Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22893 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 22893 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Cantilena Giuseppe, nato a Sanza, il 13/2/1945;

avverso la sentenza del 29/11/2011 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Carmine
Stabile, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Mario Petta, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 29 novembre 2011 della Corte d’appello di Milano confermava la
condanna di Cantilena Giuseppe alla pena di giustizia per i reati di bancarotta

Data Udienza: 17/04/2013

fraudolenta patrimoniale e documentale aggravati ai sensi dell’art. 219 commi 1 e 2 n.
1 legge fall., commessi nella sua qualità di amministratore della Superai s.r.l.
dichiarata fallita il 12 dicembre 1995.
2. Avverso la sentenza ricorre a mezzo del proprio difensore l’imputato articolando
cinque motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale sostanziale e

gli episodi di distrazione contestati al punto a) del capo d’imputazione. Osserva in
proposito il ricorrente come la merce di cui si assume la distrazione venne acquistata e
“pagata” mediante assegni scoperti, ma dal precedente amministratore della fallita
Murenu Raffaele. In tal senso la Corte territoriale avrebbe dunque attribuito la
condotta illecita al Cantilena sulla base dell’indimostrata presunzione della conoscenza
da parte dello stesso dell’operato del suo predecessore o addirittura dell’esistenza di
un accordo tra i due. Presunzione che non solo non troverebbe ancoraggio alcuno
nell’evidenza disponibile, ma sarebbe per di più contrastata dal fatto – trascurato dai
giudici d’appello – che l’imputato dopo solo un mese dall’assunzione della carica di
amministratore diede le dimissioni, rendendosi evidentemente conto di aver ereditato
una società oramai decotta, denunciando altresì all’autorità giudiziaria le irregolarità
contabili riscontrate (denuncia che risulterebbe ben più circostanziata di quanto
ritenuto in sentenza per deprimerne l’incidenza probatoria).
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’erroneo riconoscimento
dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, essendogli stata
sostanzialmente addebitata la responsabilità per la causazione dell’intero passivo
fallimentare, in realtà maturato nella massima parte durante la gestione del
precedente amministratore.
2.3 Con il terzo motivo si censura la motivazione della sentenza in ordine alla ritenuta
sussistenza del reato di bancarotta documentale, atteso che la Corte territoriale
avrebbe ingiustificatamente ignorato le spiegazioni offerte in proposito dall’imputato
(che aveva ammesso di aver trascurato la gestione contabile della società, ma nella
convinzione che a tale adempimento provvedessero i professionisti incaricati ancora
una volta dal suo predecessore) ed il fatto che non avendo egli mai detenuto i libri
contabili non avrebbe nemmeno potuto sottrarli come invece contestato. Ed in
proposito il ricorrente si lamenta di come la sentenza abbia totalmente ignorato
quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale nel primo grado di giudizio e cioè che
effettivamente i suddetti libri vennero recuperati dal curatore proprio presso il
commercialista indicato dal Cantilena, il quale pertanto potrebbe al più essere ritenuto
responsabile del reato di bancarotta documentale semplice, con la consequenziale
eliminazione della riconosciuta aggravante dei più fatti di bancarotta.

vizi motivazionali della sentenza in merito alla ritenuta responsabilità dell’imputato per

2.4 Con il quarto motivo vengono denunciati ulteriori vizi motivazionali della sentenza
in merito all’affermata responsabilità dell’imputato per la distrazione contestata al
punto c) del capo d’imputazione, rilevando il ricorrente in proposito come tale
affermazione non sia suffragata dall’evidenza dell’effettivo pagamento del prezzo
pattuito per la cessione dell’azienda, talchè mancando la prova che il bene oggetto di
distrazione sia mai entrato nel patrimonio della fallita non sarebbe possibile
configurare il reato contestato, nemmeno nella forma della dissipazione – pure

dolo necessario.
2.5 Con il quinto ed ultimo motivo il ricorrente lamenta infine il mancato
riconoscimento delle attenuanti di cui agli artt. 114 c.p. e 219 ult. comma legge fall.
nonostante la modestia del contributo alla consumazione dei reati al più attribuibile
all’imputato e la contenuta entità del danno determinato dalla sua gestione.

3. In data 3 aprile 2013 il ricorrente ha depositato motivi muovi con i quali ha ribadito
l’immotivato diniego dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p., nonché l’assenza di
elementi in grado di fondare la presunzione di un accordo tra l’imputato e il
precedente amministratore della fallita ai fini della distrazione della merce
truffaldinamente acquisita da quest’ultimo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1.1 Quanto ai primi due motivi (sostanzialmente ribaditi nei motivi nuovi), che
possono essere trattati congiuntamente e che in realtà risultano infondati ai limiti
dell’inammissibilità, deve osservarsi che la Corte territoriale (come del resto in
precedenza anche il Tribunale), valutando i tempi e il volume degli acquisti effettuati
in frode ai fornitori, le dimensioni dell’azienda gestita dalla società fallita, la breve
durata della gestione del Murenu, nonchè la tempistica del suo avvicendamento con il
Cantilena, ha presunto che l’imputato si fosse accordato con l’amministratore che
l’aveva preceduto per distrarre la merce da questi acquistata o le somme percepite
dalla sua successiva vendita.
1.2 II ricorrente contesta la legittimità di tale presunzione e la sua idoneità ad esaurire
la prova del concorso dell’imputato nelle distrazioni contestate al punto a) del capo
d’imputazione, ritenendo come il compendio probatorio suggerisca invece sia stato il
citato Murenu, prima di cedere la guida della società, a distrarre la merce acquistata a
suo nome.
Obiezioni che non colgono nel segno e che in ultima analisi si risolvono nella
sollecitazione ad una rivisitazione della valutazione del materiale probatorio che i

alternativamente adombrata dalla Corte territoriale – condotta di cui difetterebbe il

giudici d’appello hanno operato e che naturalmente esorbita dai compiti di questa
Corte.
La conclusione cui è approdata la sentenza, infatti, non appare manifestamente
illogica, atteso che il Murenu aveva assunto la gestione della società quando questa
era già stata posta in liquidazione nel novembre del 1994, effettuando gli ordinativi
per la maggior parte nel successivo dicembre. Non risulta dunque credibile che un
piccolo supermercato come quello gestito dalla fallita (che per di più aveva già rivelato
di lire già all’inizio del febbraio del 1995, quando l’imputato è succeduto al menzionato
Murenu. E’ pertanto coerente con tali premesse concludere, come hanno fatto i giudici
di merito, che almeno in parte la stessa merce sia stata smaltita solo nel corso della
gestione del Cantilena e che questi si sia appropriato dei relativi incassi d’accordo con
il suo predecessore, tanto più che, come ricordato in sentenza (non contestata sul
punto dal ricorso), l’imputato si è costantemente difeso sostenendo di aver assunto
l’amministrazione della fallita come prestanome del Murenu.
1.3 Manifestamente infondati o generici risultano poi gli ulteriori rilievi mossi dal
ricorrente sul punto.
Quanto alle dimissioni presentate dall’imputato ad un mese dall’assunzione della guida
della società, ricordato che secondo l’insegnamento di questa Corte le dimissioni dalla
carica gestoria sono in sè ininfluenti ed incapaci ad interrompere il nesso di causalità
con l’evento pregiudizievole per la società, sotteso all’art. 40 cpv. c.p., trattandosi di
atto che, non incidendo sulla continuità eziologica, tende soltanto a procurare
un’apparente distanza tra l’illecita mancanza e la personale responsabilità del
soggetto, ma non è sostanzialmente in grado di escludere il tradimento degli obblighi
gravanti sull’esponente societario, posto in posizione di garanzia; pertanto, esse non
sono idonee ad esimere dalla penale responsabilità colui che è tenuto ad interrompere
il rapporto eziologico che sfocia nella verificazione del danno (Sez. 5, n. 3714/12 del
14 dicembre 2011, Colombo, Rv. 252947), contrariamente a quanto sostenuto dal
ricorrente la Corte territoriale ha dimostrato di aver valutato la circostanza,
escludendone in maniera logica la rilevanza, non solo in ragione dell’accertata formale
inefficacia delle stesse o perchè comunque sarebbero stata inidonee a sollevare
l’amministratore dai suoi obblighi fino alla sua sostituzione, ma soprattutto sulla base
del fatto che il Cantilena anche dopo la presentazione delle medesime ha effettuato
concreti atti di gestione, come ad esempio la cessione dell’azienda.
Del tutto generica appare invece la doglianza relativa all’esposto presentato
all’autorità giudiziaria dall’imputato, atteso che il ricorrente non è stato in grado di
evidenziare la decisività della circostanza, limitandosi a contestare l’asseritamente
errata asserzione della Corte territoriale in merito alla mancata indicazione degli
eventuali responsabili delle irregolarità denunciate, senza tenere in considerazione che

i suoi limiti commerciali) potesse aver già rivenduto merce per oltre settecento milioni

la sentenza ha giudicato irrilevante la denunzia soprattutto in ragione della vaghezza
del suo contenuto.
1.4 Quanto infine alle censure sollevate con il secondo motivo, la loro infondatezza è
la inevitabile conseguenza di quella del primo motivo. Infatti, una volta stabilito che il
Cantilena è concorso nella distrazione contestata, deve ritenersi sufficiente ai fini del
riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 219 comma 1 legge fall. l’implicito
riferimento operato dalla sentenza alle somme oggetto di tale distrazione, attesa

il curatore fallimentare abbia attribuito il passivo della fallita per la maggior parte
proprio alle forniture che ne sono state lo strumento.

2. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato ai limiti dell’inammissibilità.
2.1 In proposito deve innanzi tutto evidenziarsi che nel dibattimento di primo grado
era stato accertato come la contabilità non fosse mai stata istituita e che pertanto in
relazione a tale condotta era intervenuta la condanna dell’imputato per il reato di
bancarotta fraudolenta documentale. Conclusione ribadita dai giudici d’appello con
motivazione congrua e coerente al compendio probatorio di riferimento, atteso che
(per come esaurientemente illustrato nel provvedimento impugnato) non solo il
curatore non ha rinvenuto alcuna documentazione, ma altresì lo studio professionale
indicato dallo stesso imputato come il presunto detentore dei libri contabili ha invece
negato di aver mai intrattenuto rapporti professionali con la fallita (circostanza questa
non contestata dal ricorrente).
2.2 Ribadito che per il consolidato insegnamento di questa Corte l’ipotesi di omessa
tenuta dei libri contabili deve essere ricondotta nell’alveo di tipicità dell’art. 216
comma 1 n.2 legge fall., atteso che la norma incriminatrice, punendo la tenuta della
contabilità in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello
stato patrimoniale e del volume d’affari dell’imprenditore, a “fortiori” ha inteso punire
anche colui che non ha istituito la suddetta contabilità, anche solo per una parte solo
della vita dell’impresa (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, De Mitri e altri, Rv.
252992), deve ritenersi che alla luce di quanto in precedenza illustrato le doglianze
avanzate con il ricorso risultino manifestamente inconferenti. Infatti, il ricorrente
afferma innanzi tutto che il Cantilena non poteva aver sottratto ciò che non aveva mai
detenuto, non rendendosi per l’appunto conto che altro è il fatto accertato nel giudizio
di merito, finendo quindi per configurare in maniera del tutto aspecifica il motivo di
ricorso.
2.3 Quanto poi all’obiezione per cui l’imputato si sarebbe sostanzialmente comportato
con mera negligenza, questo risulta incompatibile con quanto accertato, atteso che,
come ricordato, nessun consulente esterno ha mai curato la contabilità della fallita e
che tale circostanza non poteva non essere nota al Cantilena, atteso che (per come

l’ingente entità delle stesse ed il fatto che la Corte territoriale ha altresì ricordato come

emerge tanto dalla sentenza, quanto dallo stesso ricorso) egli ha compiuto atti di
gestione (acquisti di merce per circa dieci milioni di lire, oltre alla cessione
dell’azienda) che avrebbe dovuto annotare nei libri contabili, il che ovviamente non
sarebbe stato possibile non essendo stati gli stessi istituiti, né l’imputato del resto ha
mai sostenuto di avervi provveduto. Del resto la fragilità della linea difensiva eletta
emerge con estrema chiarezza proprio con riguardo a tale ultima circostanza. Infatti
delle due l’una, o il Cantilena ha cercato effettivamente di assolvere i suoi obblighi di

reso conto dell’inesistenza dei libri contabili; o invece ha deliberatamente omesso di
effettuare le registrazioni dovute al fine occultare ai creditori gli atti di gestione posti
in essere, ma in tal caso se la contabilità fosse esistita questa in ogni caso sarebbe
risultata gravemente lacunosa impedendo la ricostruzione del volume d’affari della
fallita, rendendo comunque superfluo accertare se e chi l’abbia eventualmente
sottratta.

3. Il quarto motivo di ricorso, relativo all’altra distrazione contestata all’imputato in
relazione alla cessione dell’azienda, è invece inammissibile. Il ricorrente contesta che
la Corte territoriale avrebbe ritenuto la responsabilità del Cantilena per tale episodio
ancorchè non fosse stata acquisita evidenza dell’effettivo pagamento oggetto della
presunta distrazione. Ma la doglianza si rivela aspecifica, giacchè nel ribadire
pedissequamente le censure avanzate con i motivi d’appello, egli non tiene conto di
quanto effettivamente rilevato in proposito dalla sentenza. Infatti i giudici d’appello
hanno evidenziato come la curatrice fallimentare abbia affermato non esservi prova
alcuna del versamento del prezzo della cessione nella casse della fallita (giacchè
questo e non altro è il significato del brano della sua deposizione evidenziato nel
ricorso), ma altre& come dalle dichiarazioni rese alla medesima dall’imputato nel corso
della procedura concorsuale risulti che egli avrebbe effettivamente ricevuto in
pagamento degli assegni, asseritamente rimasti insoluti. Affermazione quest’ultima
che in maniera tutt’altro che illogica gli stessi giudici hanno ritenuto non credibile in
conseguenza del fatto che il Cantilena non ha cercato di costringere il suo “debitore”
ad adempiere procedendo per vie legali nonostante la rilevanza della somma dovuta.
La sentenza inoltre sottolinea che anche qualora dovesse credersi all’imputato, allo
stesso sarebbe contestabile la condotta di dissipazione, per aver ceduto il più rilevante
cespite della società senza corrispettivo, per di più a fronte del già conciamato dissesto
della medesima. Conclusione questa che appare ancora una volta coerente, nonché
conforme al carattere alternativo delle condotte descritte nel primo comma dell’art.
216 legge fall. ed alla quale il ricorrente replica eccependo in maniera del tutto
generica l’eventuale difetto della prova del dolo del reato, che in realtà, essendo

registrazione, ma allora rivolgendosi allo studio professionale menzionato si sarebbe

generico, si esaurirebbe nella mera volontarietà della cessione dell’azienda in assenza
di corrispettivo.
4. Inammissibile è infine anche il quinto motivo di ricorso, ribadito con i motivi nuovi.
La Corte territoriale ha reso esauriente motivazione sul diniego dell’attenuante di cui
all’art. 114 c.p.p., cui il ricorrente si è limitato ad opporre nuovamente la tesi
dell’estraneità dell’imputato ai fatti distrattivi contestati. E considerazioni analoghe
dell’ulteriore attenuante di cui all’ultimo comma dell’art. 219 legge fai!., che invero si
rivelano ancor più generiche, esaurendosi sostanzialmente nell’affermazione
dell’ineluttabilità del riconoscimento della stessa.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17/4/20

devono essere svolte con riguardo alle lamentele relative alla mancata concessione

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