esaminata quindi l’impugnazione, proposta avverso la sentenza del
Tribunale di Foggia, sez. di San Severo, previa qualificazione della stessa come
ricorso per cessazione.
Tale impugnazione “risente” palesemente del fatto che si intendeva proporre
appello avverso la sentenza del Tribunale e quindi si chiedeva un riesame del
merito della vicenda processuale.
Come si è visto, l’art. 568 comma V c.p.p. stabilisce che l’impugnazione è
ammissibile a prescindere dalla qualificazione data ad essa, per un ovvio
principio di conservazione del mezzo di impugnazione impropriamente
denominato. La diversa qualificazione non determina, però, una modificazione
per così dire “funzionale” dell’impugnazione, altrimenti si attribuirebbe
sostanzialmente alla parte la possibilità di appellare sentenze ritenute dai
legislatore inappellabili. I contenuti possibili dell’impugnazione restano quindi
sempre quelli del ricorso ex art.606 c.p.p.
3. Tanto premesso, le censure sollevate dal-ricorrenti, peraltro generiche, non
tengono conto, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato
sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa
il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità
di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è
avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati
dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle
acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della
modifica dell’art.606 lett.e) c.p.p., con la L.46/06, il sindacato della Corte di
Cessazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza,
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti
del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, non attribuisce al
giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze
istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo
seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova
non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata
(cfr.Cass.pen. sez.6 n.752 del 18.12.2006). Anche di fronte alla previsione di un
allargamento dell’area entro la quale deve operare, non cambia la natura del
sindacato di legittimità; è solo il controllo della motivazione che, dal testo del
provvedimento, si estende anche ad altri atti del processo specificamente
Indicati. Tale controllo, però, non può “mai comportare una rivisitazione dell’iter
ricostruttivo del fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione
complessiva delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi
logici alternativi ed idonei ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di
3

impugnationis (elemento minimo questo che dà esistenza giuridica all’atto e
lascia impregiudicata la sua validità) e a trasmettere gli atti al giudice
competente. Tale fenomeno è dommaticamente inquadrabile nella categoria
dell’esatta qualificazione giuridica dell’atto, ed il potere di procedere a tale
qualificazione e di accertare l’esistenza dei requisiti di validità dell’atto è riservato
in via esclusiva al giudice competente a conoscere, secondo la previsione del
sistema delineato dal codice, sia dell’ammissibilità che della fondatezza
dell’impugnazione ( Cass. Sez.Un. 11 settembre 2002 n.30326). L’unico limite
all’operatività dell’art.568 comma 5 c.p.p. è costituito dall’inoppugnabilità del
provvedimento, la quale concettualmente esclude qualunque possibilità di
diversa qualificazione del gravame eventualmente proposto (dr.Sez.Un.cit.).
La giurisprudenza successiva, a parte qualche isolata decisione (v. Cass. sez. 5
n.35442 del 3.7.2009) si è ormai attestata sull’indirizzo delineato dalle Sezioni
Unite con la sentenza n. 30326/2002 sopraindicata (dr. ex multis Cass. Sez. 3
n.2469 del 30.11.2007; Cass. Sez. 5 n.21581 del 28.4.2009).
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio.

3.1. I ricorrenti lamentano che il Tribunale non abbia indicato le prove in base
alle quali era pervenuto ad un giudizio di colpevolezza; dagli atti emergeva,
piuttosto, che il materiale di scavo non era stato né abbandonato, né depositato
In maniera incontrollata, essendo stato momentaneamente depositato sul suolo
comunale (per la cui occupazione era stata pagata una tassa) per essere
reimpiegato nel prosieguo del lavori del cantiere. Si assume, poi, che la pena
inflitta in primo grado era eccessiva, non essendo stata considerata la tenuità
dell’episodio, la personalità degli imputati, la lievità del danno, la insussistenza di
una capacità a delinquere.
3.2. Il Tribunale, con motivazione pertinente ed immune da vizi logici, ha
ritenuto che dalle risultanze processuall (ed in particolare dalla testimonianza di
La Salandra Michele, Tenente in servizio presso la Polizia Municipale di San
Severo) fosse emerso pacificamente che su un’area di proprietà comunale erano
stati depositati rifiuti non pericolosi, derivanti da attività di scavo, con modalità
incontrollate, e che quindi fosse configurabile il reato ascritto.
I ricorrenti, senza contestare tali risultanze, oppongono o rilievi non rilevanti
(come il pagamento di una tassa comunale per l’occupazione dell’area) oppure
non dimostrati e non pertinenti (in ordine ad un presunto deposito temporaneo).
E’ pacifico, invero, come affermato più volte da questa Corte che in tema di
deposito di rifiuti, si ha deposito temporaneo, come tale lecito, quando i rifiuti
sono raggruppati, in via temporanea ed alle condizioni previste dalla legge, nel
luogo della loro produzione; si ha stoccaggio, che richiede l’autorizzazione o la
comunicazione in procedura semplificata, quando non sono rispettate le
condizioni previste dal D.L.vo n.22 del 1997, art.6 lett.m) per il deposito
temporaneo di rifiuti; si ha invece deposito incontrollato o abbandono di rifiuti,
quando il raggruppamento di essi viene effettuato in luogo diverso da quello in
cui i rifiuti sono prodotti, e fuori dalla sfera dl controllo del produttore: tale
ultima condotta è sanzionata penalmente, se posta in essere da soggetti titolari
di impresa o da responsabili di enti, mentre è sanzionata in via amministrativa,
quando sia effettuata da persone fisiche diverse da quelle precedentemente
indicate (cfr. ex multis Cass.pen.sez.3 n.21024 del 25.2.2004 -Eoli).
Anche, a seguito dell’entrata in vigore del D.L.vo 152/2006, pur riconoscendosi
che, al fine di qualificare il deposito quale temporaneo, il produttore dei rifiuti
può alternativamente e facoltativamente scegliere di adeguarsi al criterio
quantitativo o a quello temporale, ovvero può conservare i rifiuti per tre mesi in
qualsiasi quantità, oppure conservarli per un anno purché la loro quantità non
raggiunga i venti metri cubi” (cfr. Cass.pen. Sez.3 30.11.2006 n.39544;
Cass.sez.3 19.4.2007 n.15997), si è ritenuto che deve, comunque, trattarsi di
un raggruppamento temporaneo effettuato prima della raccolta nel luogo in cui i
rifiuti sono prodotti, nel rispetto delle condizioni fissate dall’art.183 D.L.vo
152/06 e nei rispetto dei principi di precauzione e di azione preventiva
(cfer.Cass.pen.sez.3 30.11.2006 n.39544 cit.).
4. Anche in ordine al trattamento sanzionatorio Il Tribunale ha correttamente
esercitato il potere discrezionale riconosciuto in proposito ai Giudici di merito,
concedendo da un lato le circostanze attenuanti generiche e facendo riferimento,
dall’altro, per la quantificazione della pena, a tutti i criteri indicati nell’art.133
c.p.
5. L’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale va quindi dichiarata
inammissibile, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali,
nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende
di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ciascuno,
4

merito” (Cass.pen.sez.2 n.23419/2007-Vignaroli).

P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza di appello e, qualificato l’appello come ricorso, lo
dichiara inammissibile, e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 ciascuno in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 28.11.2012

di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ciascuno,
ai sensi dell’art.616 c.p.p.
E’ appena il caso di aggiungere che l’inammissibilità dell’impugnazione avverso la
sentenza del Tribunale preclude la declaratoria della prescrizione maturata doito
la emissione (8.11.2010) della stessa.
5.1. Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per
ultimo sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle
precedenti decisioni, ha enunciato il condivisibile principio che l’intervenuta
formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di
Impugnazione invalido perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge
(art.591 comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di
impugnazione, e art.606 comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere
una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d’ufficio.
L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al giudice
dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia,
derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare
alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico,
divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti
per essersi già formato il giudicato sostanziale”.

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