Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22820 del 15/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22820 Anno 2016
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Esposito Luigi, nato a Marigliano il 14/04/1972

avverso l’ordinanza del 08/02/2016 del Tribunale di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Laura Scalia;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Luigi Birritteri, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;
udito il difensore, avv. Lucio Barbato, che ha concluso per
l’accoglimento dei motivi del ricorso.

Data Udienza: 15/04/2016

RITENUTO IN

FArrco

1.11 Tribunale di Napoli, con ordinanza in data 8 febbraio 2016,
ha rigettato l’appello proposto da Luigi Esposito avverso il
provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del 3 novembre
2015 applicativo, ai danni dell’indagato, della misura del divieto
temporaneo di esercizio dell’attività professionale di avvocato per la

aggravata dal metodo mafioso, in concorso con altri ed in forma
continuata, ascritto (artt. 81, commi primo e secondo, 110, 353 cod.
pen. e art. 7 I. n. 203 del 1991).

2. In tal modo il Tribunale ha ritenuto l’esistenza a carico
dell’indagato di gravi indizi di colpevolezza di una pluralità di episodi
diretti a turbare, anche con l’intimidazione di tipo mafioso, la gara
d’asta relativa all’immobile di tale Tommaso Rega e ad impedirne
l’aggiudicazione, per procedura espletata presso il Tribunale di Nola,
sezione fallimentare, a soggetti, tale Tommaso Nappo, estranei al
nucleo familiare ed amicale del debitore, nella consapevolezza
dell’indagato della gravità della condotta e della valenza criminale
degli episodi.

3. Il difensore di Luigi Esposito propone ricorso per cassazione
avverso l’indicata ordinanza e, espressamente richiamando i motivi
articolati avverso la diversa ordinanza modificativa

in peius

dell’iniziale misura interdittiva, medio tempore intervenuta su appello
del P.M., articola quattro motivi.
3.1.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia una erronea

interpretazione del compendio di prova in relazione alla ritenuta
aggravante del metodo mafioso (art. 606, comma 1, lett. b) cod.
proc. pen. in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e 7 I. n. 203 del
1991).
Il ricorrente deduce come il Tribunale abbia travisato la prova
ritenendo — di contro a quanto affermato in corso di indagini dallo
stesso offeso — che l’avvocato Esposito fosse presente quando i suoi

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durata di mesi sei, in relazione al contestato reato di turbativa d’asta

assistiti, poi coindagati, Rega e Falco, nei corridoi del Tribunale in cui
stava svolgendosi la procedura d’asta, raggiunsero con minaccia
mafiosa l’offeso, Massimo Nappo, partecipante alla gara, perché
questi desistesse.
L’indicato travisamento avrebbe poi condotto il Tribunale
dell’appello cautelare a valorizzare, a sostegno della ritenuta
aggravante, condotte neutre quali la frase pronunciata dall’Esposito

il Nappo, con cui il primo palesava la volontà di non potersi esporre
nella vicenda.
3.2.

Con il secondo motivo la difesa denuncia illogicità della

motivazione (art. 606, comma 1 , lett. e), cod. proc. pen.) nella parte
in cui l’impugnata ordinanza avrebbe apprezzato in capo all’indagato
la condivisione del metodo mafioso con gli altri indagati per avere il
primo richiesto l’intermediazione di un soggetto terzo, tale Giuseppe
Mocerino, estraneo ai circuiti camorristici, attribuendo alla frase
proferita dall’Esposito al Mocerino, «io non posso espormi», carattere
sintomatico di consapevolezza e condivisione del metodo mafioso,
pur nella equivocità dell’affermazione.
3.3.

Con il terzo motivo, la difesa fa valere mancanza di

motivazione in relazione ad elementi decisivi ai fini della ricostruzione
della vicenda.

Il

Tribunale non avrebbe tenuto conto dei verbali degli

interrogatori resi da Rega, Foria e Falco.
Da siffatti atti sarebbe emerso che i coindagati non avevano più
fiducia nell’avvocato Esposito, che assisteva il Rega nella procedura
d’incanto, manifestando dubbi sul fatto che lo stesso fosse colluso
con l’offeso, così rappresentando in quegli atti che la minaccia
mafiosa presso il Nappo fosse stata portata da Nicola Foria, per
salvaguardare gli interessi del Rega dalla condotta sleale e
fraudolenta dell’Esposito e, quindi, in danno ed all’insaputa
dell’indagato.
3.4.

Con il quarto motivo il ricorrente fa valere l’erronea

applicazione della legge penale (art. 606, comma 1, lett. b), cod.
proc. pen., in relazione all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen.).

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alla volta di un terzo soggetto, contattato perché intercedesse presso

Il Tribunale per giustificare la più afflittiva misura degli arresti
domiciliari avrebbe illegittimamente valorizzato, nel delineare i tratti
negativi della personalità dell’indagato, l’esistenza di un carico
pendente (per truffe ai danni di compagnie di assicurazione) senza
apprezzarne, in concreto, il presupposto comportamento, secondo il
portato di cui all’art. 274 lett. c) cit., e senza considerarne la diversa

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Per il primo motivo il ricorrente denuncia che i giudici del
riesame, fondando il proprio convincimento su una prova che non
esiste, o meglio su un risultato di prova incontestabilmente diverso
da quello reale, sarebbero incorsi, nel carattere dirimente ai fini della
decisione della prova stessa, in manifesta illogicità della motivazione
risultante dal testo del provvedimento impugnato nel confronto con
altro atto del processo specificamente indicato nel motivo di gravame
(Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
Il motivo è manifestamente infondato e come tale inammissibile.
Dell’indicata fattispecie, ritenuta dalla giurisprudenza di legittimità
come integrativa del vizio di motivazione, difetta infatti il carattere
‘decisivo’ della prova.
I giudici del riesame ricostruiscono i gravi indizi di colpevolezza
della contestata aggravante del metodo mafioso in capo all’indagato,
in ragione di un composito quadro indiziario in cui convergono con le
dichiarazioni dell’offeso, quelle del legale di questi, avvocato Carrella,
e di tale Mocerino Esposito, il tutto secondo un percorso
argomentativo diretto a dare evidenza ad una pluralità di episodi, nel
loro complesso significativi, nei termini di cui all’art. 273 cod. proc.
pen., dell’indicata condizione generale di applicabilità della misura.
La platea delle prove si apre infatti a segmenti temporali
precedenti e successivi all’incontro intervenuto il 29 maggio 2015 nei
locali del Tribunale ed alla dedotta presenza del legale alla minaccia.
Come la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, secondo definito
indirizzo interpretativo, il metodo mafioso comporta che l’agente

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natura rispetto al fatto contestato.

Nell’indicato compendio indiziario, il dedotto travisamento dovuto
all’apprezzata presenza, da parte del collegio del Riesame,
dell’avvocato Esposito allorché il proprio cliente ebbe a minacciare di
morte il Nappo nei corridoi del Tribunale civile non vale a tradursi in
una caduta logica della spesa motivazione, che risulterebbe in tal
modo privata della capacità stessa di sostenere le raggiunte
conclusioni, in punto di gravi indizi della contestata aggravante.

pluralità indiziaria attribuisce carattere di manifesta nfondatezza alla
portata critica neppure per il pure cennato, in ricorso, ulteriore profilo
della violazione di legge, in cui sarebbe incorso il Tribunale nel dare
contenuto al contestato metodo.

2. Il secondo motivo è anch’esso manifestamente infondato e
quindi inammissibile.
La critica spesa, diretta ad infirmare la valenza indiziarla
dell’episodio dell’intercessione sollecitata dall’Esposito al Mocerino
presso il Nappo non è concludente, non giungendo ad evidenziare,
per proposte alternative letture, del ragionamento osservato dal
Tribunale discontinuità logiche, integrative della sintomatica figura
della illogicità manifesta.
La volontà espressa in detto contesto dall’indagato di non «poter
esporsi» è stata infatti apprezzata dal Tribunale, per ragionamento
che non si presta a scrutinio di legittimità, come espressiva di cautele
da parte del legale e, con le prime, della consapevolezza del
medesimo del rilievo criminale rivestito nella complessiva vicenda da
tutti i protagonisti.
Il dedotto, dalla difesa, ruolo del terzo chiamato a far da
intermediario quale mero paciere risulta del tutto contraddetto dagli
esiti, come valorizzati in motivazione, di quel medesimo intervento,
significativamente tradottosi nel contatto tra il Nappo ed il Porla,
germano di un boss della camorra.

3. Il terzo motivo resta anch’esso inammissibilmente proposto,
risultando lo stesso sostenuto da una interpretazione dell’acquisito

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Piuttosto, la contraria conclusione sostenuta dalla segnalata

ponga in essere una condotta idonea ad esercitare una particolare
coartazione psicologica su una o più persone determinate,
apertamente violate nella loro libertà e tranquillità, con i caratteri
propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale della
specie considerata (Sez. 1, n. 1327 del 18/03/1994, Torcasio, Rv.
197430), evocativa della forza del vincolo associativo (Sez. 2, n.
16053 del 25/03/2015, Campanella, Rv. 263525).

articolato quadro di partecipazione dell’indagato al metodo ed al
programma camorristico.
In detto quadro rientrano quali significativi indici: l’insistenza
dimostrata dall’Esposito nel formulare nei locali del Tribunale una
pluralità di offerte di denaro al Nappo nel corso della mattinata del 29
maggio 2015, perché egli desistesse dal rilanciare nel corso
dell’incanto; 1″accerchiamento’, nell’indicato contesto, operato dal
professionista e dai suoi clienti, Rega e Falco, del Nappo, nella
mattinata del 29 maggio; l’attivazione dell’indagato presso terzi
affinché il Nappo abbandonasse la gara, riuscendo il primo
nell’intento attraverso l’opera spiegata dal Mocerino che, su
sollecitazione del legale, si presentò all’offeso con tale Nicola Foria il
quale, dichiaratosi fratello del boss di zona, Salvatore, ed effettivo
proprietario dell’immobile oggetto di procedura, rappresentò all’offeso
che voleva rientrare nel possesso dell’immobile e che «lo avrebbe
lasciato per terra», se non ci fossero state le telecamere.
Il distendersi dell’apprezzata condotta per una pluralità di
iniziative assunte in differenti contesti spazio-temporali, oltre
all’episodio svoltosi in Tribunale, denuncia, come ritenuto dal
Tribunale del Riesame, l’accompagnarsi alla osservata condotta della
consapevolezza dell’indagato di agire per l’indicata finalità.
L’utilizzo da parte dell’Esposito della frase, pronunciata nel corso
del sollecitato intervento del terzo, «io non posso espormi», non si
qualifica poi come modalità ‘neutra’, ma rinviene, nella più volte
citata cornice di definizione, un ben più peculiare significato che
risulta indagato in modo congruo e conducente dal Tribunale
dell’impugnata ordinanza.

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Sull’indicata premessa l’ordinanza impugnata compone un

dato indiziario non destinata a porsi, di nuovo, come ragionevole ed
alternativa lettura (così per la finalità della minaccia mafiosa diretta a
tutelare le ragioni del Rega e del Falco nei confronti dell’avvocato
Esposito ormai avvertito dai primi come infedele patrocinatore degli
interessi dei loro interessi) rispetto a quella fatta propria del
Tribunale che, all’esito, non viene quindi infirmata nelle raggiunte

4.11 quarto motivo è inammissibile per aspecificità.
Per lo stesso infatti la difesa conduce una contestazione parziale,
tutta incentrata sulla eccentricità, rispetto ai fatti contestati, della
pendenza, argomento non destinato, come tale, a travolgere la più
articolata motivazione offerta dall’impugnato provvedimento.
Secondo constante indirizzo della Corte, la mancanza di
specificità dei motivi non evoca soltanto le categoria dell’astrattezza e
della genericità, ma anche la mancata di correlazione tra le ragioni
della decisione e quelle di critica contenute in ricorso.
L’ignoranza delle motivazioni portate nell’impugnata decisione è
destinata infatti a tradursi in vizio di aspecificità e quindi di
inammissibilità della critica stessa, ai sensi dell’art. 591, comma 1,
lett. c) cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta;
Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Bricchetti; Sez. 2, n. 11951 del
29/01/2014, Lavorato).

5. Il ricorso è quindi, nel suo complesso, inammissibile.

6. All’indicata pronuncia si accompagna, per legge (art. 616 cod.
proc. pen.), la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che
si reputa equo stimare in euro 1.500,00, per i profili di colpa che si
apprezzano connotare l’assunta iniziativa processuale.

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conclusioni.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in
favore della Cassa delle ammende.

Il Consigliere estensore

Il Pr idente

Così deciso in Roma, il 15/04/2016

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