Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22906 del 24/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 22906 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BONO PIPPO N. IL 01/09/1955
avverso la sentenza n. 4858/2010 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 16/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
che ha concluso per

Udito, per la p rte civile, l’Avv
Uditi dife or Avv.

Data Udienza: 24/04/2013

udito il PG in persona del sost.proc.gen. dott. G. D’Angelo, che ha chiesto annullarsi con rinvio
la sentenza impugnata limitatamente alla durata della sanzione accessoria e rigettarsi nel resto
il ricorso,
udito il difensore della PC, avv. C. Furltano in sost.ne avv. A. Vaccaro che ha depositato
memoria (cui si è riportato) e nota spese,
udito il difensore dell’imputato, avv. P. Imbornone che ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha
chiesto l’accoglimento.

1. La corte d’appello di Palermo, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la
pronuncia di primo grado, con la quale Bono Pippo fu condannato alla pena di giustizia, oltre
al risarcimento del danno in favore della parte civile, Vaccaro Giovanni, in quanto riconosciuto
colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva, con riferimento al fallimento della
sua azienda, dichiarato con sentenza del giorno 1 ottobre 2001 (capo A), nonché del reato di
cui agli articoli 61 n. 2 -81 cpv -485 cp, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno
criminoso e al fine di procurare a sé o ad altri vantaggio o di recare ad altri danno, formava
due false fatture che apparivano sottoscritte per quietanza da Vaccaro Giovanni (capo 6).
2. Ricorre per cassazione il difensore e deduce:
a) violazione di legge e carenze dell’apparato motivazionale. E invero l’avvocato Vaccaro, a
fronte di sue prestazioni professionali, aveva emesso due fatture (quelle indicate nel capo
d’imputazione), liquidate dall’amministrazione regionale siciliana, della quale l’imputato era
dipendente. Il Vaccaro però aveva anche richiesto la insinuazione nel fallimento quale creditore
privilegiato, L’alterazione della fattura consistette nella aggiunta delle parole “per quietanza”.
Conseguentemente Vaccaro -deve dirsi- non ha ricevuto alcun danno, in quanto il suo credito
verso il fallimento permane e ciò che è stato evitato (al Vaccaro stesso) è il rischio di
duplicazione di pagamento a suo favore, con tutte le conseguenze, sul piano civile e penale,
che ciò avrebbe comportato. Poiché, dunque, Vaccaro non ha ricevuto alcun danno dalla
condotta del Bono, egli non era legittimato a proporre querela e l’azione penale per il delitto di
falso in scrittura privata era improcedibile;
b) violazione dell’articolo 216
LF per mancanza dell’elemento psicologico del delitto
contestato. Invero: il processo penale contro Bono, per il quale egli aveva diritto al rimborso di
spese legali da parte della regione è del 1991, Bono fu assolto con sentenza del 1997, Bono è
stato dichiarato fallito nel 2001, il credito dell’avvocato Vaccaro è stato ammesso al privilegio il
29 maggio 2002, la fattura rilasciata direttamente all’imputato, per essere presentata
all’assessorato regionale per il rimborso delle spese relative, reca la data 23 novembre 2005.
Ebbene, la cronologia sopra riportata ha determinato nel ricorrente la certezza che, ormai, nel
2005, tutte le somme successive alla sua domanda di rimborso del 18 luglio 2005 fossero a lui
dovute, senza l’intermediazione della curatela fallimentare. In ragione di tale convinzione,
Bono chiese all’assessorato regionale, di cui era dipendente, che ogni sua spettanza venisse
accreditata sul suo conto presso la filiale di Ribera della Banca S. Francesco di Canicattì.
L’imputato pertanto è stato tratto in errore, e l’errore era inevitabile per interferenza di norme
e principi civilistici nella struttura del reato;
c) carenze dell’apparato motivazionale con riferimento alle attenuanti generiche, atteso che la
pena è certamente sproporzionata, anche in considerazione della illustrata buona fede
dell’imputato;
d) violazione di legge con riferimento alla pena accessoria, che non può essere determinata in
misura fissa in anni 10, atteso che 10 anni costituisce la durata massima di tale pena, la quale
va proporzionata a quella principale.
3. 11 16 aprile 2013 è stata depositata memoria difensiva nell’interesse del Vaccaro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La prima censura è inammissibile.
I delitti contro la fede pubblica tutelano direttamente, non solo l’interesse pubblico alla
genuinità materiale e alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello del soggetto

RITENUTO IN FATTO

2. La seconda censura è parimenti inammissibile, per manifesta infondatezza e
genericità, in quanto non tiene conto delle argomentazioni svolte dalla sentenza d’appello. I
giudici di secondo grado hanno dedotto la sussistenza del dolo dalla preordinazione della
condotta criminosa e principalmente dal fatto che l’imputato, in vista dell’accreditamento della
somma predetta, accese un libretto di deposito presso l’agenzia di Ribera di una piccola banca
di credito cooperativo, a suo nome e senza darne comunicazione alla curatela. Peraltro, in
giorni successivi all’ accredito, Bono prelevò l’intera somma liquidatagli, in tre tranche da C
10.000.
Afferma la corte d’appello, certo non illogicamente, che, nella condotta del ricorrente “è
evidente, non solo l’intento di appropriarsi di somme dovute al suo legale, ma anche quello di
sottratte all’attivo fallimentare, cui erano destinate….”.
3. La terza censura è infondata, in quanto, nella commisurazione della pena, i giudici di
merito hanno tenuto conto della strumentalità del falso e della recidiva che grava
sull’imputato.
4. L’ultima censura è infondata.
Dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 134/12, la compatibilità con i principi della Carta
fondamentale della durata della pena accessoria non può essere più messa in dubbio.
Al proposito questa Sezione ha chiarito (ASN 201230341-RV 253318) che la pena accessoria
che consegue alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta è indicata in misura fissa e
inderogabile dal legislatore nella durata di anni dieci,
5. Conclusivamente, il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato ag
pagamento delle spese del grado.
Lo stesso è anche tenuto al rimborso delle spese sostenute dalla PC, che si liquidano come da
dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al
rimborso di quella della parte civile, che liquida in complessivi euro 2000, oltre accessori come
per legge.
Così deciso in Roma in data

aprile 013.

privato sulla cui sfera giuridica l’atto sia destinato a incidere concretamente, con la
conseguenza che egli, in tal caso, riveste la qualità di persona offesa dal reato (ASN
200902076-RV 242361).
Conseguentemente Vaccaro aveva titolo per proporre querela.
Bono infatti ha alterato due documenti rilasciati dall’avvocato Vaccaro e ha, in tal maniera
incassato la somma che la regione gli aveva accreditato perché fosse versata al professionista.
Vaccaro dunque, non ha percepito detta somma, né detta somma è stata accreditata al
fallimento. Ne consegue inevitabilmente che la condotta sopradescritta integra gli estremi della
distrazione di cui al capo A) della rubrica. Invero, anche se il Vaccaro si era insinuato al
fallimento vantando credito preferenziale, l’imputato, ponendo in atto la falsificazione
sopraindicata, risulta essersi appropriato della predetta somma. Ne consegue, inevitabilmente
che la fede pubblica risulta essere stata violata in quanto il documento testimonia una
situazione giuridica diversa rispetto a quella per rispecchiare la quale esso era stato redatto.

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