Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22896 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 22896 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi proposti dai difensori di:
Marra Antonio, nato a Galatina, il 6/4/1970;
Muci Massimiliano, nato a Bologna, il 2/6/1969;

avverso la sentenza del 11/4/2012 della Corte d’appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in ,persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Carmine
Stabile, che ha concluso per IL.ri~del ricorso;
udito per l’imputato Muci Massimiliano l’avv. Pantaleo Cannoletta, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 17/04/2013

RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza dell’H aprile 2012 la Corte d’appello di Lecce confermava la condanna
alle pene di giustizia di Marra Antonio e Muci Masimiliano per il reato di bancarotta
impropria patrimoniale commesso nel corso della gestione della Impiantistica 2000
dichiarata fallita il 4 marzo 2005. In particolare la Corte territoriale riconosceva il Marra
responsabile di una serie di fatti distrattivi e dissipativi consumati nella sua qualità di

uno di tali episodi, relativo alla cessione in favore della società di cui era titolare di
merce di pertinenza della fallita, cessione ritenuta fittizia e realizzata, per l’appunto, al
fine di coprire la distrazione della suddetta merce.
2. Avverso la sentenza ricorrono entrambe gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori.
2.1 Con il ricorso presentato nell’interesse del Marra vengono dedotti vizi motivazionali
della sentenza impugnata, rilevandosi come la responsabilità dell’imputato sia stata
affermata esclusivamente in ragione del fatto che gli era stata rilasciata una procura
speciale da parte dell’amministratrice della fallita, senza che sia stata acquisita prova
alcuna del suo effettivo coinvolgimento nei fatti di distrazione e di dissipazione
contestati, non tenendo conto altresì delle dichiarazioni rese dagli operanti e dal
consulente del pubblico ministero, da cui emergerebbe in maniera evidente come
l’attribuzione al Marra delle condotte illecite sia il frutto di mere deduzioni fondate per
l’appunto soltanto sulla sua qualifica di procuratore speciale della fallita.
2.2 Il ricorso del Muci lamenta a sua volta carenze motivazionali della sentenza ed
altresì la violazione della legge processuale. In proposito il ricorrente evidenzia come in
entrambe i giudizi di merito la prova della responsabilità dell’imputato sarebbe stata
fondata sulla discordanza tra le risultanze del libro giornale della fallita (in cui era stata
effettivamente annotata una fattura di vendita di merce in favore della società del Muci,
nonché il relativo pagamento per cassa della medesima) e presunte dichiarazioni rese
da quest’ultimo circa invece l’avvenuta compensazione del prezzo di vendita con
fantomatici crediti vantati nei confronti del Marra. Dichiarazioni che invero non
sarebbero mai state rilasciate – risultando in atti solo un verbale di interrogatorio del
Muci, nel corso del quale egli si era limitato a negare ogni addebito avvalendosi
successivamente della facoltà di non rispondere – e che comunque sarebbero state
inutilizzabili, in quanto al più qualificabili come dichiarazioni spontanee sul cui
contenuto gli operanti interrogati nel corso del dibattimento non potevano deporre.
Privata del contributo per l’appunto inutilizzabile delle presunte dichiarazioni del Muci,
l’apparato giustificativo della conferma della sua condanna si ridurrebbe quindi alla
mera annotazione contabile menzionata, di per sé insufficiente a provare il suo

amministratore di fatto della fallita ed il Muci colpevole come concorrente esterno in

coinvolgimento nel reato, atteso che alcun riscontro della presunta vendita è stato
rinvenuto nei libri della sua società.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso del Marra è manifestamente infondato. Il ricorrente non contesta infatti
l’attribuzione all’imputato della qualifica di amministratore di fatto (peraltro pacifica in
ragione dell’ampiezza della procura speciale conferitagli), bensì l’effettiva autoria delle

Corte il soggetto che assume la qualifica di amministratore “di fatto” di una società è
da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di
diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è
penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche
nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in
applicazione della regola dettata dall’art. 40, comma secondo, c.a. (Sez. 5, n. 15065
del 2 marzo 2011, Guadagnali e altri, Rv. 250094). La Corte territoriale, facendo
dunque buon governo di tale principio, ha ritenuto logicamente addebitabili al Marra, in
assenza di prova contraria, gli atti di gestione che hanno determinato il
depauperamento del patrimonio della fallita in quanto responsabile, al pari
dell’amministratore di diritto, dell’integrità dello stesso. Né per l’appunto il ricorrente ha
saputo indicare elementi in grado di inficiare la tenuta del ragionamento seguito dai
giudici d’appello, limitandosi per l’appunto ad obiettare in maniera generica l’assenza di
una ulteriore prova positiva del materiale coinvolgimento del Marra nelle azioni
distrattive, la cui effettiva consumazione non è peraltro contestata nel ricorso.

2. Anche il ricorso del Muci è inammissibile, atteso che egli denuncia una violazione di
legge non dedotta nei motivi d’appello, con i quali non aveva contestato né l’esistenza,
né l’utilizzabilità delle spontanee dichiarazioni dell’imputato menzionate nella sentenza
di primo grado, che anzi venivano implicitamente richiamate per evidenziare come la
discrasia tra quanto affermato dal Muci e le risultanze contabili della fallita non potesse
essergli addebitato. Ne consegue la manifesta infondatezza delle ulteriori doglianze del
ricorrente, le quali per l’appunto presuppongono la invece non necessaria eliminazione
dal compendio probatorio valutato dalla Corte territoriale delle suddette dichiarazioni.

3. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna di ciascuno dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore
della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

condotte distrattive, dimenticando però che secondo il costante insegnamento di questa

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 17/4/2013

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