Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22827 del 26/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22827 Anno 2016
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ramirez Melendez Fernsterbein Fernando, nato a San Andres (Colombia)
1’11/10/1986
avverso la sentenza n. 5/2016 pronunciata dalla Corte di appello di Trieste
3/3/2016;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Mogini;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Maria Francesca Loy, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Marco Fattori, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Ramirez Melendez Fernsterbein Fernando ricorre per mezzo del proprio
difensore avverso la sentenza in epigrafe, con la quale la Corte d’Appello di
Trieste ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per l’estradizione del
ricorrente verso la Colombia. La richiesta di estradizione è stata formulata sulla
base di misura cautelare (mandato n. 1131 emesso dal Tribunale di Bogotà il

Data Udienza: 26/04/2016

24.9.2015) per i reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di
stupefacenti, tentato omicidio e detenzione di armi da sparo.

2. Il ricorrente censura la sentenza impugnata lamentando:
a) Violazione dell’art. 698, primo comma, cod. proc. pen. e vizi di motivazione in
relazione alla circostanza che il ricorrente, oggetto di minacce di morte, sarebbe

dell’impossibilità delle autorità colombiane di garantire l’incolumità del detenuto
all’interno degli istituti di pena nazionali e delle condizioni di tali istituti quali
risultano da rapporti elaborati da organizzazioni non governative.
b) Violazione dell’art. 698, primo comma, cod. proc. pen. e vizi di motivazione
in relazione alla mancata acquisizione di adeguate garanzie da parte dello Stato
richiedente circa la sottoposizione del ricorrente ad un trattamento diverso da
quello previsto nell’ordinario circuito penitenziario, tale da escludere
radicalmente la possibilità di assoggettamento a maltrattamenti di qualsiasi
natura.
c) Violazione dell’art. 698, primo comma, cod. proc. pen. e vizi di motivazione in
relazione alla possibilità che al ricorrente sia irrogata una pena detentiva a vita
in assenza di meccanismi che consentano di pervenire, in sede giudiziaria o
amministrativa, alla liberazione anticipata o alla commutazione della pena,
ovvero alla possibilità che allo stesso ricorrente venga inflitta la pena dei lavori
forzati.
d) violazione di legge e omessa o illogica motivazione in ordine alla mancata
verifica dell’esistenza nell’ordinamento giuridico colombiano di meccanismi che
permettano la detrazione dalla pena da eseguirsi del periodo di custodia
cautelare sofferto a fini estradizionali.
e) Contraddittorietà degli esiti delle indagini poste a fondamento della richiesta di
estradizione con riferimento all’erronea interpretazione del documento, prodotto
dalla difesa, recante ritrattazione del teste Alfonso Figueroa Chaparro.
All’odierna udienza il difensore del ricorrente ha depositato copia dell’atto di
impugnazione del provvedimento amministrativo con il quale al medesimo
ricorrente è stato rifiutato il riconoscimento dello status di rifugiato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.

2

senz’altro soggetto a ritorsioni fatali al suo rientro in Colombia, tenuto conto

1.1. Privi di pregio sono i primi due motivi di ricorso. Il Collegio sottolinea al
riguardo che non possono essere considerati ostativi alla estradizione passiva gli
atti di ritorsione o di vendetta suscettibili di essere compiuti a titolo puramente
personale, in danno dell’estradando, (C. VI, n. 1625/96), ovvero gli atti di
violenza ad opera di persone estranee agli apparati istituzionali, agenti di propria
iniziativa (C. VI, n. 9082/10; C. VI, n. 10106/06).

elementi e delle circostanze idonei a fondare il timore che l’estradizione preluda
alla sua sottoposizione nello Stato richiedente a un trattamento incompatibile col
rispetto dei diritti fondamentali della persona (ex multis, da ultimo, Sez. VI, n.
10965/15; C. VI, n. 38850/08; C. VI, n. 35896/04). Tale onere non è stato
adempiuto dal ricorrente in relazione agli specifici elementi di rischio da lui
segnalati, non emergendo dagli scritti difensivi le condizioni oggettive che
dovrebbero impedire alle autorità colombiane di assicurare l’incolumità del
ricorrente rispetto alle affermate esigenze di tutela da ritorsioni di persone
estranee agli apparati istituzionali.
Inoltre, deve essere esclusa la possibilità di riferire le generali condizioni
carcerarie riservate ai detenuti negli istituti di pena colombiani ad una scelta
normativa o di fatto dello Stato richiedente, la quale ricorre quando queste si
limitano ad assumere l’impegno di intraprendere le dovute iniziative per
assicurare ai detenuti le condizioni necessarie a salvaguardare le minime
esigenze di rispetto della dignità umana, senza però approntare in concreto
misure idonee, nonostante l’ufficiale conoscenza dello stato di degrado in cui
versano le strutture carcerarie del Paese (Sez. 6, n. 46212 del 15.10.2013, Rv.
258082). Risulta infatti dal recente Rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati
Uniti d’America sulle Pratiche in materia di diritti umani in Colombia nel 2014 che
la situazione di sovraffollamento e di carenti condizioni igieniche riscontrabile
nelle carceri colombiane è in costante miglioramento per l’impegno delle autorità
colombiane. Inoltre lo stato delle carceri è sottoposto a monitoraggio
indipendente e i detenuti hanno libero e costante accesso all’autorità giudiziaria,
alla quale possono presentare agevolmente denunce, e possono essere assistiti a
loro richiesta dall’Ombudsman e da associazioni non governative. Il sistema di
registrazione elettronica dei detenuti è regolarmente aggiornato e i detenuti
possono ricevere visite da familiari e conoscenti. Il sistema carcerario
colombiano non appare dunque affetto da disfunzioni tali da far ritenere il
fondato rischio che il ricorrente verrà sottoposto, ove estradato, a trattamenti
inumani o degradanti o ad atti che configurano violazione di uno dei diritti
fondamentali della persona (Sez. 6, n. 43957 del 18.9.2015, Ramirez

Incombe peraltro sull’estradando un preciso onere di allegazione degli

Echeverry). Sicché va esclusa la necessità di acquisire dalle autorità colombiane
specifiche assicurazioni circa la sottoposizione del ricorrente ad un trattamento
diverso da quello previsto nell’ordinario circuito penitenziario.

1.2. Del tutto aspecifici sono il terzo e il quarto motivo di ricorso. Essi si
sostanziano in mere ipotesi astratte, non ancorate ad alcun dato suscettibile di

all’autorità giudiziaria. Il Collegio osserva in particolare che la domanda
colombiana riguarda un’estradizione processuale e che, ai sensi dell’art. 708 cod.
proc. pen., l’eventuale decreto ministeriale di estradizione conterrà precise
indicazioni circa le limitazioni alla libertà personale subite dall’estradando ai fini
dell’estradizione, anche in vista della detraibilità del “presofferto” cautelare dalla
futura ed eventuale pena detentiva da eseguire.
Del resto, e ciò vale per tutti i motivi di ricorso fin qui presi in esame, appare
ulteriormente significativo, nel senso di escludere il rischio di violazione dei diritti
fondamentali del ricorrente in caso di sua consegna alle autorità colombiane, il
provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della
protezione internazionale di Gorizia in data 2.3.2016, al quale, seppure ancora
non definitivo per effetto dell’impugnazione proposta dal ricorrente, la sentenza
impugnata fa espresso riferimento.

1.3. Infondato è infine l’ultimo motivo di ricorso. La Corte territoriale ha
infatti chiaramente indicato che alla domanda di estradizione in esame risultano
applicabili le Convenzioni ONU contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti e
psicotrope adottata a Vienna nel 1988 e contro la criminalità organizzata
transnazionale adottata nel 2000, entrambe ratificate da Italia e Colombia. La
Corte territoriale ha del resto correttamente proceduto alla delibazione prevista
dall’art. 705 cod. proc. pen., ed ha concluso nel senso della concreta idoneità
della documentazione trasmessa ad evocare, nella prospettiva del sistema
processuale dello Stato richiedente, l’esistenza di elementi a carico
dell’estradando

(ex multis,

da ultimo, C. VI, n. 9758/14), non potendo

riconoscersi allo scritto in quella sede depositato dal ricorrente rilevanza
manifesta ed incontrovertibile della sua innocenza (C. IV, n. 16287/11).

Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

4

renderle appena plausibili e di imporre uno specifico obbligo di verifica in capo

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. c.p.p.

Così deciso il 26/4/2016.

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