Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22816 del 10/03/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22816 Anno 2016
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
DI GIOVANNI Giuseppe, nato a Palermo il 04/01/1980
avverso l’ordinanza del 11/01/2016 emessa dal Tribunale di Palermo;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del componente Giorgio Fidelbo;
udito il Pubblico Ministero, nella persona dell’avvocato generale Agnello Rossi,
che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito l’avvocato Giovanni Castronovo, che ha insistito per l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Palermo, in funzione
di giudice del riesame, ha confermato il provvedimento del 19 dicembre 2015

Data Udienza: 10/03/2016

con cui il G.i.p. dello stesso Tribunale aveva applicato la misura della custodia
cautelare in carcere nei confronti di Giuseppe Di Giovanni in relazione alla
partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata “cosa nostra” (capo
a).

2. L’avvocato Giovanni Castronovo, nell’interesse dell’indagato, ha proposto

2.1. Con il primo motivo deduce la mancanza di motivazione in quanto
l’ordinanza avrebbe replicato il provvedimento del G.i.p. che a sua volta
avrebbe recepito acriticamente le richieste del pubblico ministero.
2.2. Con il secondo motivo lamenta il mancato esame delle doglianze
difensive fatte valere in sede di riesame e relative alla fatture emesse
dall’indagato nel suo esercizio commerciale.
2.3. Con il terzo motivo denuncia l’illogicità

della motivazione in

riferimento agli artt. 273 cod. proc. pen e 416-bis cod. pen. per la ritenuta
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e contesta la genericità del capo di
imputazione provvisorio che non indica le condotte concrete contestate al Di
Giovanni. Riguardo alle accuse dei due collaboratori evidenzia trattarsi di
dichiarazioni generiche rispetto alle quali il Tribunale non ha mai nemmeno
effettuato le verifiche chieste dalla difesa né valutato le obiezioni sollevate. Lo
stesso ruolo attribuito al Di Giovanni è stato ricavato non dall’esame dei suoi

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co m p o rtap ti concreti, ma dalla sua appartenenza ad una famiglia “con
precedenti penali”; nessun contributo effettivo alla vita dell’associazione
risulta essere stato attribuito all’indagato.
Sotto un differente profilo evidenzia l’inosservanza dell’art. 192 comma 3
cod. proc. pen. con riferimento alle dichiarazioni rese dai collaboranti.
2.4. Con il quarto motivo contesta la ritenuta aggravante dell’associazione
armata e quella del reimpiego di denaro.
2.5. Con il quinto e ultimo motivo censura la motivazione con cui sono
state confermate le esigenze cautelari, senza considerare gli elementi
favorevoli all’indagato.

3. Con i primi tre motivi viene dedotto il vizio di motivazione, sotto diversi
profili: i motivi sono comunque infondati.

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ricorso per cassazione.

3.1. Sul primo motivo si osserva che l’ordinanza, seppure richiama alcuni
passaggi del provvedimento del G.i.p., contiene una valutazione autonoma e
critica degli elementi indiziari acquisiti.
3.2. Il secondo motivo è del tutto generico, in quanto si limita a dedurre
l’omessa considerazione di elementi difensivi relativi ad alcune fatture che
sarebbero state emesse nello svolgimento dell’esercizio commerciale, ma non

giudizio del Tribunale sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico
dell’indagato.
3.3. In relazione al terzo motivo, si osserva che i giudici del riesame hanno
ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato sulla
base delle chiamate in correità dei collaboratori di giustizia Francesco
Chiarello e Danilo Gravagna dalle quali è emersa la sua partecipazione
all’associazione mafiosa nell’ambito della famiglia di Palermo Centro, in cui
sarebbe stato il braccio destro di Paolo Calcagno, cioè del capo mandamento
di Porta Nuova, gestendo anche le attività estorsive della zona e occupandosi
del mantenimento delle famiglie dei “carcerati”. Il Tribunale ha ritenuto che le
dichiarazioni dei due collaboratori, oltre che riscontrarsi reciprocamente,
abbiano ricevuto conferme ulteriori anche dai servizi di intercettazione, sicché
deve escludersi che non vi sia stata alcuna verifica sulle dichiarazioni dei
collaboratori.
Inoltre, la contestazione mossa al Di Giovanni con l’imputazione provvisoria
risulta specifica, comunque non generica come sostenuto nel ricorso, e
soprattutto l’ordinanza ha, puntualmente, indicato il ruolo che l’indagato ha
svolto all’interno dell’associazione: sulla base delle dichiarazioni di Gravagna i
giudici hanno sottolineato che Di Giovanni è stato il “braccio destro” di Paolo
Calcagno, responsabile “mafioso” del quartiere Capo, accusa questa
riscontrata dalle dichiarazioni di Francesco Chiarello.
3.4. In relazione al motivo con cui si contesta la sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma 4, cod. pen., si osserva che si
tratta di un’aggravante che è configurabile a carico di ogni partecipe che sia
consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa,
per l’accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della
stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso.
Nella specie, il Tribunale ha fatto riferimento all’episodio dell’omicidio di

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chiarisce il rilievo di tali elementi e, soprattutto, la loro idoneità ad intaccare il

Giuseppe Di Giacomo consumato con armi da fuoco, evidenziando l’oggettiva
disponibilità di armi dell’associazione e la piena consapevolezza di tale
disponibilità da parte dell’indagato, considerata la notorietà dell’omicidio e
delle sue modalità. Anche per l’altra aggravante contestata l’ordinanza ha
fornito una esauriente motivazione, evidenziando che Di Giovanni, assieme al
Calcagno, si è avvalso della forza di intimidazione mafiosa per acquisire il

attività con i proventi del delitto di cui all’art. 513-bis cod. pen.: la circostanza
che questo delitto sia stato contestato solo al Calcagno non fa venir meno la
sussistenza dell’aggravante, che peraltro ha natura oggettiva.
3.5. Infine, è infondato l’ultimo motivo, in quanto il Tribunale, dopo aver
premesso l’operatività della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod.
proc. pen., ha comunque valutato la sussistenza del pericolo di reiterazione,
ritenendolo esistente, quindi escludendo che le esigenze cautelari potessero
essere soddisfatte con altre misure.

4. All’infondatezza dei motivi proposti consegue il rigetto del ricorso, con
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 comma

1-ter

disp. att. cod. proc. pen.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1-ter
disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 10 marzo 2016

Il Consigl re estensore

e

monopolio nel campo del commercio del pesce surgelato, rifinanziando dette

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