Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22894 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 22894 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Zanettin Amedeo Paolo, nato a Padova, il 5/7/1938;

avverso la sentenza del 20/10/2011 della Corte d’appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Carmine
Stabile, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Mattia Gasparin, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 20 ottobre 2011 la Corte d’appello di Genova confermava la
condanna alla pena di giustizia di Zanettin Amedeo Paolo per i reati di bancarotta

Data Udienza: 17/04/2013

fraudolenta patrimoniale e documentale commessi nella sua qualità di amministratore
di fatto della G.I.M. s.r.l. dichiarata fallita 1’8 novembre 2002.
2. Avverso la sentenza ricorre a mezzo del proprio difensore l’imputato articolando
quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 192 c.p.p. avendo la Corte
territoriale ritenuto la responsabilità dell’imputato per la distrazione di contributi

grado fosse stata raggiunta la prova dell’effettiva erogazione alla società di solo la
metà dei finanziamenti deliberati.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizi motivazionali della sentenza
impugnata in merito alla ritenuta distrazione dei suddetti contributi. In particolare si
evidenzia come dalla prova acquisita risulterebbe che gli stessi non erano stati
concessi solo per l’acquisto di nuovi macchinari, ma altresì per l’esecuzione di opere
murarie la cui eventuale effettiva esecuzione non è stata oggetto del necessario
accertamento, né tantomeno di attenzione da parte della Corte territoriale.
2.3 Con il terzo motivo si denuncia nuovamente la violazione dell’art. 192 c.p.p.
questa volta in ordine all’affermata responsabilità del Zanettin per il reato di
bancarotta documentale. In proposito il ricorrente contesta l’effettivo raggiungimento
della prova della qualifica di amministratore di fatto, riconosciuta all’imputato sulla
base della deposizione dell’amministratore di diritto (Sestani Sebastiano), la cui
credibilità sarebbe però stata ritenuta sull’erroneo presupposto della sua carenza
d’interesse a rendere dichiarazioni eteroaccusatorie. Infatti se è vero che quest’ultimo
era stato assolto dai reati per cui si procede, sullo stesso ancora pendeva il rischio di
un’azione civile per i danni causati alla società nel corso della sua gestione. Né
sufficiente a suffragare le conclusioni assunte dai giudici d’appello sarebbe il contenuto
delle testimonianza dell’ufficiale di polizia giudiziaria che aveva condotto le indagini,
atteso che in proposito questi avrebbe confermato la circostanza fondandosi
esclusivamente su personali supposizioni.
2.4 Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente contesta, sempre con riguardo alla
bancarotta documentale, la tenuta argomentativa della sentenza, la quale avrebbe
trascurato quanto riferito dal curatore fallimentare in merito all’effettiva possibilità di
ricostruire lo stato patrimoniale della fallita e in particolare la perdita maturata alla
chiusura dell’esercizio dell’anno 2000, nonché le dichiarazioni di altri testi in ordine alla
regolare tenuta della contabilità anche nel primo semestre dell’anno 2001 e il fatto che
la Guardia di Finanza aveva reperito documentazione contabile e fiscale idonea a
consentire la ricostruzione sommaria del volume d’affari relativo a tale esercizio. Non
di meno la Corte territoriale avrebbe altresì ignorato la denuncia del furto della
documentazione contabile e fiscale presentata dalla società nel luglio del 2001.

ministeriali per oltre seicento milioni di lire, nonostante nel dibattimento di primo

CONSIDERATO IN

Immo

1.1 primi due motivi, attinenti all’imputazione di bancarotta distrattiva, possono essere
trattati congiuntamente. Entrambi risultano peraltro infondati.
1.1 II ricorrente eccepisce innanzi tutto che non essendo stato provato il versamento
della seconda tranche del finanziamento governativo, non poteva essere ritenuta la

nel patrimonio della fallita. Ma la sentenza impugnata ha evidenziato come nel
dibattimento di primo grado fosse stato acclarato che l’importo dell’intero contributo
era stato già anticipato da un istituto bancario ben prima che il competente ministero
procedesse al suo pagamento e come la distrazione avesse quindi avuto ad oggetto
proprio tali anticipazioni. Quindi nelle casse della società era effettivamente confluito
del danaro di cui l’imputato non ha saputo giustificare la sorte nè dimostrare, come
invece gli spettava avendo assunto di fatto la gestione della fallita, l’utilizzo
nell’interesse della società, risultando invece che certamente lo stesso non fosse stato
impiegato per l’acquisto dei macchinari cui il finanziamento era finalizzato, risultando
anzi l’alterazione delle fatture relative all’acquisizione in permuta di macchinari usati
(peraltro anch’essi non rinvenuti dalla curatela) nell’evidente tentativo di far figurare i
medesimi come nuovi e coprire in tal modo la distrazione consumata. Era dunque
irrilevante stabilire se l’erogazione dei contributi governativi fosse stata o meno
completa e correttamente la Corte territoriale non si è soffermata sul punto senza con
questo compromettere la tenuta argomentativa della sentenza impugnata.
1.2 Né può ritenersi fondata l’altra doglianza sollevata dal ricorrente in relazione al
mancato accertamento dell’eventuale impiego delle risorse acquisite per realizzare le
opere murarie cui pure sarebbe stato condizionato il finanziamento governativo.
In proposito deve innanzi tutto osservarsi come il profilo non fosse stato oggetto di
devoluzione con i motivi d’appello e come sul punto il ricorso si riveli comunque
generico, atteso che l’indicazione dell’atto probatorio da cui risulterebbe la circostanza
che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare si rivela del tutto carente,
consistendo nell’evocazione di meri brani selezionati estratti dalla deposizione del
consulente del pubblico ministero in violazione del consolidato insegnamento di questa
Corte per cui, qualora la prova omessa o travisata abbia natura dichiarativa, il
ricorrente ha l’onere di riportarne integralmente il contenuto, non

limitandosi ad

estrapolarne alcuni brani o a sintetizzarne in maniera autonoma il contenuto, giacchè
così facendo viene impedito al giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il
significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva portata del
vizio dedotto (Sez. 4 n. 37982 del 26 giugno 2008, Buzi, rv 241023; Sez. F., n. 32362
del 19 agosto 2010, Scuto ed altri, Rv. 248141).

sua distrazione in difetto dell’accertamento dell’effettivo ingresso della relativa somma

1.3 Ma anche a prescindere da quanto testè evidenziato, va ribadito che la prova della
distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere
desunta – come in sostanza hanno fatto i giudici di merito – dalla mancata
dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez.
5, n. 7048 del 27 novembre 2008, Bianchini, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15
dicembre 2004, Sabino, Rv. 231411). Nell’elaborare le sue lamentele il ricorrente
infatti trascura la costante elaborazione giurisprudenziale seguita dal giudice di

deve quindi ricordarsi che l’imprenditore è posto dal nostro ordinamento in una
posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia
dell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di quest’ultima. Donde
la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in
ragione dell’integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o Pensione
della sua consistenza danneggia le aspettative della massa creditoria ed integra
l’evento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta. Non di meno l’art.
87, comma 3 legge fall. (anche prima della sua riforma) assegna al fallito obbligo di
verità circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell’interpello formulato dal
curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione penale. Immediata è la
conclusione che le condotte descritte all’art. 216. comma 1, n. 1 (tra loro
sostanzialmente equipollenti) hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele
o sleale del fallito nel contesto dell’interpello. Osservazioni che giustificano
l'(apparente) inversione dell’onere della prova ascritta al fallito nel caso di mancato
rinvenimento di cespiti da parte della procedura e di assenza di giustificazione al
proposito (o di giustificazione resa in termini di spese, perdite ed oneri attinenti o
compatibili con le fisiologiche regole di gestione). Trattasi, invero, di sollecitazione al
diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro
ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile)
l’artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 7588 del 26 gennaio 2011, Buttitta e
altri, in motivazione).
1.4 Ne consegue pertanto che la mera prospettazione dell’esistenza di un concorrente
scopo cui era finalizzato il finanziamento è insufficiente ad evidenziare una lacuna
nella tenuta argomentativa della motivazione della sentenza, giacchè a monte era
compito dell’imputato – sempre in ragione della sua qualifica di amministratore di fatto
e in quanto tale titolare dei medesimi obblighi da cui è gravato quello di diritto dimostrare che le somme pervenute alla società fossero state effettivamente utilizzate
per realizzare tale obiettivo.

3. Anche il terzo motivo di ricorso deve ritenersi infondato, atteso che la
prospettazione di un rischio meramente teorico di esposizione dell’amministratore di

legittimità, la quale si ancora alla peculiarità della normativa concorsuale. In tal senso

diritto ad un’azione di responsabilità non è sufficiente ad inficiare la tenuta logica della
valutazione di attendibilità delle sue dichiarazioni formulata dalla Corte territoriale, che
pertanto le ha legittimamente poste a fondamento della prova dell’assunzione da parte
del Zanettin della qualifica di amministratore di fatto.
Non di meno, premesso che il giudice di legittimità ai fini della valutazione della
congruità della motivazione del provvedimento impugnato deve fare riferimento alle
sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un

Rv. 209145), deve osservarsi come la sentenza impugnata (nella prima pagina della
motivazione) faccia riferimento anche alle dichiarazioni rese dalla teste Bernardoni
(che non hanno costituito oggetto di contestazione da parte del ricorrente, nemmeno
con i motivi d’appello), le quali, come diffusamente illustrato nella sentenza di primo
grado, convergono con quelle del Sestani nell’indicare l’imputato quale l’effettivo
gestore della fallita. E’ dunque evidente non solo che il racconto del Sestani ha trovato
un riscontro idoneo a sanarne eventuali deficit di credibilità, ma che la prospettazione
di tale deficit non è sufficiente a dimostrarne la decisività ai fini dell’esclusione della
tenuta dell’apparato motivazionale del provvedimento impugnato.

4. Infondato è infine anche l’ultimo motivo.
4.1 In proposito deve innanzi tutto ricordarsi che nel delitto di bancarotta fraudolenta
documentale l’interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle
vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza
documentata e giuridicamente utile; ne consegue che il predetto delitto sussiste, non
solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si
renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche
quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da
difficoltà superabili solo con particolare diligenza (Sez. 5, n. 10423 del 22 maggio
2000, Piana G ed altri, Rv. 218383). Sussiste dunque il reato di bancarotta
fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda
impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche
quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da
difficoltà superabili per l’appunto solo con particolare diligenza (Sez. 5, n. 21588 del
19 aprile 2010, Suardi, Rv. 247965).
4.2 La Corte territoriale ha in maniera non manifestamente illogica tratto la
convinzione della responsabilità dell’imputato per la bancarotta documentale dalle
dichiarazioni del m.11o Serrelli e della curatrice fallimentare, i quali hanno
concordemente certificato il mancato rinvenimento di tutte le scritture contabili
relative all’esercizio del 2001, mentre la seconda ha precisato di essere entrata in
possesso esclusivamente di alcuni documenti (fatture passive e buste paghe dei

risultato organico ed inscindibile (Sez. 2, n. 11220 del 13 novembre 1997, Ambrosino,

t.

dipendenti) risultati inidonei a consentire l’effettiva ricostruzione del movimento degli
affari della fallita, stante la loro incompletezza e lacunosità.
A tali argomentazioni il ricorrente contrappone l’affermazione per cui i documenti
rinvenuti avrebbero invece consentito una “ricostruzione sommaria” del movimento
degli affari.
A parte il fatto che tale affermazione è non poco apodittica, contrastando con quanto
risulta dalla sentenza in merito all’effettivo contenuto delle dichiarazioni rese dalla

evidenziarsi come sia lo stesso ricorrente ad ammettere che la suddetta
documentazione era al più idonea a garantire soltanto una “sommaria” ricostruzione
del volume d’affari della fallita nell’esercizio 2001, che di per sé risulta incompatibile
con quel dovere gravante sull’imprenditore di consentire invece una effettiva e precisa
conoscenza agli organi fallimentari dell’andamento della gestione dell’impresa di cui si
è detto in precedenza e che all’evidenza impone quel

plus

di diligenza

nell’accertamento che giustifica la contestazione del reato di bancarotta fraudolenta
documentale.
4.3 Quanto alla mancata appostazione della perdita maturata alla fine del 2000 il
ricorso si rivela poi manifestamente infondato, atteso che la Corte territoriale non ha
fondato la conferma della sentenza di primo grado su tale circostanza, riconoscendo
come la curatrice avesse invece affermato il contrario, provvedendo così di fatto a
ridimensionare l’estensione della contestazione, fermo restando che la confusa
documentazione in relazione all’esercizio successivo costituiva fatto sufficiente a
giustificare l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato per il reato di
bancarotta documentale.
4.4 Con riguardo al presunto furto della contabilità il ricorso si rivela nuovamente
inammissibile perché generico, atteso che la circostanza viene meramente evocata,
ma il ricorrente in alcun modo ha provveduto ad identificare l’atto che ne avrebbe
veicolato la prova nel processo e ciò a tacere del fatto che il vizio del travisamento
della prova, per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il
ricorso per cessazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo
grado, non potendo, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, essere superato il
limite costituito dal devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il
giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia
richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19710 del 3
febbraio 2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636), il che non è avvenuto nel caso di
specie, dove la Corte territoriale ha fatto riferimento al medesimo compendio
probatorio utilizzato dal giudice di prime cure, nel mentre con i motivi d’appello alcuna
doglianza era stata sollevata con riguardo alla mancata considerazione della
menzionata denunzia di furto.

curatrice (le quali peraltro non sono state oggetto di specifica contestazione), deve

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 17/4/2013

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