Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22914 del 12/04/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22914 Anno 2016
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: CALVANESE ERSILIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ANGELINI MICHELE N. IL 16/10/1993
avverso la sentenza n. 792/2014 TRIBUNALE di BARI, del
11/03/2014_
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ERSILIA CALVANESE;

Data Udienza: 12/04/2016

1. Michele Angelini propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del
11 marzo 2014 con la quale il Tribunale di Bari applicava, sull’accordo delle parti,
la pena nei suoi confronti per il reato di cui all’art. 337 cod. pen.
Nel ricorso si deducono vizi di violazione di legge e di motivazione, con
riferimento alla determinazione della pena.

2. Il ricorso è inammissibile.
Le doglianze del ricorrente propongono motivi generici e non consentiti, con

valutazione in punto di congruità della pena.
Il giudizio in ordine alla ritenuta congruità della pena patteggiata, al pari di
quello avente ad oggetto gli altri elementi di natura positiva di cui è menzione
nell’art. 444 cod. proc. pen. (accordo delle parti, corretta qualificazione giuridica
del fatto e corretta applicazione e comparazione di eventuali circostanze), è un
giudizio di natura delibativa ed implica, pertanto, una valutazione sommaria e
prevalentemente estrinseca, nel senso della semplice verifica della compatibilità
di tutti i detti elementi con determinati parametri ai quali il giudice deve
attenersi, con esclusione, quindi, di una rivisitazione, dall’interno, delle
considerazioni di merito all’esito delle quali l’accordo, nella sua concretezza, è
venuto in essere. Ne consegue che, per quanto attiene in particolare il giudizio di
congruità della pena, il medesimo può dirsi adeguatamente motivato anche
quando, in assenza di elementi macroscopicamente rivelatori di inadeguatezza,
per eccesso o per difetto, il giudice si limiti ad esplicitare la propria valutazione in
tal senso, richiamandosi, anche se non in modo espresso, a tutti gli elementi
che, nella singola fattispecie, possono assumere rilevanza determinante, sempre
che essi siano comunque ricavabili dal contesto della decisione (tra tante, Sez. 1,
n. 5029 del 03/12/1992 – dep. 20/01/1993, P.G. in proc. Campanella, Rv.
192716).
Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed
al pagamento a favore della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di
esonero, della somma ritenuta equa di euro 1.500 a titolo di sanzione pecuniaria.

riferimento al rito prescelto, essendosi genericamente lamentato della

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.500 (millecinquecento) in favore delle
cassa delle ammende.

Così deciso il 12/04/2016.

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