Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22900 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 22900 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Mancini Giuseppe Massimo, nato a Biella, il 23/9/1952;

avverso la sentenza del 13/7/2012 della Corte d’appello di Torino;
visti g li atti, il provvedimento impu g nato ed il ricorso ;
udita la relazione svolta dal Consi g liere Dott. Luca Pistorelli ;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Carmine
Stabile, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per la parte civile l’avv. Simone Trivelli, che ha concluso chiedendo il ri g etto del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 13 lu g lio 2012 la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della
pronunzia di primo g rado appellata esclusivamente dall’imputato, condannava Mancini

Data Udienza: 17/04/2013

Giuseppe Massimo per il reato di lesioni personali dolose ai danni di Pionna Angelo,
così riqualificando l’originaria contestazione a seguito dell’esclusione delle aggravanti
di cui agli artt. 583 n.1 e 577 n. 4 c.p. in ragione degli esiti della perizia medico legale
sull’entità delle lesioni riportate dalla persona offesa disposta ex art. 603 c.p.p. su
richiesta dell’appellante. Conseguentemente la Corte territoriale provvedeva alla
rimodulazione del trattamento sanzionatorio ispirandosi alle pene previste dal d. Igs. n.
274/2000, atteso che il reato ritenuto apparteneva alla competenza del Giudice di

di giudizio in favore della parte civile.
2. Avverso la sentenza ricorre a mezzo del proprio difensore il Mancini, articolando
quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 192 c.p.p. e vizi motivazionali della
sentenza, che avrebbe omesso di rivalutare, all’esito della perizia disposta in appello,
le dichiarazioni del teste Quazzola, ingiustificatamente scartate dal giudice di prime
cure. Questi infatti, essendo stato il primo tra i testimoni oculari del fatto a giungere
sul teatro della vicenda, aveva narrato di aver visto la persona offesa mordere al
braccio l’imputato e questi colpirlo con dei pugni sul casco da ciclista, evidentemente
al fine di costringere l’avversario a mollare la presa. Tale racconto avrebbe trovato
espresso riscontro nella deposizione, resa nel corso del dibattimento d’appello, del
perito, che, come del resto evidenziato dalla stessa sentenza impugnata, ha
riconosciuto come le lesioni riscontrate sul braccio del Mancini fossero da imputarsi,
per l’appunto, ad un morso. Ed a questo punto risulterebbe per il ricorrente evidente la
lacuna motivazionale denunciata, atteso che la Corte territoriale, non tenendo conto
delle oramai riscontrate dichiarazioni del menzionato teste, avrebbe
ingiustificatamente recepito la dinamica dei fatti prospettata dal giudice di prime cure.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente denuncia analoghi vizi in merito alla valutazione
sulla preponderante aggressività ed offensività della condotta dell’imputato compiuta
dalla sentenza al fine di escludere che l’imputato versasse in stato di legittima difesa,
in quanto ancorata alle dichiarazioni di testimoni che avevano potuto assistere solo
alla fase terminale dell’episodio e a quelle della persona offesa, peraltro poco
attendibili giacché tese a colorire il proprio racconto di particolari drammatici che non
hanno trovato riscontro in quello dei suddetti testi, pure giudicati attendibili dai giudici
dell’appello, o negli esiti della perizia medica, glissando invece sul morso inferto
all’imputato ovvero sull’utilizzo della propria bicicletta nei suoi confronti come corpo
contundente, come riferito dai testi della difesa. In definitiva mancherebbe la prova di
qualsiasi atteggiamento aggressivo del Mancini fino al momento in cui, subito il morso,
avrebbe cercato di liberarsi della dolorosa presa, mentre dalle stesse dichiarazioni
della persona offesa emergerebbe come essa in precedenza, dopo un litigio

Pace, nonché alla diminuzione dell’entità della provvisionale liquidata nel primo grado

conseguente alla sua condotta ostruzionistica tesa a non lasciar strada all’imputato, Io
aveva prima ingiuriato per poi sputare nella sua direzione. Comportamenti questi cui si
sarebbero aggiunti quelli ben più eclatanti descritti in precedenza, evidenziandosi così
come, contrariamente a quanto immotivatamente sostenuto dalla Corte, non sarebbe
stato il Mancini ad aggredire il Pionna, ma viceversa e che pertanto lo stesso, quando
ha colpito la persona offesa, avrebbe agito per legittima difesa.
2.3 Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 539 c.p.p. e carenze

Pionna di una provvisionale di 2.000 euro, la quale, ancorchè risultando sensibilmente
inferiore a quella determinata nel primo grado di giudizio, non terrebbe conto del
ridimensionamento dell’entità delle lesioni ritenute dal perito effettivamente
ricollegabili alla condotta eventualmente addebitabile all’imputato.
2.4 Con il quarto ed ultimo motivo si lamenta la violazione dell’art. 541 c.p.p. ed
ulteriori carenze motivazionali in relazione alle decisioni assunte sulla rifusione delle
spese della parte civile. Avendo infatti la Corte territoriale ripartito quelle del grado tra
i due contendenti in ragione della parziale fondatezza dell’impugnazione dell’imputato,
analogamente avrebbe dovuto disporre secondo il ricorrente con riguardo a quelle del
grado precedente, tanto più che le esagerazioni compiute dalla persona offesa nella
prospettazione dell’entità delle lesioni hanno fatto sì che a giudicare del reato sia stato
il Tribunale e non il Giudice di Pace, invece competente in ragione dell’esatta
qualificazione del fatto ripristinata con la sentenza impugnata, con conseguente
levitazione dei costi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e in parte anche inammissibile e deve pertanto essere
rigettato.
1.1 I primi due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, atteso che
entrambe censurano la ricostruzione della dinamica dei fatti operata in sentenza anche
e soprattutto in ragione della parziale o errata valutazione del compendio probatorio.
Deve peraltro evidenziarsene la comune inammissibilità.
In proposito va osservato come il ricorrente innanzi tutto lamenti come siano stati
immotivatamente ignorati alcuni elementi di prova ed in particolare alcune delle
dichiarazioni rese dai testimoni sentiti nel primo grado di giudizio. Il vizio denunciato è
quello del travisamento della prova per omessa considerazione di evidenze
effettivamente acquisite.
Sul punto va rammentato come, ai sensi delle modifiche apportate all’art. 606 comma
1, lett. e) c.p.p., il vizio di motivazione rilevante possa risultare, oltre che dal testo del
provvedimento impugnato, anche “da altri atti del processo”, purché siano

nella motivazione della sentenza in merito alla disposta liquidazione in favore del

”specificamente indicati nei motivi di gravame”. Ciò comporta, in altre parole, che
all’illogicità intrinseca della motivazione (cui è equiparabile la contraddittorietà logica
tra argomenti della motivazione), caratterizzata dal limite della rilevabilità testuale, si
è affiancata la contraddittorietà tra la motivazione e l’atto a contenuto probatorio.
L’informazione “travisata” (la sua esistenza – inesistenza) o non considerata deve,
peraltro, essere tale da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso.
Inoltre, la disposizione menzionata impone, ai fini della deduzione del vizio di

nei motivi di gravame”.
Sul ricorrente, dunque, grava, oltre all’onere di formulare motivi di impugnazione
specifici, anche quello di individuare ed indicare gli atti processuali che intende far
valere (e di specificare le ragioni per le quali tali atti, se correttamente valutati,
avrebbero dato luogo ad una diversa pronuncia decisoria), onere da assolvere nelle
forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione.
1.2 Non è dubbio che l’odierno ricorrente non si sia attenuto a questi oramai
consolidati principi. Deve infatti ancora ricordarsi che, qualora la prova omessa o
travisata abbia natura dichiarativa, il ricorrente ha l’onere di riportarne integralmente
il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni brani o a sintetizzarne in maniera
autonoma il contenuto – come invece avvenuto nel caso di specie con riguardo alle
dichiarazioni dei testi Quazzola, Carelli, Inglesi e Fasolo-, giacchè così facendo viene
impedito al giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il significato probatorio
delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (Sez. 4 n.
37982 del 26 giugno 2008, Buzi, rv 241023; Sez. F., n. 32362 del 19 agosto 2010,
Scuto ed altri, Rv. 248141). Non di meno lo stesso ricorrente ha omesso di precisare
perchè le informazioni probatorie trascurate sarebbero effettivamente in grado di
ribaltare il giudizio di credibilità formulato dai giudici d’appello, limitandosi ad
enunciare la circostanza. Quanto alle dichiarazioni del Quazzola, infatti, non è dato
comprendere – ed in tal senso emerge la genericità del ricorso – perché dalla sua
testimonianza dovrebbe dedursi che il pestaggio del Pionna avrebbe costituito la mera
reazione al morso subito dal Mancini e non viceversa ovvero perché le due azioni non
sarebbero state contestuali e cioè le autonome condotte di due soggetti venuti a
colluttazione, come in maniera tutt’altro che illogica dedotto dalla Corte territoriale,
che per l’appunto non ha omesso di rilevare l’effettività del morso suddetto e dimostra
di aver fatto buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità
richiamata in sentenza. Con riguardo invece ai frammenti delle deposizioni degli altri
testimoni il ricorrente omette di spiegare perché le rilevate ed eventuali discrasie con
il narrato della persona offesa sarebbero in grado di inficiarne la complessiva
attendibilità e, soprattutto, perché risulterebbero decisive nell’accreditamento della
tesi della legittima difesa, posto che dalla stessa ricostruzione dei fatti prospettata

motivazione, che l'”atto del processo” sia, come già ricordato, “specificamente indicato

dalla difesa emerge come la lite sia stata provocata da entrambe i contendenti, il che
automaticamente impedisce la configurabilità dell’invocata esimente, dovendosi in
proposito ricordare come l’uso della parola “necessità” nella formulazione legislativa
dei requisiti della legittima difesa abbia una portata perentoria che esclude, dal suo
rigoroso orizzonte applicativo, qualsiasi caso di volontaria determinazione di una
situazione di pericolo, ivi compreso quello in cui l’agente abbia contribuito ad
innescare una sorta di duello o sfida contro il suo avversario o attuato una spedizione

Rv. 252352).
1.3 Per il resto i vizi di motivazione denunciati dal ricorrente – anche quando dallo
stesso mascherati da inesistenti violazioni di legge – si traducono nell’altrettanto
inammissibile tentativo di sollecitare un riesame del merito – non consentita in sede di
legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti. In
particolare costituisce una mera interpretazione soggettiva del ricorrente la
valutazione del comportamento della persona offesa, la cui attendibilità viene peraltro
messa in discussione sulla base di considerazioni non coerenti con il compendio
probatorio laddove si taccia la medesima di aver mentito quando ha riferito di aver
ricevuto dei calci in faccia, dimenticando lo stesso ricorrente che, per come risulta
dalla sentenza (peraltro non contestata sul punto), la circostanza è stata confermata
dal teste Inglesi.

2. Anche il terzo motivo risulta inammissibile, dovendosi in proposito ribadire che, in
tema di provvisionale, la determinazione della somma assegnata è riservata
insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l’obbligo di espressa motivazione
quando l’importo rientri nell’ambito del danno prevedibile (Sez. 6, n. 49877 dell’il
novembre 2009, R.C. e Blancaflor, Rv. 245701). Ed in tal senso il ricorrente ha
genericamente ed apoditticamente affermato l’eccessività della somma liquidata,
limitandosi ad evocare circostanze di cui la Corte territoriale ha puntualmente tenuto
conto nel ridimensionare quella invece liquidata nel precedente grado di giudizio,
senza invece spiegare per quali ragione la stessa sarebbe effettivamente esorbitante
rispetto al danno causato dalle lesioni riportate dal Pionna.

3 Il quarto motivo di ricorso, concernente la conferma delle statuizioni della sentenza
di primo grado in ordine alla condanna dell’imputato al rimborso delle spese in favore
della parte civile nonostante il parziale accoglimento dell’appello, è invece infondato.
Va infatti ribadito che il parziale accoglimento dell’appello proposto dall’imputato non
comporta l’obbligo del giudice di modificare la decisione di primo grado sulle spese
giudiziali, potendo pur sempre riconfermare la ripartizione delle spese compiute dal
primo giudice, purché conforme, in ogni caso, ai principi generali sulla soccombenza.

punitiva nei suoi confronti (Sez. 1, n. 12740/12 del 20 dicembre 2011, El Parnouchi,

(Sez. 5, n. 17416 del 13 marzo 2007, Fratantoni, Rv. 236638).
In proposito deve ricordarsi che il regime adottato dal codice di procedura penale in
tema di condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile
costituita è fondato, attesa la pertinenza della statuizione in esame ad una domanda
privatistica innestata nel giudizio penale, sul criterio di soccombenza, operando l’art.
541 c.p.p., comma 1 in analogia con quanto disposto all’art. 91 c.p.c., e in analogia
altresì all’art. 92 c.p.c., comma 2 la possibilità di disporre la compensazione (parziale

citato art. 541 c.p.p., comma 1.
È con ciò pienamente applicabile nella materia il principio espresso dalle Sezioni civili
di questa Corte, secondo cui il giudice di appello nel caso di accoglimento anche
parziale dell’impugnazione può modificare la decisione di primo grado sulle spese
giudiziali anche in difetto di specifico gravame, ma non è tenuto ad emanare tale
pronuncia, e ben può confermare la ripartizione delle spese compiuta dal primo
giudice, purché conforme, in ogni caso, ai principi generali sulla soccombenza (tra
molte: Sez. L, n. 4158 del 4 aprile 1992 Corrias c. Frau ed altri).
Nel medesimo senso si sono peraltro espresse le Sezioni Unite penali (Sez. Un., n.
6402 del 30 aprile 1997, Dessimone e altri, Rv. 207947) che, in situazione nella quale
il ricorrente lamentava la condanna alla rifusione delle spese di parte civile, pur in
presenza di una parziale riforma della sentenza, avevano infatti affermato che il
motivo era “privo di fondamento”, giacché la sentenza impugnata aveva comunque
fatto discendere dal permanere della condanna per uno dei reati contestati la
condanna al risarcimento del danno non patrimoniale della parte civile. E testualmente
hanno affermato: “E ben vero che nella sostanza la posizione di quest’ultima risulta
ridimensionata, rispetto alle statuizioni adottate in primo grado, tuttavia non sussiste
la dedotta violazione dell’art. 541 c.p.p., comma 1, posto che il parziale accoglimento
dell’impugnazione dell’imputato non elimina la condanna, sicché (pur impedita la sua
condanna al pagamento delle spese processuali) è consentita la condanna dello stesso
alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di impugnazione, in
base alla decisiva circostanza della mancata esclusione del diritto della parte civile
(cfr.: Sez. 3, 20.11.1993, n. 10581), salvo che il giudice ritenga di disporre, per giusti
motivi, la compensazione totale o parziale, sulla base di un potere discrezionale
attribuito dalla legge non censurabile in sede di legittimità (cfr.: Sez. 3, 31.8.1994 n.
9344), a meno che la decisione sia basata su ragioni palesemente illogiche (mentre
nella specie il giudice di secondo grado ha implicitamente considerato prevalente la
soccombenza dell’imputato, secondo il criterio già richiamato)”.
Sicché anche nel caso in esame può affermarsi che la Corte d’appello ha non
illogicamente considerato implicitamente prevalente, per il giudizio di primo grado, la
soccombenza dell’imputato.

o totale) delle spese, quando ricorrano giusti motivi, prevista dall’ultima parte del

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché alla refusione alla parte civile di quelle dalla stessa sostenute nel
grado che si liquidano complessivamente in euro 1.500, oltre agli accessori secondo
legge.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spse processuali, nonché

accessori secondo legge.
Così deciso il 17/4/2013

alla refusione di quelle sostenute dalla parte civile che liquida in euro 1.500 oltre

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