Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22906 del 16/12/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 22906 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: BEVERE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
CALTANISSETTA
nei confronti di:
CICERO AGATA N. IL 06/05/1966
inoltre:
GRASSO MASSIMO N. IL 29/08/1980
PECORINO GIUSEPPE N. IL 24/10/1941
PRESTIFILIPPO CIRIMBOLO MAURIZIO N. IL 30/12/1978
RICCOMBENI PROSPERO N. IL 03/12/1971
avverso la sentenza n. 328/2013 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 26/09/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/12/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO BEVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 1jukt
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che ha concluso per r

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Data Udienza: 16/12/2014

2.. Avverso l’assoluzione della CICERO , ha presentato ricorso la procura gènerale presso la
corte di appello di Caltanissetta , per illogicità della motivazione:
Nel ricorso è più volte sottolineato lo spessore dimostrativo delle prove raccolte in ordine
all’accertamento della funzione apicale ,svolta dal marito Leonardi Salvatore, nell’attività del
gruppo di Cosa Nostra ,operante a Catenanuova . La responsabilità della Cicero è specificamente
fondata sul ruolo di protagonista da lei svolto all’interno dell’associazione,
veicolando all’esterno del carcere le direttive che venivano impartite dal coniuge,
consentendogli di mettersi in contatto —con lettera o per telefono- con gli altri sodali per
oltre un decennio,
comunicandogli richieste, tra cui quella relativa alla fornitura di armi , proveniente da
soggetti non identificati.
A carico della donna è stata anche rilevata
la sua partecipazione emotiva alle sorti dell’associazione e all’ascesa di nuovi
componenti,facenti capo al Coppola, tanto da incitare il coniuge a dare una lezione a
Passalacqua Filippo, approfittando della sua detenzione,
la sua partecipazione alla ripartizione dei proventi estorsivi.
Il ricorrente rileva che in alcune telefonate la donna pretende di ottenere dal clan il sussidio che
spetta a lei e al marito detenuto e reagisce polemicamente per gli inadempimenti da parte dei
sodali.
L’assenza della donna da Catenanuova durante la detenzione del marito a Vigevano , nel periodo
compreso tra il 2000 e il 2005 non è decisiva, secondo il ricorrente,
– sotto il profilo della comune esperienza, in quanto la lontananza non spezza i legami illeciti,
grazie allo scambio di informazioni e grazie al sostentamento anche a distanza,
sotto il profilo storico “in quanto le testimonianze difensive risultano altamente generiche
tanto da elideme la credibilità”.
2.a.. Il ricorso non merita accoglimento

FATTO E DIRITTO
1. Con sentenza 26.9.2013, la corte di appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza
27.9.2012, emessa ex art. 438 c.p.p., dal Gup del tribunale di Caltanissetta ,
ha assolto, a norma dell’art. 530 co. 2 c.p.p., CICERO AGATA per non aver commesso il
fatto, dal reato ex art. 416 bis co.1,2,3,4, c.p. (capo B della rubrica) , contestato in concorso
con RICCOMBENI PROSPERO , MAVICA ANTONINO ,unitamente al marito della
suddetta, Leonardi Salvatore, e a Marletta Salvatore (questi ultimi due sono stati processati
separatamente) ;
ritenuto il vincolo della continuazione del reato predetto contestato al RICCOMBENI (capo
B) con quello giudicato con sentenza 27.4.2004 della corte di appello di Caltanissetta ,
applicata la diminuente del rito , ritenute l’aggravante ex art. 416 bis co. 4 , l’aggravante ex
art. 7 L.575/1965 e la recidiva ,ha ridotto la pena nella misura di 6 anni e 10 mesi di
reclusione;
ha ridotto a 3 anni e 4 mesi di reclusione , ritenute le già concesse attenuanti generiche
equivalenti all’aggravante di cui al co. 4 dell’art. 416 bis c.p.,la pena inflitta a GRASSO
MASSIMO per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa (capo C);
ha confermato la condanna di PECORINO GIUSEPPE alla pena di giustizia, perché ritenuto
responsabile del reato ex art. 416 bis c.p.,escluse le aggravanti di cui al comma. 2 e al
comma 6 (capo A), e la condanna di PRESTIFILIPPO CIRIMBOLO MAURIZIO alla
pena di giustizia, perché ritenuto responsabile del reato ex art. 416 bis c.p., (capo C),escluse
le aggravanti di cui al comma 6 e della recidiva e riconosciute le attenuanti generiche
prevalenti sull’aggravante ex art.416 bis co. 4 c.p.

2. b .La corte territoriale ha rilevato che
– queste affermazioni non avevano trovato riscontro,
il collaboratore Leonardo Angelo , pur riferendo numerosi dettagli sull’attività criminosa del
Leonardi e dei suoi più fidati collaboratori Riccombeni Prospero e Mavica Antonino ,non
indica la Cicero quale collettore dei proventi dell’attività estorsiva, ma al più destinataria di
somme di denaro spettanti alle famiglie dei mafiosi detenuti;
alla luce delle dichiarazioni del collaboratore Di Dio Liborio, si poteva a ritenere che la
donna aveva ricevuto denaro , durante la detenzione del Leonardi a Milano , quale moglie
del medesimo ;
le conversazioni intercettate rendono evidente la conoscenza, da parte della Cicero, di fatti
riguardanti i soggetti più vicini al coniuge, ma non dimostrano che costei partecipasse alle
deliberazioni del clan e trasmettesse ordini provenienti dal Leonardi;
la specifica conversazione intercorsa tra la donna e PRESTIFILIPPO CIRIMBOLO
SALVATORE ,nel corso della quale aveva chiesto l’acquisto di un paio di occhiali per il
marito, è da interpretare come dimostrativa che il suo comportamento fosse incentrato sulla
finalità di ottenere il maggior aiuto possibile dai locali sodali mafiosi;
nel corso di una conversazione con il marito Leonardi —durante la quale questi tentava di
spiegarle l’evoluzione del rapporto con tale Marcello e con altro soggetti intenzionati a
mettersi a disposizione — la Cicero mostrava esplicitamente la propria incapacità a
comprendere le logiche sottese al ragionamento del marito.
2.c. A fronte di questa fedele rievocazione delle prove dichiarative e della loro razionale
interpretazione, contenute nella sentenza impugnata, l’ufficio ricorrente prospetta una diversa
interpretazione degli incontestabili elementi fattuali,che sono però privi di oggettiva forza
persuasiva in chiave di colpevolezza :
– il rapporto di -coniugio-e -la- conseguente frequentazione con il detenuto Leonardi –, – uno- dei capi
della cosca mafiosa,
– gli argomenti trattati nei colloqui attinenti alle vicende del gruppo dì appartenenza del marito e ai
materiali problemi di sopravvivenza e di assistenza di entrambi i coniugi , investiti , sia pure con
diversa incidenza ponderale, dalla detenzione del componente maschile.
Gli elementi riferiti dal Mavica (sua funzione di fonte di informazioni di direttive del marito,
dirette ai sodali; funzione di deposito dei proventi delle estorsioni), non trovano conferma in altri
elementi probatori e sono smentiti non solo da dichiarazioni di altri collaboratori di
giustizia,rievocative di soggettive percezione dell’attività della donna, ma anche dalla completa
disinformazione e del disinteresse rispetto ai meccanismi e alle relazioni vigenti all’interno del

La Cicero è accusata di far parte di Casa Nostra, specificamente del nucleo della “famiglia” di
Enna che controllava il territorio di Catenanuova.
La sentenza di condanna di primo grado è stata fondata sulle dichiarazioni del collaboratore
di giustizia MAVICA Antonino secondo cui la donna fungeva da longa manus del marito
Leonardi Salvatore ,che, sebbene detenuto ininterrottamente dal 1998 a seguito di arresto a
Milano per omicidio , era elemento di spicco della consorteria mafiosa di Catenanuova; la
CICERO diffondeva tra gli associati le direttive del marito ed era depositaria del denaro
proveniente dalle attività estorsive. Il collaboratore ha specificato il ruolo di canale di
diffusione tra i consociati delle direttive del marito e di esecutrice di suoi intenti criminosi
nel campo delle estorsioni ( “se il marito diceva di parlare con PRESTIFILIPPO , ad
esempio, di fare un’estorsione ..lei la portava a compimento, cioè si batteva per questo”). Il
collaboratore ha precisato che nel corso della detenzione sua e di Riccombeni,nel corso
dell’operazione Ippogrifo PRESTIFILIPPO CIRIMBOLO SALVATORE versava a lei i
proventi delle estorsioni; tornati in libertà i proventi erano conferiti in una cassa comune e
divisi nell’abitazione della Cicero ,alla presenza della stessa.

3. Nell’interesse del Riccombeni Prospero è stato presentato ricorso per i seguenti motivi:
a. • vizio di motivazione in riferimento al rigetto della richiesta di assoluzione per non aver •
commesso il fatto , in relazione all’arco di tempo successivo a quello coperto dalla
pregressa condanna, di cui_ alla sentenza „27.4.2004, irrevocabile il .13.7.04: la corte ha_
ribadito senza adeguata motivazione che l’imputato ha mantenuto il suo attivo inserimento
nell’associazione mafiosa almeno fino all’ottobre 2007 (data in cui si è trasferito a Milano
con la famiglia) . La corte ha fondato la sua responsabilità sulle dettagliate dichiarazioni del
collaboratore MAVICA ANTONINO, secondo cui l’imputato era stato affiliato alla cellula
di Cosa Nostra operante in Catenanuova sin dal 1997 alla presenza del capo famiglia di
Enna, Leonardo Gaetano, aveva svolto il ruolo di braccio destro del cugino Leonardi
Salvatore,soprattutto a decorrere dal 2004 sino a quando , nel febbraio e nel settembre
2007, aveva subito, prima un attentato e poi un pestaggio, tanto da decidere di trasferirsi a
Milano . La corte ha ritenuto che queste dichiarazioni sono state confermate da quelle di
PECORINO GIUSEPPE e di PRESTIFILIPPO CIRIMBOLO SALVATORE, senza tener
conto della loro inconciliabilità , e delle dinamiche criminali sviluppatesi a Catenanuova
durante la sua detenzione segnalata nell’atto di appello. E’ stato infatti rilevato che il
mancato rientro nell’associazione al momento della sua scarcerazione ha trovato conferma
nelle stesse dichiarazioni del MAVICA, nominato vice capo da Leonardo Gaetano, che ha
riconosciuto di averlo sostituito in un breve periodo , per volontà del cugino Leonardi
Salvatore, e di essere stato estromesso quando i due cugini si erano riappacificati . Secondo
il ricorrente è illogico che un vicecapo provinciale(Mavica) venga manovrato e prenda
ordini da un semplice affiliato di Catenanuova (Riccombeni) . La corte ha male interpretato
le dichiarazioni intercettate nel corso di colloqui tra l’imputato e la Cicero e tra costei e il
marito,E’ stata riconosciuta efficacia dimostrativa di responsabilità il commento
dell’imputato —durante il colloquio con la Cicero dell’8.10.07- alle aggressioni subite e
all’ascesa di un altro gruppo di -affiliati si-tratta-di -uno -sfogo amaro per quanto accaduto;
privo di rilevanza probatoria ;
b. . violazione di legge in relazione all’art. 62 bis c.p., vizio di motivazione : la corte ha negato
la concessione delle attenuanti generiche ,escludendo rilevanza alla desistenza da ogni
attività dell’associazione ,a partire dal settembre 2007,e al suo trasferimento a Milano
nell’ottobre successivo in quanto derivati non da sincera resipiscenza , ma dalle aggressioni
,da parte degli esponenti della consorteria rivale ; in tal modo il giudice di appello non ha
tenuto conto degli altri argomenti contenuti nell’atto di appello ( forzata presenza a
Catenanuova per la misura di prevenzione,i1 disimpegno nel corso di alcuni periodi ,
l’insubordinazione a Leonardi Salvatore, che voleva il suo ritorno) e ha escluso

gruppo mafioso, dimostrati dalla donna, nel corso della conversazione telefonica, razionalmente
citata dalla corte di merito, intercorsa tra costei e il marito. Tanta lontananza conoscitiva e
partecipativa sono logicamente incompatibili con il ruolo sia pure gregario, assegnato dal primo
giudice e dal ricorrente alla Cicero.
Dagli accertamenti svolti dai giudici di merito è emersa anche la scarsa considerazione che hanno
avuto le sue- richieste aventi ad oggetto l’acquisto di un paio di occhiali per il marito : tale
indifferenza non può non avere , tra le sue cause, la circostanza che immediata segnalatrice delle
esigenze ottiche del capo clan era una persona non inserita nel gruppo o comunque non
adeguatamente collegata agli amministratori delle risorse finalizzate all’assistenza dei detenuti
D’altro canto va considerato che seppure la relazione di parentela può avere un valore dimostrativo
solo aggiuntivo circa la partecipazione o il consolidato collegamento con il sodalizio; questo valore
perde consistenza nell’ipotesi in esame , in cui manca la configurazione, nella ricostruzione del
fatto associativo , di un’organizzazione e base familiare( cfr. sez. 6,n.3089 del 21/05/1998 Rv.
N.213569; sez. 2,n. 19177 del 15/0312013 Rv. 255828)
Il ricorso va quindi rigettato.

3.a.-I1 ricorso• ,in relazione alle critiche sull’affermata responsabilità del Riccombeni , non
merita accoglimento .Le argomentazioni in esso contenute , da un lato, mancano di specificità
(per genericità e indeterminatezza, nonché per reiterazione di censure già formulate, nei
confronti della decisione del giudice di primo gado, determinando un irrituale regredire dello
svolgimento del processo) ; dall’altro, contengono argomenti che propongono una serie di
critiche fattuali e valutative , sprovviste di persuasivi dati storici alternativi e di convincenti
addentellati giurisprudenziali, idonei a infrangere la lineare razionalità della decisione
impugnata ; in essa il giudice di appellò- facendo proprie le basilari argomentazioni storiche e
tecniche della sentenza impugnata e completando così un organico ed inscindibile
accertamento giudiziario – ha già rilevato che
a. l’intrinseca credibilità del Mavica Antonino laddove rievoca la presenza operativa del
Riccombeni risalente al 1997 e sviluppata ,durante la carcerazione del cugino , Leonardi
Salvatore e particolarmente nel periodo 2004-2007, dopo il superamento di contrasti con il
medesimo, tanto da divenire suo sostituto , fino al settembre di quell’anno ;
b. queste dichiarazioni accusatorie hanno trovato , secondo un razionale e insindacabile
apprezzamento dei giudici di merito , convincente conferma dalle dichiarazioni di Pecorino
Giuseppe e Prestifilippo Cirimbolo Maurizio(quest’ultimo ha indicato il suo ruolo di primo
piano ,protrattosi fino all’ottobre del 2007);
c. questa posizione di rilievo è all’origine del tentato omicidio , avvenuto nel febbraio del
2007, del pestaggio avvenuto nel successivo mese di settembre, ad opera dei mafiosi del
gruppo antagonista;
d. il suo trasferimento a Milano nell’ottobre , secondo un razionale e ben formulato
convincimento della corte di appello, è frutto non di una scelta di rientro nella legalità ma
dall’intento legittimo sul piano naturale, ma irrilevante sul piano penale , di tutelare
P-inceimilità- fisica—propria e dei familiari; non è quindi individtrabile —urra – condotta—di
desistenza e comunque una autonoma “conversione” al rispetto della legge , legittimanti il
riconoscimento delle attenuanti generiche.
E’ anche inefficace la critica del ricorrente alla ritenuta compatibilità tra la recidiva e la
continuazione tra reati, nel caso in cui siano stati commessi dopo il passaggio in giudicato di una
precedente condanna: secondo un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale il
riconoscimento della recidiva non è di ostacolo al contestuale riconoscimento della continuazione,
ove si accerti la permanenza dell’identico disegno criminoso. La recidiva opera, infatti, soltanto
relativamente ai reati commessi dopo una sentenza irrevocabile di condanna e il fatto che l’agente
abbia persistito nella condotta criminosa nonostante la controspinta psicologica costituita dalla

illogicamente la rilevanza dei suoi comportamenti ai fini del riconoscimento della
desistenza, sia perché questa non è incompatibile con l’esigenza di salvarsi la vita, sia
perchè non tiene conto che l’attentato risaliva al febbraio 2007, sia perché la volontà di
cambiare vita è implicita nella decisione di trasferirsi e lavorare in Lombardia;
c. violazione di legge in riferimento alla ritenuta incompatibilità tra recidiva e riconoscimento
della continuazione , entrambe applicate al ricorrente : tra i due -istituti esiste un’assoluta
antitesi ;
d. violazione di legge in riferimento all’art. 63 co. 4 c.p.p. : il giudice avrebbe dovuto
applicare l’aumento di pena solo per la circostanza più grave (ex art. 416 bis co. 4 c.p.)
,con facoltà di apportare un eventuale aumento fino a un terzo per tutte le altre,
complessivamente considerate. Nel caso di specie , la sentenza opera sulla pena aggravata
prevista dal co.4 dell’art. 416 bis c.p. ,determinata in 7 anni ,un primo aumento di un terzo,
in considerazione dell’aggravante ex art. 7 L 575/1965 , ed un secondo aumento di due anni
e due mesi per la recidiva..

precedente condanna è conciliabile con il permanere dell’originario disegno criminoso (Sez. U,
sentenza n. 9148 del 17/4/1996; Sez. 6, sentenza n. 6859 del 23/4/1993; Sez. 1, sentenza n. 14937
dei 13/3/2008).
E’ meritevole di accoglimento il motivo relativo alla mancata applicazione dell’art. 63 co. 4 nella
determinazione dell’aumento della pena per le riconosciute aggravanti : nel caso in esame, esclusa
dal primo giudice l’aggravante ex art. 416 bis co. 6 c.p., si è in presenza di più aggravanti ad effetto .
speciale, di cui una sola riguarda il reato di associazione mafiosa (oltre alla recidiva specifica ,
sono state stata riconosciute l’aggravante ex art. 416 bis co. 4 c.p. e l’aggravante ex art. 7 L
575/1965). Va quindi applicata la norma generale che è stata invocata dal ricorrente, nel senso che il
giudice di merito, individuata ed applicata la pena stabilita per la circostanza più grave, ex art. 416
bis co. 4 c.p., in sette anni di reclusione , può aumentare la pena fino a un terzo ,una sola volta, per
le altre due aggravanti. Sul punto, la sentenza va quindi annullata con rinvio ad altra sezione della
medesima corte di appello . Sulla pena così calcolata, il giudice di rinvio opererà l’aumento per la
continuazione con il reato associativo per il quale il Riccombeni ha già riportato condanna con la
sentenza 27.4.2004, irrev. il 13.7.2004, emessa dalla corte di appello di Caltanissetta, nonché le già.
stabilite detrazioni. Rigetta nel resto.
4. Nell’interesse di PECORINO GIUSEPPE è stato presentato ricorso per i seguenti motivi
1. violazione di legge in riferimento al combinato disposto degli artt. 179 co. l e 414
c.p.p. : nel presente procedimento è contestato il reato associativo permanente
commesso nella provincia di Enna da epoca anteriore al 1996 fino al 2011, si tratta
pertanto dello stesso fatto per cui era stata iscritta notizia di reato per epoca anteriore
e prossima al 2.9.08. Il P.M. ricevuta la notizia di reato data 28.8.08, ha iscritto il
giorno successivo nel registro degli indagati il Pecorino con il n.1885/08 ,senza aver
richiesto la riapertura delle indagini nel proc. 1101/05, archiviato il 18.9.06 e iscritto
.il 26.5.05, senza richiesta di riapertura del proc. N.502/02 archiviato il 5.12.03.
Nello stesso giorno 29 agosto 2008 ,i1 PM ha chiesto al Gip la riapertura delle
indagini del proc. 1101/05,; il Gip con decreto 2.9.08 ha autorizzato la riapertura
delle indagini . Il PM il 4.9.08 iscriveva il Pecorino nel registro degli indagati a
norma dell’art. 414 cp.p.. per il reato ex art. 416 bis c.p. commesso in epoca
anteriore al 2.9.08, con il n. 1904/08, che veniva riunito, il 24.3.09 a quello n.
– 1885/08, che, a sua volta, veniva riunito, il 19.1.2011, al presente processo n.
855/07.
Il 24.3.2011 il PM nel procedimento 855/07 adeguava tutte le iscrizioni come da rubrica,
indicando per il ricorrente la data del commesso reato “da epoca imprecisata comunque
anteriore al 1996 fino al 2001”.
Secondo il ricorrente per due volte è stata violata la disposizione dell’art. 414 c.p.p. :
il procuratore della Repubblica , ha svolto indagini, ne ha chiesto la riapertura , ha
iscritto una nuova notizia di reato per il medesimo fatto ed ha infine riunito il nuovo
procedimento a quello già registrato in assenza del decreto di riapertura delle indagini
medesime . Successivamente ha modificato l’epoca del commesso reato, che nel
presente procedimento ricomprende tutti i periodi oggetto delle precedenti iscrizioni,
autorizzate o meno .Secondo il ricorrente, la S.C. dovrà stabilire se integri o meno-violazione di legge la postuma richiesta di riapertura delle indagini che determina
l’iscrizione del nuovo procedimento che viene riunito a quello già iscritto senza aver
ottenuto un provvedimento ex art. 414 c.p.p. ; o, in alternativa se tale modo di procedere
possa produrre l’effetto di sanare una nullità assoluta generatasi nel momento della
precedente iscrizione non autorizzata, con conseguente utilizzabilità di tutti gli atti di
indagine acquisiti,laddove è pacifico che le indagini si sono svolte esclusivamente
nell’ambito del procedimento iscritto senza aver ottenuto la preventiva autorizzazione;
2. violazione di legge in riferimento al combinato disposto degli artt. 191 e 414 c.p.p.:
ove si ritenga l’insussistenza della nullità assoluta, in tema di reato permanente

4.a. Il ricorso non merita accoglimento Quanto ai motivi di carattere procedurale, dagli atti e dalle argomentazioni dei giudici di merito
emerge l’infondatezza delle censure del Pecorino.
L’imputato è stato iscritto nel registro degli indagati il 27.10.2001 nel proc. N1934/01 per
violazione dell’art. 416 bis c.p. commesso in data anteriore e prossima al 15.2.01, la sua posizione
è stata stralciata ed iscritta nel procedimento . N. 502/02 , archiviato con decreto 5.12.03_; il
26.5.05 è stato iscritto nel registro degli indagati nel proc. N. 1101/05 per il medesimo reato
commesso dal marzo 2005. Sulla base della medesima annotazione della p.g. ,i1 P.M. chiedeva la
riapertura delle indagini Accordata con decreto del Gip 14.7.05 ed il fascicolo era iscritto„ a
seguito dall’autorizzazione alla riapertura col n. 1519/05 e riunito ,i1 25.7.05 al procedimento . N.
1101/05, che veniva archiviato il 18.9.06. Il 9.8.08 , alla luce di alcune conversazioni intercorse il
— —30-.-7-.2008- – tra PECORINO GIUSEPPE e Galletta Grovurnii(uorno d’onore delta famiglia di Enna e
sottoposto ad intercettazioni telefoniche nell’ambito del proc. N. 495/07 ), il ricorrente veniva
iscritto nell’ambito del proc. n1885/08, per violazione dell’art. 416 bis c.p., commesso da epoca
successiva al settembre 2006 sino al 30.7.08. Sulla base delle medesime intercettazioni telefoniche
, era chiesta la riapertura delle indagini del proc. N. 1101/05, accordata con decreto GIP 2.9.08 e il
fascicolo assumeva il n. 1904/08, con contestazione del reato ex art. 416 bis c.p. commesso in
epoca anteriore e prossima al 2.9.0. ; Il procedimento, il 24.3.09 , veniva riunito al proc. n 1885/08,
che ,i1 18.1.2011 era a sua volta unito al presente proc. 855/2007 Secondo la corretta
argomentazione del Gup, nel caso in esame ricorre l’ipotesi, esaminata dalla giurisprudenza della
S.C., secondo cui,nell’ipotesi di reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata, l’efficacia

l’efficacia preclusiva del decreto di archiviazione impedisce, in assenza di
autorizzazione alla riapertura delle indagini, di indagare sul segmento temporale
della condotta illecita già presa in considerazione o di utilizzare per lo stesso periodo
gli elementi probatori acquisiti. L’imputazione riguarda un segmento temporale che
comprende quelli cui fanno riferimento i decreti di archiviazione e i procedimenti
successivamente . iscritti ; inoltre la formulazione delle accuse poggia su risultanze
probatorie acquisite in procedimenti iscritti senza autorizzazione ex art. 414 c.p.p.
Per. esempio : la richiesta di disporre intercettazioni è stata avanzata 1’1.9.08 nel
proc. 1885/08, iscritto senza avere ottenuto l’autorizzazione alla riapertura delle
indagini ;
3. violazione di legge in riferimento all’art. 125 co. 3 e 191 c.p.p. : la sentenza è silente
sul seguente rilievo contenuto nell’atto di appello : nei procedimenti iscritti a
seguito di autorizzazione ( n.1519/05 e n. 1904/08) e riuniti a quelli iscritti
precedentemente senza richiesta di riapertura ( n.1101/05 — 1885/08) ,i1 PM non ha
svolto alcuna indagine . I risultati delle indagini in questi ultimi procedimenti sono
stati acquisiti in violazione dell’ art. 191 c.p.p. e le prove assunte sono inutilizzabili;
4. violazione di legge , in riferimento agli artt. 416 bis c.p. e 125 co. 3 c.p.p. : la
sentenza ha omesso di individuare quale concreto ed attuale contributo il Pecorino
abbia fornito al sodalizio mafioso, delineando così una condotta qualificabile come
appartenenza , consistita in richieste ed accettazioni di vantaggi ed-. elargizioni. •
legittimante solo una misura di prevenzione. Elementi a carico del ricorrente sono
costituiti , secondo la sentenza, da conversazioni ,in cui egli mostra di conoscere e
scambiare informazioni ed opinioni
sulle delinquenziali dinamiche interne
dell’associazione; non viene data adeguata rilevanza alla circostanza che i
collaboratori dell’area catanese (D ‘Aquino) e di Catenanuova (Mavica) non lò
abbiano chiamato in correità. Non si tiene conto —sotto il profilo dell’affermazione di
responsabilità e della quantificazione della pena- che comunque la sua
partecipazione al clan è cessata con la morte di Ilardo Luigi, avente funzioni
dirigenziali, al quale egli era direttamente e personalmente collegato.

,

preclusiva del decreto di archiviazione impedisce soltanto che, in assenza di autorizzazione alla
riapertura delle indagini, possa essere esercitata l’azione penale per fatti compresi nel segmento
temporale già preso in considerazione nel decreto medesimo, ma non per fatti successivi che
posseggano autonoma rilevanza penale o che si utilizzino per lo stesso periodo elementi accertati e
acquisiti in precedenza.(sez. 2,n. 46677 del 25/11/2011, Rv.252056).Nel caso in esame , dalla
scansione temporale sopra citata emerge che in ognuno dei procedimenti succedutisi nei tempo, la
data del fatto era diversa : prima in epoca anteriore e prossima al 15.2.2001,poi dal marzo 2005
. sino alla_data di archiviazione del 18.9.06; infine da epoca successiva al settembre 2006 sino al
30.7.08. Le indagini iniziate nel 2005 e nel 2008 , sulla scorta di autonome notizie di reato,
riguardavano periodi diversi da quelle precedenti e quindi non erano state condotte in violazione
delle norme. Specifica correttamente la corte di appello che la giurisprudenza della S.C. ritiene
non necessario ricorrere, in materia di reato associativo, all’istituto dell’art. 414 c.p.p. nei casi in cui
le nuove indagini riguardino fatti diversi o successivi, anche se collegati a quelli oggetto di
precedenti investigazioni. La sanzione di inutilizzabilità derivante dalla violazione dell’art. 414 cod.
proc. pen. colpisce solo gli atti che riguardano lo stesso fatto oggetto dell’indagine conclusa con il
provvedimento di archiviazione, e non anche fatti diversi o successivi, benché collegati con i fatti
oggetto della precedente indagine. Tale principio vale anche per i reati permanenti – come quello di
associazione mafiosa oggetto del caso di specie – in relazione ai –quali- il provvedimento di
archiviazione relativo ad indagini concernenti fatti od elementi temporalmente definiti non impone
di richiedere_ il decreto di riapertura delle indagini, se queste riguardano fatti o elementi diversi O;;
successivi. (sez. 2 n. 3255 del 10/10/2013, Rv.258528; sez. 5, n. 17380 del 18.1.05, rv 231780; sez.
3 n. 43952 del 28.9.04, rv 230334). Pertanto, anche a voler ritenere che la riapertura delle indagini
autorizzata nel proc. . N. 1101/05 ,dalla quale è scaturito il proc. n. 1904/08, non possa sanare
l’attività investigativa svolta nel procedimento n 1885/08, al quale il procedimento n. 1904/08 è
stato riunito solo dal 24.3.09 , deve convenirsi sul fatto che l’efficacia preclusiva del decreto di
archiviazione adottato il 18.9.06 nell’ambito del proc. . N. 1101/05. potrebbe impedire l’esercizio
dell’azione penale solo per i fatti compresi nel segmento temporale preso in considerazione con il
decreto di archiviazione , cioè fino al 18.9.06; non altrettanto vale per quanto successivamente
commesso dal Pecorino che deve rispondere di reato associativo fino al 2011.
Tenuto conto che la contestazione riguarda un arco di tempo che va da epoca anteriore al 1996 fino
al 2011, non ha rilevanza che il proc. n. 1904/08, iscritto a seguito della riapertura delle indagini
nel proc. . N. 1101/05, sia stato unito solo il 24.3.09 al proc. n1885/08, nel cui ambito sono state
effettuate le indagini, in quanto ha rilevanza assorbente la circostanza che comunque sia stata
disposta la riapertura delle indagini. Né può ritenersi che i risultati di queste indagini ,svolte prima
del 24.3.09, siano inutilizzabili : le indagini sul Pecorino sono state svolte quando già era stata
disposta la riapertura delle indagini nel proc. N. 1101/05. Infatti la riapertura delle indagini è stata
autorizzata con decreto 2.9.08, mentre i -primi atti di investigazione nel proc. N. 1101/05 sono stati
costituiti dai decreti di autorizzazione all’ intercettazione delle sue conversazioni effettuate con il
cellulare e all’interno della sua auto , datati 2.9.08. Ne consegue che i risultati delle intercettazioni
sono utilizzabili per verificare la condotta antecedente alla data di archiviazione del 18.9.06. Va
anche rilevato, secondo il condivisibile giudizio del Gup, che le conversazioni di maggiore spessore
dimostratiTo (ffinne-t1- 32849-0 328’50 del 313.7.08) sonò state registrate in altro proc -eilittiénTi5 -Che—
non riguardava Pecorino, sicché nulla osta alla loro utilizzabilità ,posto che sono stati rispettati i
parametri dell’art. 270 c.p.p. e che per l’esercizio dell’azione penale anche per fatti pregressi al
2006 si è proceduto dopo che era stata autorizzata la riapertura delle indagini. Ugualmente sono
utilizzabili le dichiarazioni del collaboratore TEDESCO Ettore, rese nel procedimento n. 502/022
che, a seguito della riapertura delle indagini, è confluito nel proc. N. 1101/05, che ,a sua volta,
prima dell’esercizio dell’azione penale successivo alla riapertura delle indagini , è confluito nel
procedimento . n.1885/08.

5. Nell’interesse di Grasso Massimo è stato presentato ricorso per violaiione di legge, in relazione
agli artt. 416 bis c.p. e 192 c.p.p., e per vizio di motivazione :l’affermazione di responsabilità è
basata su intercettazioni di conversazioni del 13 luglio e del 29 agosto del 2008, senza alcuna
indicazione di specifica condotta integrante gli elementi costitutivi del delitto associativo . Tutti i
collaboratori escussi hanno escluso che il Grasso abbia partecipato all’associazione o ai reati scopo
Nella seconda intercettazione il Grasso dichiara che, essendo stato ucciso “quello che mi
comandava”, -cioè Prestifilippo Cirimbolo- Salvatore, non voleva più sapere-nulla e non-voleva- più
essere cercato. Queste affermazioni Aimostrano il suo allontanamento dalla cosca, mentre la corte
le interpreta come prova di adesione al sodalizio.
Nell’altra conversazione, si esprime con la frase ” U problema chissu è” che ha un significato
equivoco e non dimostra quindi una condotta partecipativa.
5.a. Il ricorso è manifestamente infondato, in quanto si articola in affermazioni dirette a prospettare
valutazioni degli elementi probatori alternative rispetto a quelle espresse con insindacabile
razionalità dai giudici di merito. Risulta,infatti che il Grasso partecipò il 13 luglio 2008 ad una
conversazione , i cui altri interlocutori (Prestifilippo Cirimbolo Maurizio e Cali Vito) facevano
espresso riferimento alla programmata uccisione di Strano Santo e Passalacqua Filippo , mediante
l’uso delle armi e alla difficoltà di reperire le due vittime. -Pur con una ridotta partecipazione verbale
a tale funesta e disumana conversazione, il Grasso ha presenziato alla organizzazione di un duplice
omicidio ,predisposto nell’ambito di uno scontro tra due consorterie rivali. Tale presenza è stata
razionalmente e insindacabilmente interpretata dai giudici di merito come dimostrazione del suo
inserimento nel gruppo di contendenti che faceva capo a Salvatore Prestifilippo Cirimbolo e ,in
posizione inferiore , al fratello Maurizio , inserimento che, sia pure di livello gregario(non risulta la
sua partecipazione a reati fine ), ha la sua indubbia rilevanza ai fini della partecipazione del Grasso
all’ associazione mafiosa di cui al capo C) della rubrica.
La sua responsabilità per il delitto associativo , in posizione subalterna rispetto al capo mafia
Salvatore Prestifilippo Cirimbolo è stata correttamente ritenuta confermata da altra conversazione,

Ugualmente sono infondate le censure sulla efficacia dimostrativa delle prove acquisite e formate
nel corso del giudizio di merito. Infatti, la corte di appello con fedele richiamo delle dichiarazioni
dei collaboratori di giustizia e con razionale valutazione della loro forza persuasiva ha
correttamente accertato i seguenti dati fattuali
a. il Pecorino ha svolto un fondamentale ruolo , nell’estate del 1995, di dirigente
dell’articolazione locale di Cosa Nostra, quale vicario-supplente dillardo Luigi; , mafioso di
alto rango, rappresentante nel territorio ennese di Giuseppe Madonia;
b. questo ruolo dirigenziale hamantenuto nel tempo il suo rilievo nell’organico di _Cosa Nostra
e,correlativamente, nel campo del crimine, in virtù dell’alto livello criminoso della fonte
dell’investitura per entrambi del potere mafioso, fonte costituita da Bernardo Provenzano;
c. l’attualità dell’inserimento del Pecorino nella consorteria mafiosa ennese non ha quindi
ricevuto ,secondo la razionale e insindacabile valutazione della corte territoriale, alcuna
attenuazione a causa dell’uccisione dell’Ilardo nel maggio del 1996;
d. tale inserimento ha ricevuto indubitabile conferma grazie alle conversazioni registrate, nel
corso- delle quali , il ricorrente ha dimostrato di aver mantenuto tempestiva e completa
partecipazione conoscitiva dell’attività, criminosa e della struttura organizzativa del gruppo
di appartenenza, operante nel territorio di Catenanuova;
e. la -mancata indicazione,–da- parte di alcuni collaboratori di giustizia , ,dell’inserimento del
Pecorino in tale gruppo mafioso è stata razionalmente ritenuta del tutto inidonea a inficiare
.1aSorzadimostrativa dei,suindicati dati probatori.
Il ricorso va quindi rigettato con condanna al pagamento delle spese processuali

6.. Ugualmente inammissibile è il ricorso ,presentato nell’interesse di PRESTIFILIPPO _
CIRIMBOLO MAURIZIO, al quale è seguita una dichiarazione di rituale rinuncia„ depositata il
18.7.2014.
Ne consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di E 500 in favore
della Cassa delle Ammende.

PQM
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di RICCOMBENI PROSPERO limitatamente al
trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Caltanissetta per
nuovo esame sul punto.
Rigetta il ricorso di PECORINO GIUSEPPE che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di PRESTIFILIPPO CIRIMBOLO MAURIZIO e GRASSO
MASSIMO e condanna gli imputati ricorrenti singolarmente al pagamentodelle spese processuali,
nonché il Prestifilippo Cirimbolo della somma di E 500 e il Grasso della somma di € 1000, in
favore della Cassa delle Ammende.
Roma 16 .12 2014
Il c
estensore
Anto evee

Il presidente
Alfredo Maria Lombardi

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intercorsa con il fratello Maurizio. Questi il 29.8.2009, successivamente alla uccisione di Salvatore,
invitava il Grasso —trasferitosi in Sardegna — a tornare a Catenanuova. Il ricorrente rifiutava, con
una motivazione attestante il particolare rapporto gerarchico che la aveva legato al defunto, in un
contesto di temuta violenza :”…quello che mi comandava è morto …io fuggiasco sugnu”.
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile con condanna al pagamento delle spese processuali e
della somma-di € 1.000, in favore della Cassa-delle Ammende.

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