Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22952 del 26/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 22952 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da Gatto Bernardo, n. a Gallipoli il 22/05/1976;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce in data 06/02/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale N. Lettieri, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv. Suez, difensore del ricorrente, che ha concluso per
l’accoglimento;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 6/02/2012 la Corte d’Appello di Lecce ha confermato la

sentenza del G.u.p. presso il Tribunale di Lecce di condanna di Gatto Bernardo
per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alla illecita
detenzione di grammi 101,025 di hashish e alla coltivazione di otto piante di
canapa indiana.

Data Udienza: 26/04/2013

2. Ha interposto ricorso l’imputato tramite il proprio difensore deducendo con un
primo motivo inosservanza ed erronea applicazione di legge e mancanza,
contraddittorietà ed illogicità della motivazione. Si duole che la Corte d’Appello
abbia ravvisato nella quantità della sostanza rinvenuta e nella presenza di un
bilancino gli elementi comprovanti la finalità allo spaccio della detenzione,
contrastando tuttavia tale argomentazione con la irrilevanza, ritenuta dalla

Quanto al bilancino, osserva che lo stesso, benché definito dai giudici di merito
come “di precisione”, sarebbe in realtà una comunissima bilancia da cucina.
Quanto alle piantine coltivate in modo casereccio e rudimentale, deduce
l’inconfigurabilità del reato di coltivazione, essendo tale solo quella esercitata in
maniera professionale.
Con un secondo motivo, lamentando inosservanza ed erronea applicazione di
legge e mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, si duole che,
contrariamente a quanto operato con riferimento alla coimputato Bianco, la cui
posizione è stata definita separatamente, non sia stata riconosciuta l’attenuante
di cui al comma quinto dell’articolo 73 cit., essendo tale valutazione inoltre
contraddittoria con la presunta destinazione parziale della sostanza allo spaccio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Va premesso che, come evocato dallo stesso ricorrente, si è più volte affermato
da questa Corte che, in materia di stupefacenti, il mero dato quantitativo del
superamento dei limiti tabellari previsti dall’art. 73, comma 1 bis, lett. a), del
d.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla I. 21 febbraio 2006, n. 49, non
vale ad invertire l’onere della prova a carico dell’imputato, ovvero ad introdurre
una sorta di presunzione, sia pure relativa, in ordine alla destinazione della
sostanza ad un uso non esclusivamente personale, dovendo il giudice
globalmente valutare, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella predetta
disposizione normativa, se le modalità di presentazione e le altre circostanze
dell’azione siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della
detenzione (tra le altre, Sez. 6, n. 12146 del 2009, P.M. in proc. Delugan, Rv.
242923).
Tuttavia, nella specie, la sentenza impugnata non ha fondato il giudizio circa la
destinazione a terzi sul solo superamento dei limiti tabellari ma, congiuntamente
a questo (il principio attivo era peraltro, come risultante dalla sentenza, pari a
ben 27,6 volte circa il limite massimo stabilito dal d.m. di riferimento), anche sul
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giurisprudenza, del mero dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari.

possesso contestuale di un bilancino di precisione, che tale deve considerarsi
anche in questa sede essendo la contraria prospettazione sul punto del ricorrente
(secondo cui lo stesso sarebbe in realtà consistito in una comunissima bilancia
da cucina) non apprezzabile in quanto coinvolgente una questione di mero fatto.
In relazione poi alla pretesa inconfigurabilità del reato di coltivazione, la
doglianza è inammissibile, in quanto non proposta con l’atto di appello; in ogni
dalle modalità, artigianali o meno della coltivazione, bensì dalla offensività della
condotta, ovvero dall’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto
drogante rilevabile (Sez. U, n.28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239921),
tale ultimo aspetto non essendo contestato dal ricorrente a fronte dei risultati
della consulenza tecnica secondo cui l’intero materiale sequestrato, ivi compreso
dunque lo stupefacente ricavato dalla coltivazione di otto piante di canapa
indiana (ammontante a complessivi mg. 6.265, 742 di delta 9 TCH),
corrispondeva a circa 552 dosi medie singole.
4. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
E’ assunto costante di questa Corte quello per cui, ai fini della concedibilità o del
diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità di cui all’art. 73,
comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, il giudice è tenuto a valutare
complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli
concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che
attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle
sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo
conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno
solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico
protetto sia di “lieve entità” (da ultimo, Sez. 4, n. 6732 del 22/12/2011, P.G. in
proc. Sabatino, Rv. 251942). Nella specie, facendo corretta applicazione di tali
principi la Corte territoriale ha offerto una spiegazione logica ed esaustiva della
impossibilità di ravvisare l’attenuante in considerazione del numero certo non
modesto di 552 dosi droganti ricavabili dal materiale in sequestro sì da rendere
giustificata la diversa conclusione sul punto rispetto alla coimputata Bianco per la
quale, fondata o meno una tale valutazione, qui non sindacabile, la circostanza
attenuante è stata basata sul mero ruolo subordinato della stessa rispetto a
quello svolto dall’odierno imputato.
5. Il ricorso è pertanto inammissibile, conseguendone la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del grado, e della somma indicata in dispositivo,
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caso va ricordato che il criterio distintivo tra liceità ed illiceità penale non è dato

ritenuta equa, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616
c.p.p.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
delle ammende.

Così deciso in Roma il 26 aprile 2013

Il Presidente

spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa

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