Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22823 del 16/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22823 Anno 2014
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CASAVECCHI ERICA N. IL 16/09/1989
avverso la sentenza n. 329/2009 TRIBUNALE di GROSSETO, del
22/03/2010
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 16/01/2014

Ritenuto in fatto
1.Con sentenza resa il 22 marzo 2010 il Tribunale di Grosseto, unificati i reati
nel vincolo della continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche,
condannava l’imputata Erica Casavecchi alla pena di euro 350,00 di ammenda, al
pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni in favore della parte
civile costituita, in quanto ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 660 cod.

per altro biasimevole motivo arrecava molestie a Daniela Felici, aspettandola nel
luogo di esercizio dell’attività lavorativa, seguendola e chiedendole insistentemente
di parlare con lei.
1.1 La sentenza fondava il giudizio di reità su quanto riferito dai testi escussi
al dibattimento, dai quali elementi aveva ricavato la prova del fatto che l’imputata
aveva in più occasioni atteso, seguito e richiesto insistentemente di poter parlare
con la Felici nel periodo successivo all’allontanamento di costei dalla palestra,
gestita dal padre della Casavecchi, e dal gruppo che l’aveva frequentata, per
chiederle notizie su chi stesse diffamando i di lei genitori, tanto da aver costretto la
parte lesa a chiedere l’intervento delle forze dell’ordine I’ll settembre 2008 e da
aver determinato uno stato di nervosismo e di tensione nella parte lesa, di cui i
colleghi erano stati testimoni.
2. Avverso detta sentenza ha proposto appello, in seguito qualificato come
ricorso per cassazione, l’imputata personalmente, la quale si duole di:
a) violazione di legge in relazione al disposto dell’art. 660 cod. pen., in quanto il
Tribunale aveva ravvisato la sussistenza del reato di molestie nonostante l’assenza
del dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice e di gratuità nella condotta
tenuta dall’imputata nel corso dell’incontro del tutto fortuito dell’Il settembre
2008. La stessa era stata determinata dall’esigenza di comprendere come il
contenuto della cartella clinica riguardante un ricovero della madre fosse stato
divulgato a terzi, senza che dall’istruttoria fosse emersa la prova di ripetute e gravi
interferenze nella vita privata della parte lesa in modo da condizionarne le abitudini
e la sfera psichica. Inoltre, dall’istruttoria era emerso che non si era verificato alcun
appostamento per incontrare la Felici nel corso del primo episodio, esauritosi in
pochi minuti, mentre quello successivo non era accaduto secondo quanto
denunciato, dal momento che i testi a discarico avevano confermato la permanenza
a casa dell’imputata senza esserne mai uscita dal 27 al 29 settembre 2008, siccome
impegnata ad assistere la madre, reduce da esame endoscopico. Inoltre, l’asserito
più ampio contesto di pedinamenti e pressanti richieste di spiegazioni rivolte
dall’imputata alla parte lesa non aveva trovato riscontro nelle testimonianze
assunte e la svalutazione delle deposizioni dei testi Rossi e Calvani era erronea e
1

pen., commesso in Grosseto 1’11 ed il 28 settembre 2008, perché per petulanza o

frutto del condizionamento operato sul Tribunale dalla parte civile, dal momento
che il primo giudice non aveva tenuto conto del fatto che la Rossi frequentava
l’Ospedale della Misericordia di Grosseto, quindi conosceva il teste Ciardi ed era
stata in grado di riferire che costui non era il soggetto presente con la Felici la sera
dell’Il settembre e che il Calvani non poteva ritenersi insincero per avere
spontaneamente affermato che l’accompagnatore della Felici era privo di barba e
baffi.
b) Vizio di motivazione per avere il Tribunale ritenuto non credibile la versione dei

avere acquisito riscontri circa la sussistenza del reato contestato, in quanto la Rossi
ed il Calvani non avevano alcun interesse a disconoscere il Ciardi quale soggetto
presente all’incontro dell’Il settembre, perché a loro volta erano testi oculari
dell’episodio, la cui verificazione non avevano negato, ma descritto in modo
concorde senza che fosse emersa la loro falsità; inoltre, era erronea anche la
valutazione degli stessi testi a discarico in ordine al secondo episodio, supportato
anche dal teste Magni, mentre i testi della parte civile avevano reso una versione
dei fatti lacunosa e contraddittoria circa le date degli episodi riferiti ed erano stati
frettolosamente ritenuti credibili.
c) Insufficiente motivazione sul fatto della grave inimicizia esistente tra la parte
civile ed i genitori dell’imputata, dal che era derivato anche l’interesse della prima
all’esito del giudizio, mentre i testi della Felici erano tutti a lei legati da rapporti di
amicizia e colleganza e non erano convergenti, il che ne aveva compromesso
l’attendibilità.
d) Insufficiente motivazione in ordine alla quantificazione della pena inflitta, pari
quasi al massimo edittale e comunque eccessiva per la modestia dei fatti.
e) Insufficiente motivazione in ordine alla liquidazione del danno in favore della
parte civile, operata in entità eccessiva rispetto alla pochezza dell’episodio
dell’i 1/9/2008.
f) Insufficiente motivazione circa la liquidazione delle spese processuali sostenute
dalla parte civile, in assenza di una distinzione tra diritti ed onorari e della
specificazione dei criteri di commisurazione.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile in ogni sua deduzione, in quanto fondata su
motivi la cui formulazione non è consentita nel giudizio di legittimità, rispondendo
al contenuto di un atto di appello, come del resto in origine denominato il gravame,
piu’ che al ricorso per cassazione.

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fatti resa dall’imputata, nonostante fosse stata confermata da testimoni e per non

1.In primo luogo va escluso che la decisione impugnata sia affetta da
violazione di legge in relazione al disposto dell’art. 660 cod. pen., in quanto il
Tribunale ha ricostruito la fattispecie illecita denunciata da Daniela Felici sulla scorta
di dati probatori di chiara valenza dimostrativa, compiutamente e logicamente
esposti nella sentenza e valutati con ampia motivazione, che risulta immune da
qualsiasi vizio e tanto meno dal denunciato condizionamento subito dal giudice di
merito da parte della denunciante.
1.1 In particolare, il Tribunale ha esaminato la deposizione della Felici, la

palestra di arti marziali gestita dal padre dell’imputata ed i personaggi attorno alla
stessa gravitanti, perché professanti credenze esoteriche, alle quali la stessa non
era interessata, aveva subito l’atteggiamento petulante ed insistente della
Casavecchi e dei suoi genitori. L’imputata aveva, infatti, iniziato a pedinarla, ad
attenderla anche in luoghi pubblici nei pressi dell’ospedale ove lavorava come
infermiera professionale ed a cercare di parlarle, nonostante ella non avesse avuto
alcuna intenzione di incontrarla, dialogare o chiarire alcunchè con la stessa ed
avesse manifestato apertamente tali posizioni. In tale contesto ha descritto i due
specifici episodi accaduti 1’11 ed il 28 settembre 2008. Nel primo, verificatosi verso
le ore 21.00 presso il parcheggio dell’ospedale al momento in cui la parte civile
stava recandosi a casa a conclusione del turno di lavoro, la Casavecchi aveva
cercato con insistenza di parlarle “con un fare quasi inferocito” e, nonostante gli
inviti reiterati ad andarsene per la volontà della Felici di non parlarle e di non
chiarire alcunchè, la giovane aveva protratto il suo comportamento, l’aveva presa
per un braccio per trattenerla ed aveva ribadito di volerle parlarle, tanto che la
parte lesa era stata costretta a chiedere l’intervento delle forze dell’ordine per
telefono e, quando dal posto di polizia del nosocomio le era stato risposto che il
personale non poteva abbandonare il presidio, la Felici si era recata dagli agenti,
seguita dall’imputata. A quel punto costei era stata interrogata informalmente sulle
ragioni di tale comportamento ed agli agenti aveva replicato la sua ferma
intenzione di conoscere i motivi per i quali erano state sparse voci diffamatorie in
danno dei suoi genitori, pur avendo aggiunto che tali notizie non erano riconducibili
alla Felici, al che i polizziotti l’avevano sollecitata a chiedere eventualmente
chiarimenti ai responsabili di tali dicerie.
Il secondo episodio si era verificato il 28 settembre sempre in orario serale
quando la Felici si stava recando al lavoro per il turno serale ed aveva nuovamente
incontrato la Casavecchi, la quale le aveva consegnato un cd. perché lo visionasse;
alla reazione della parte civile che, esasperata, le aveva ingiunto di andare via e di
lasciarla in pace, la giovane le aveva scagliato il disco contro la schiena, quindi la

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quale aveva riferito che, dopo aver assunto la decisione di non frequentare più la

Felici l’aveva raccolto e lo aveva deposto all’interno del furgoncino bianco del
fidanzato dell’imputata, anch’egli presente.
1.2 n Tribunale, dopo aver ritenuto del tutto credibile già in sé considerata la
versione dei fatti descritta dalla parte lesa, ha rilevato l’acquisizione di plurimi
elementi di riscontro che ne avvalorano la genuinità. Ha evidenziato che la stessa
imputata in sede di spontanee dichiarazioni aveva ammesso i pregressi rapporti con
la Felici, ritenuta un modello da imitare anche sotto il profilo professionale, dalla
quale però si era sentita tradita per la decisione di allontanarsi da lei; ha quindi

parte lesa, compatibile con l’atteggiamento di insistenza e petulanza da questa
descritto. ;
Inoltre, per l’episodio dell’Il settembre ha valorizzato quanto riferito al
dibattimento dal teste Ciardi, collega di lavoro della Felici, trovatosi con lei ad uscire
dall’ospedale e ad assistere alla scena con l’imputata, la quale aveva insistito
caparbiamente nel voler parlare con la Felici e l’aveva seguita a piedi per un certo
tratto, nonostante la parte lesa le avesse detto chiaramente di non volerle parlare,
tanto da aver indotto il teste a chiederle se si sentisse sicura nonostante la zona
buia ed isolata, al che la collega gli aveva manifestato l’intenzione di chiamare i
carabinieri per far desistere la Casavecchi dal suo atteggiamento.
In merito al secondo episodio, la sentenza ha richiamato le deposizioni dei
colleghi di lavoro della parte civile, tali Svetoni, Teneri, Simi e Francolangi, i quali
avevano confermato di aver visto una sera a fine settembre all’inizio del turno la
Felici turbata ed in lacrime e di aver appreso da costei dell’incontro avvenuto poco
prima con l’imputata. Ha concluso per l’effettiva verificazione dei due fatti illeciti e
per la loro sufficienza ad integrare il reato di molestie contestato per aver agito
l’imputata a seguito di appostamenti in modo insistito, fastidioso ed incurante della
contraria volontà e delle proteste della vittima al fine di attuare il proposito di
avvicinarla e di parlarle, sino ad aver cercato di trattenerla fisicamente in un caso e
senza nemmeno desistere di fronte al personale di polizia e nell’altro sino a
scagliarle contro il cd predisposto perché la Felici lo ascoltasse. Ha quindi ritenuto
che in tali comportamenti fossero distinguibili i caratteri dell’azione molesta
consapevole, sostenuta dalla coscienza e volontà della condotta, oggettivamente
idonea ad arrecare disturbo ad altri, a turbarne la quiete, la serenità e le abitudini
di vita senza un giustificato motivo.
1.3 Ha quindi offerto corretta applicazione del principio di diritto,
perfettamente adattabile al caso concreto, espresso dalla giurisprudenza di
legittimità, secondo il quale “Ai fini della configurabilità del reato di molestie,
previsto dall’art. 660 cod. pen., per petulanza si intende un atteggiamento di
arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di
4

rintracciato nelle sue affermazioni la prova di un attaccamento “morboso” verso la

libertà” (Cass. sez. 1, n. 6908 del 24/11/2011, Zigrino, rv. 252063; sez. 1, n.
17308 del 13/03/2008, P.G. in proc. Geni, rv. 239615; sez. 1, n. 19438 del
23/04/2007, Fontanive, rv. 236503), per la cui integrazione è richiesta qnfe
t2gv!ttiza=unMt la coscienza e volontà della condotta nella consapevolezza della/
sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possano
rilevare gli eventuali motivi o l’eventuale convinzione dell’agente di operare per un
fine non riprovevole o per il ritenuto conseguimento della soddisfazione di una
propria legittima pretesa (Cass. sez. 1, n. 4053 del 12/12/2003, Rota, rv. 226992;

1, n. 7051 del

30/04/1998, Morgillo, rv. 210724; sez. 1, n. 13555 del 26/11/1998, Faedda, rv.
212059). Restano dunque sul piano dell’irrilevanza le opinioni del tutto soggettive
espresse dalla Casavecchi e dalla di lei madre circa la fondata e ragionevole volontà
della prima di appurare circostanze sulla diffusione di notizie pregiudizievoli sul
conto della seconda e del marito.
1.4 Per contro, la ricorrente oppone argomentazioni in punto di fatto, che
prospettano una completa rivisitazione delle risultanze probatorie, in specie delle
deposizioni dei testi Rossi e Calvani, ed una loro valutazione alternativa rispetto a
quella operatane dalla decisione di merito, operazione non consentita nel giudizio di
legittimità a fronte di una giustificazione adeguata, logica ed affatto apodittica.
Invero, il Tribunale ha rilevato che la negazione della presenza del teste Ciardi con
la Felici la sera dell’Il settembre era priva di attendibilità, così come era smentita
dalla parte lesa la tesi dell’incontro casuale all’esterno dell’ospedale: non si vede,
infatti, per quale ragione un soggetto del tutto estraneo agli interessi sottesi al
processo quale il Ciardi avrebbe dovuto mentire nel sostenere di avere assistito ad
un episodio cui in realtà era stato assente, soprattutto quando sull’effettività
dell’incontro concordano anche i testi della difesa e non si nega che la Felici fosse
stata costretta a fronteggiare l’insistenza dell’imputata con la richiesta di intervento
delle forze dell’ordine. Per contro, non v’è chi non veda come siano la Rossi ed il
Calvani ad essere coinvolti nelle stesse vicende e ad avere interesse a scagionare
l’imputata, per essere a questa legati da vincoli parentali ed affettivi e per essere la
Rossi accomunata alla figlia nelle stesse ragioni di rancore contro la parte lesa,
perché direttamente coinvolta nelle presunte maldicenze in suo danno ed
interessata ai processi “che abbiamo in corso”, come dalla stessa ammesso. Tali
rilievi, la descrizione da parte della Rossi delle vicende relative alla divulgazione dei
dati relativi alla propria cartella clinica, l’insistita rivendicazione della lecita pretesa
di spiegazioni da parte della figlia nei riguardi della Felici, il disconoscimento del
Ciardi anche da parte del Calvani senza la manifestazione di alcun dubbio
nonostante la sua visione a distanza ed in orario notturno, sono stati considerati in
modo logico e pertinente elementi tali da smentirne l’attendibilità. Può soltanto

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sez. 1, n. 11855 del 06/10/1995, Li Rosi, rv. 203042; sez.

aggiungersi che se realmente la Casavecchi si fosse recata all’ospedale per ritirare
un farmaco antidiabetico e non per attendere la Felici con un appostamento mirato,
avrebbe potuto facilmente offrirne dimostrazione documentale, cosa non
verificatasi. Ed anche con riferimento al secondo episodio, le valutazioni del
Tribunale circa la falsità dell’alibi fornito all’imputata non sono suscettibili di alcuna
censura: si è rilevato, infatti, che le esigenze di assistenza continua alla Rossi tali
da imporre la costante ed ininterrotta permanenza in casa della Casavecchi e del
fidanzato, a parte l’inverosimiglianza in sè, tenuto conto della presenza nella stessa

smentire quanto riferito dalla Felici ed avvalorato indirettamente dagli altri testi
suoi colleghi di lavoro che ne avevano confermato il racconto. Del resto la denuncia
degli episodi è avvenuta appena due giorni dopo, il 30 settembre, quando il ricordo
era ancora ben nitido e tanto è stato ritenuto sufficiente ad escludere qualsiasi
possibilità di equivoco o di errore da parte della vittima; né il ricorso si è spinto sino
a sostenere che costei avesse mentito volutamente con chiari intenti calunniatori, il
che va escluso anche perché si era indotta a quell’iniziativa soltanto dopo i fatti
descritti senza che in precedenza avesse dimostrato la grave inimicizia dedotta col
ricorso.
1.5 Inoltre, l’allegazione delle contraddizioni e lacunosità nelle deposizioni dei
testi della parte civile non è stata adeguatamente riscontrata dalla citazione
integrale delle loro dichiarazioni, ma soltanto con la selezione di qualche breve
passo ripreso dall’ esame condotto dal difensore della parte civile, in ciò incorrendo
il ricorso nel difetto di autosufficienza.
2. In punto di determinazione della pena va ricordato che il Tribunale, in
ragione della giovane età e dell’incensuratezza dell’imputata ha ritenuto di dover
irrogare la sola pena pecuniaria, che ha graduato in ragione dei criteri di cui all’art.
133 cod. pen. e che ha ulteriormente ridotto per effetto del riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, applicando poi la non menzione della condanna.
Ciò prova che la punizione è stata contenuta e che si sono adottate tutte le possibili
statuizioni favorevoli all’imputata.
3. Anche in ordine alla liquidazione dei danni in favore della parte civile la
sentenza impugnata ha ritenuto che le condotte poste in essere avessero cagionato
alla Felice dei danni morali sotto forma di turbamento, ansia, inquietudine, sia per
la sensazione di essere osservata e seguita, sia per il timore di altre iniziative
lesive, sia per la sensazione che le azioni della Casavecchi fossero non avversate,
ma supportate dai di lei genitori e quindi non isolate, tanto da essere stata vista in
lacrime dalle colleghe di lavoro dopo il secondo episodio denunciato. E’ così
pervenuta a liquidare i danni in via equitativa nella somma di 1.000,00 euro,

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abitazione anche del convivente della Rossi, ossia il Magni, non sono idonee a

valutata all’attualità e già comprensiva degli interessi per il ritardo nel loro ristoro
con la chiara esposizione dei criteri di stima.
4. Infine, è privo di fondamento anche l’ultimo motivo col quale si deduce
l’immotivata liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile, dal momento che
non si afferma e dimostra che la somma a tal fine riconosciuta sia eccedente
rispetto alla “normazione di riferimento”, né si illustrano i profili di eccessività
rispetto all’attività svolta, doglianza espressa in modo totalmente generico, così
come si è concluso per la altrettanto generica diminuzione dell’importo riconosciuto.

256358, l’obbligo di motivare le statuizioni di liquidazione delle spese sostenute
dalla parte civile sussiste soltanto con riferimento all’adozione di decisioni che
presentino margini di opinabilità e siano frutto di scelte discrezionali, mentre se
riguardino spese effettivamente sostenute in relazione all’attività processuale
svolta, le giustificazioni dovrebbero soltanto darne atto, per cui la loro carenza non
dà luogo a vizio proponibile col ricorso per cassazione sotto il profilo della carente o
insufficiente motivazione.
Per le considerazioni esposte, il ricorso va dichiarato inammissibile con la
conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si
stima equo determinare in € 1.000,00.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2014.

Si ricorda che, come affermato da Cass. sez. 5, n. 31250 del 25/06/2013, Fede, rv.

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