Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22813 del 03/05/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 6 Num. 22813 Anno 2016
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: RICCIARELLI MASSIMO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
Majer Fabio, nato a Verona il 20/12/1965
Majer Suellen, nata a Trento il 12/08/1988

Avverso la sentenza del 10/07/2015 della Corte di appello di Genova

Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso,
Udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per il rigetto del ricorso
Udito il difensore, Avv. Francesco Moser, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10/7/2015 la Corte di appello di Genova, in riforma di
quella emessa dal Tribunale di La Spezia in data 8/7/2011, ha riconosciuto Majer
Fabio e Majer Suellen colpevoli del delitto di favoreggiamento loro ascritto, per
aver aiutato il congiunto latitante Colombo Cosimo a eludere le investigazioni
dell’autorità, ospitandolo in un camper e consentendo al Colombo di fare uso di

Data Udienza: 03/05/2016

carta d’identità rilasciata a Majer Fabio, su cui era stata apposta la fotografia del
predetto: la Corte in particolare, non applicando la recidiva contestata al Majer
Fabio, ha condannato costui alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione e
Majer Suellen alla pena di anni uno di reclusione.

2. Ha presentato ricorso il difensore dei due imputati.

motivazione agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in
relazione all’art. 378 cod. pen. e alla correttezza della contestazione formulata.
Il Colombo era stato arrestato all’interno del camper di proprietà di Majer
Suellen, in esecuzione di condanna definitiva: non era dunque ravvisabile l’aiuto
ad eludere le investigazioni, riferito ad attività volta a ricercare le prove, né
l’aiuto a sottrarsi alle ricerche, finalizzate all’arresto di soggetto non condannato
in via definitiva.
Peraltro la contestazione, contrariamente a quanto assunto dalla Corte
territoriale, non si sarebbe potuta reputare corretta, in quanto aveva formato
oggetto di essa il solo aiuto ad eludere le investigazioni dell’Autorità e non l’aiuto
a sottrarsi alle ricerche e in quanto comunque nel caso di specie si trattava di
latitante condannato in via definitiva, aiutato a sottrarsi alla cattura.
Vi era stato peraltro anche travisamento della prova in ordine all’elemento
della condanna definitiva, che avrebbe comportato la ravvisabilità semmai del
diverso reato di cui all’art. 390 cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge agli effetti dell’art.
606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art. 384 cod. proc. pen.
Era emerso che il latitante era zio di Majer Suellen e cognato di Majer Fabio,
fratello di Colombo Emma, moglie del ricercato.
In questo caso i due imputati erano dunque prossimi congiunti del Colombo
cosicché si sarebbe dovuta applicare la causa di non punibilità di cui all’art. 384
cod. pen., avendo i predetti agito in quanto costretti dalla necessità di salvare un
prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà.
La causa di non punibilità si sarebbe potuta rilevare nel giudizio in
cassazione anche d’ufficio.
2.3. Con il quarto motivo deduce violazione degli artt. 62 bis, 133, 163 e

164 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle
attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena e
in ordine alla quantificazione della pena, agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett.
b) ed e), cod. proc. pen.

2

2.1. Con il primo e con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di

La Corte territoriale, pur essendosi pronunciata a seguito di appello del
Procuratore Generale, avrebbe dovuto comunque motivare in ordine alla
mancata concessione delle attenuanti generiche e in ordine al beneficio della
sospensione condizionale, almeno in favore di Majer Suellen, incensurata.
Era inoltre censurabile la motivazione nella parte in cui con formula di stile
aveva fatto riferimento agli elementi dell’art. 133 cod. pen. e in particolare alle

dell’incensuratezza di Majer Suellen.
Il richiamo dell’art. 133 cod. pen. avrebbe dovuto essere fatto con specifico
riguardo ai rapporti tra reo e favoreggiato, alle condizioni di vita individuale,
familiare e sociale, ai precedenti penali e alla condotta contemporanea e
susseguente al reato, incongruamente e illogicamente non essendosi tenuto
conto del fatto che Majer Suellen aveva comunque presentato denuncia di
smarrimento dei documenti di circolazione del camper ostacolandone la
circolazione.
Non era stato inoltre specificato il motivo per cui la Corte si era discostata
nettamente dai minimi edittali.
2.4. Con il quinto motivo denuncia inosservanza di norme processuali a pena
di nullità agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione
agli artt. 521, 522 cod. proc. pen. e all’art. 6, par. 1, C.E.D.U.
Gli imputati hanno diritto ad essere informati anche in ordine alla
qualificazione del fatto: nel caso di specie l’accusa riguardava l’aiuto ad eludere
le investigazioni e non l’aiuto a sottrarsi alle ricerche.
Inoltre l’aiuto aveva riguardato soggetto colpito da condanna irrevocabile,
per cui il fatto sarebbe dovuto considerarsi ulteriormente diverso.
Si sarebbe dovuto dunque disporre l’annullamento della condanna con
restituzione degli atti al P.M., essendo semmai ravvisabile il reato di cui all’art.
390 cod. pen., diverso da quello di cui all’art. 378 come in concreto contestato in
relazione alla condotta, all’evento e all’elemento psicologico.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. E’ preliminare l’esame delle questioni che concernono la qualificazione del
fatto.
Non è tanto rilevante che nell’imputazione si faccia riferimento all’aiuto a
sottrarsi alle investigazioni piuttosto che alle ricerche, giacché la condotta è sotto
tale profilo nitidamente descritta attraverso la qualificazione di Colombo Cosimo

3

//f

modalità del fatto e alla biografia penale degli imputati, peraltro poi dando atto

come latitante e attraverso l’individuazione di forme di agevolazione della
latitanza.
E’ però pacifico, perché emerso dalle prove raccolte (in particolare dalle
dichiarazioni del teste Montoni) e perché già rilevato dal primo Giudice, che
Colombo Cosimo era latitante in relazione ad una condanna irrevocabile
pronunciata nei suoi confronti molti anni prima.

ai sensi dell’art. 378 cod. pen. è errata, essendo invece ravvisabile il diverso
reato di cui all’art. 390 cod. pen., in quanto gli imputati avevano semmai aiutato
il Colombo a sottrarsi all’esecuzione della pena.

2. Ma a questo punto deve porsi il problema delle conseguenze di tale
rilievo.
Sul piano strutturale la fattispecie di cui all’art. 390 cod. pen. differisce
proprio per il fatto che in essa assume un significato decisivo la pena da
eseguire, derivante da condanna irrevocabile.
Si tratta di elemento aggiuntivo che connota la fattispecie in termini di
maggior disvalore, tanto che la stessa è inserita nel capo secondo del titolo
terzo, tra i reati contro l’autorità delle decisioni giudiziarie, e per essa è prevista
una sanzione edittalmente più elevata rispetto a quella contemplata dall’art. 378
cod. pen.
In tale prospettiva il fatto accertato potrebbe prospettarsi come diverso da
quello più genericamente contestato.
Peraltro va rilevato che quel profilo di diversità era già emerso in primo
grado, anche se il Tribunale aveva poi assolto gli imputati.
Sta di fatto che la circostanza che il latitante fosse stato condannato con
sentenza definitiva costituiva un’acquisizione processuale consolidata, ben nota
anche agli imputati, tanto che il loro difensore anche in grado di appello aveva
prospettato la diversa qualificazione del fatto.
D’altro canto si trattava di profilo incontestato e incontestabile sul piano
probatorio, non implicante di per sé il ricorso a mezzi di prova contraria, peraltro
mai richiesti.
Va d’altro canto rilevato che la correlazione tra sentenza e contestazione
deve essere intesa in funzione dell’esercizio del diritto di difesa, in quanto sia
data la possibilità di difendersi attivamente anche attraverso la deduzione di
elementi di prova, e non in senso puramente meccanicistico, quale mero
confronto letterale di tipo formale (Cass. Sez. 6, n. 618 del 8/11/1995, dep. nel
1996, Pagnozzi, rv. 203371).
4

Ciò significa che la qualificazione del reato come favoreggiamento personale

Occorre dunque che l’imputato abbia avuto la possibilità di confrontarsi con
tutti gli elementi che connotano la fattispecie e ne consentono non
imprevedibilmente l’esatta qualificazione.
Nel caso di specie, la concreta dinamica processuale non consente sul punto
di nutrire dubbi circa l’effettività della contestazione del dato strutturale,
rappresentato dall’irrevocabilità della condanna pronunciata a carico del Colombo

Non viene dunque in rilievo tanto il problema della diversità del fatto quanto
piuttosto quello della sua esatta qualificazione.

3. A questo riguardo va rimarcato che spetta al giudice, secondo quanto
previsto dall’art. 521 cod. proc. pen., dare al fatto una definizione giuridica
diversa da quella contenuta nell’imputazione.
D’altro canto va rilevato come il principio sancito dall’art. 521 cod. proc.
pen. trovi riscontro in quello contenuto nell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen.,
alla cui stregua può darsi al fatto una diversa qualificazione giuridica, anche nel
caso di appello del solo imputato, fermo il divieto di reformatio in peius del
trattamento sanzionatorio.
In tale quadro può dirsi che il potere di riqualificazione sia immanente al
sistema processuale e riguardi anche la Corte di cassazione, rientrando anzi tra i
suoi compiti quello dell’esatto inquadramento giuridico della fattispecie (sul
punto si rinvia anche a Cass. Sez. 2, n. 3211 del 20/12/2013, dep. nel 2014,
Racic Cardazzi, rv. 258538, secondo cui rientra nei poteri di cognizione officiosa
della Corte di cassazione la corretta qualificazione giuridica anche nel caso di
ricorso proposto dal solo imputato).
Tale potere deve essere confrontato con gli arresti della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, che nella nota sentenza 11 dicembre 2007, Drassich contro
Italia, in un caso in cui in cui una diversa definizione giuridica in peius era stata
data dalla Corte di cassazione, ha affermato il principio secondo cui l’imputato ha
il diritto di essere informato preventivamente anche sulla qualificazione del fatto
e deve essere posto in condizione di interloquire anche in ordine ad essa.
Sul punto la Corte di cassazione ha avuto modo di affermare che la
qualificazione giuridica del fatto diversa da quella attribuita nel giudizio di merito,
riconducibile ad una funzione propria della Corte di cassazione, implica il rispetto
di una condizione imprescindibile, cioè la previa informazione di tale eventualità
all’imputato e al difensore (Cass. Sez. 6, n. 45807 del 12/11/2008, Drassich, rv.
241754).

5

Cosimo.

Analogo arresto è stato ribadito successivamente (Cass. Sez. 2, n. 37413
del 15/5/2013, Drassich, rv. 256653).
Nella medesima prospettiva, con riguardo al giudizio di appello, si è
specificamente affermato che l’attribuzione al fatto di una qualificazione giuridica
diversa, anche in assenza di richiesta del pubblico ministero, è legittima allorché
la stessa sia nota o comunque prevedibile per l’imputato e non sia tale da

mutamento possono scaturire (Cass. Sez. U. n. 31671 del 26/6/2015, Lucci, rv.
264438).
Nel caso di specie la circostanza che il dato strutturale decisivo facesse parte
del patrimonio conoscitivo delle parti e che anzi lo stesso difensore degli imputati
avesse prospettato la diversa qualificazione vale a sgomberare il campo da ogni
dubbio circa l’insussistenza dei limiti sopra indicati, dovendosi ritenere che gli
imputati avessero comunque interloquito sulla corretta qualificazione del fatto.

4. Va però rilevato che il potere di qualificazione, fermi i limiti rivenienti
dagli arresti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, non è comunque
incondizionato, giacché lo stesso art. 521 cod. proc. pen. richiede che il reato /
non ecceda la competenza del giudice né risulti attribuito alla cognizione del
tribunale in composizione collegiale anziché monocratica.
L’art. 521-bis cod. proc. pen., a sua volta prevede che se a seguito di una,
diversa qualificazione giuridica il reato risulta tra quelli attribuiti alla cognizione
del tribunale per cui è prevista l’udienza preliminare e questa non si è tenuta, il
giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero.
Ciò significa che la qualificazione è competenza del Giudice e che peraltro la
stessa è consentita entro determinati limiti, dovendosi altrimenti prendere atto
del regime applicabile in relazione al reato così come riqualificato.

5. Orbene, nel caso di specie è d’uopo rilevare che, qualificando la
fattispecie ai sensi dell’art. 390 cod. proc. pen., si giunge a ravvisare un reato
per il quale è prevista la pena edittale massima pari ad anni cinque, per il quale
sarebbe stata necessaria l’udienza preliminare, in concreto non tenuta, in quanto
non necessaria per il reato di cui all’art. 378 cod. pen. originariamente
contestato.
Va subito osservato che in tema di udienza preliminare l’art. 550, comma 3,
cod. proc. pen. prevede uno sbarramento, nel senso che nel caso di esercizio
dell’azione penale mediante citazione diretta per reato per il quale è prevista

6

determinare una lesione dei diritti di difesa derivante dai profili di novità che dal

l’udienza preliminare la relativa eccezione è proposta entro i termini di cui all’art.
491, comma 1, cod. proc. pen.
Tuttavia tale regola vale solo quando il reato nella qualificazione originaria
richieda di per sé l’udienza preliminare e non quando la necessità dell’udienza
preliminare discenda dalla riqualificazione operata in sede di giudizio (Cass. Sez.
1, n. 43230 del 4/11/2009, Pigozzi, rv. 245118).

comunque recuperarsi l’operatività dell’art. 521-bis cod. proc. pen., con
conseguente travolgimento del processo attraverso l’annullamento della
sentenza impugnata e la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso il
Tribunale competente in primo grado (Cass. Sez. 1, n. 43230, Pigozzi, cit.).
Del resto questo è l’esito che, sia pur in termini non nitidi, la difesa degli
imputati aveva sostanzialmente prospettato anche nel ricorso.
Va altresì chiarito che i temi posti dall’insegnamento della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo non possono comunque venire in rilievo allorché il processo
regredisca alla fase iniziale, giacché in tal caso è ampiamente garantito
l’esercizio del diritto di difesa con riguardo alla conoscenza dell’esatta
qualificazione del fatto.

6. In conclusione deve essere annullata la sentenza impugnata, compresa
quella di primo grado, e deve essere ordinata la trasmissione degli atti al
Pubblico Ministero presso il Tribunale di La Spezia per l’ulteriore corso.

P. Q. M.

Qualificato il fatto come reato ex art. 390 cod. pen., annulla senza rinvio la
sentenza impugnata e trasmette gli atti al Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di La Spezia per l’ulteriore corso.
Così deciso il 3/5/2016

Qualora alla qualificazione si addivenga nel giudizio di cassazione, dovrà

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA