Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22891 del 16/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 22891 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Filice Loredana, nata a Cosenza, il 26/6/1964;

avverso la sentenza del 28/5/2012 del Giudice di Pace di Cosenza;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Vito
D’Ambrosio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 28 maggio 2012 il Giudice di Pace di Cosenza condannava alla
pena di giustizia Filice Loredana per il reato di ingiuria ai danni di Buono Fabio, previa
esclusione dell’aggravante originariamente contestata di cui all’art. 61 n. 10 c.p.

Data Udienza: 16/04/2013

2. Avverso la sentenza ricorre l’imputata a mezzo del proprio difensore, deducendo
carenze motivazionali del provvedimento impugnato in merito alla ritenuta
insussistenza dell’esimente della provocazione, atteso che la stessa persona offesa nel
corso della sua deposizione aveva riferito come la Filice l’aveva ingiuriato nella falsa
convinzione che il Buono avesse fatto delle avances alla figlia.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Sostanzialmente il ricorrente denuncia il travisamento per omessa considerazione di
una prova, vizio deducibile solo qualora la prova ignorata venga esaustivamente
indicata in ricorso, il che, qualora si tratti di prova dichiarativa, si traduce nell’onere di
riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi – come invece avvenuto nel
caso di specie – ad estrapolarne alcuni brani, giacche così facendo viene impedito al
giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il significato probatorio delle
dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio medesimo (Sez. 4 n.
37982 del 26 giugno 2008, Buzi, rv 241023; Sez. F., n. 32362 del 19 agosto 2010,
Scuto ed altri, Rv. 248141).
Ciò detto deve rilevarsi come in ogni caso il ricorso risulterebbe generico, atteso che la
circostanza prospettata come fondante l’applicabilità dell’esimente (e cioè che la figlia
dell’imputata fosse minorenne) non risulta in alcun modo dalla sentenza ed è solo
affermata dalla ricorrente, che non ha nemmeno saputo indicare la fonte attraverso
cui tale informazione sarebbe stata introdotta nel processo.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
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Dichiara inammissibilK – condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e

della somma di euro 1.000 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso il 16/4/2013

Il ricorso è inammissibile.

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