Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22852 del 12/04/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22852 Anno 2016
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: CALVANESE ERSILIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MARGJONAJ ARTU N. IL 28/02/1986
avverso la sentenza n. 1198/2011 CORTE APPELLO di PERUGIA, del
16/09/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ERSILIA CALVANESE;

Data Udienza: 12/04/2016

1. Artu MargjOnaj propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 16
settembre 2014 con la quale la Corte di appello di Perugia confermava
parzialmente le statuizioni penali emesse nei suoi confronti per il reato di cui
all’art. 73, comma 5, T.U. stup. (detenzione a fine di spaccio di cocaina).
In particolare il Giudice dell’appello rivedeva la pena alla luce del più
favorevole trattamento sanzionatorio previsto dalle novelle normative per il reato
di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup.
Nel ricorso si deducono vizi di violazione di legge e di motivazione in

destinazione della droga allo spaccio e alla determinazione del trattamento
sanzionatorio (avendo violato il giudice il divieto di reformatio in peius).

2.

Il ricorso è inammissibile per genericità e comunque manifesta

infondatezza delle censure proposte.
Il ricorso, quanto al primo motivo, non si confronta infatti con le ragioni
esposte nella motivazione del provvedimento impugnato, che davano atto che la
prova della destinazione allo spaccio era stata tratta non solo dalla presenza del
bilancino di precisone, ma da tipici strumentari per la cessione della cocaina
(busta di pezzi di cellophane tagliati in forme circolari) e dalla circostanza che
l’imputato disoccupato ed invalido non avrebbe potuto sostenere per mero uso
personale l’acquisto di 54 dosi — a suo dire — per la cifra di mille euro.
In ordine al secondo motivo, va ribadito che il giudice d’appello non è tenuto
a diminuire la pena irrogata con sentenza emessa prima di una modifica
normativa che riduce la sanzione edittale minima del reato per cui si procede se
il giudice di primo grado abbia inflitto una pena superiore a quella minima
prevista dalla disciplina in quel momento vigente, sempre che la sentenza di
secondo grado ritenga, con congrua motivazione, che tale sanzione è adeguata
alla gravità del fatto (Sez. 6, n. 45896 del 16/10/2013, Foddi, Rv. 258161)
Nella specie, la sentenza impugnata ha adeguatamente motivato sul punto,
divenendo pertanto incensurabile in questa sede.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed
al pagamento a favore della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di
esonero, della somma ritenuta equa di euro 1.000 a titolo di sanzione pecuniaria.

relazione alla ritenuta responsabilità dell’imputato, in ordine alla ritenuta

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000 (mille) in favore delle cassa delle
ammende.

Così deciso i142/04/2016.

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