Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22801 del 26/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22801 Anno 2016
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: CRISCUOLO ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ritan Iosif, nato a Tirgu Frumos (Albania) il 13/03/1971

avverso la sentenza del 25/09/2013 della Corte di appello di Trento

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Criscuolo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Maria Francesca Loy, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Trento ha confermato la
sentenza emessa il 22/12/2011 all’esito di giudizio abbreviato dal G.u.p. dello
stesso Tribunale nei confronti di Ritan Iosif, ritenuto colpevole del delitto di
calunnia continuato e condannato alla pena di anni 1 e mesi 5 di reclusione.
Nel giudizio di merito si è accertato che il Ritan, arrestato in quasi flagranza
il 6 novembre 2010 per il reato di furto pluriaggravato di slot machines aveva
falsamente incolpato tre suoi connazionali, indicandoli e riconoscendoli quali

Data Udienza: 26/04/2016

correi nel medesimo reato ed in altri furti analoghi commessi in precedenza, che,
invece, erano risultati totalmente estranei a seguito delle indagini nel frattempo
svolte dalla polizia giudiziaria.
I giudici di merito hanno dato atto che il Ritan fu tratto in arresto nell’ambito
delle indagini avviate per individuare gli autori di una serie di furti di

slot

machines e che dopo l’ennesimo furto gli inquirenti erano riusciti a bloccare solo
il Ritan, il quale, in base ai colloqui intercettati, risultava essere in attesa dei
complici presso il casello autostradale di Rovereto. Nell’immediatezza, trovato in

proposto quale collaboratore degli inquirenti, effettuando telefonate ai complici
per indurli ad incontrarsi, asserendo falsamente di essere stato rilasciato, per
favorirne la cattura; risultata vana l’iniziativa, aveva accusato i connazionali
Mihai Graninaru, Cristian Vasile Pop e Ion Mogosanu, indicandoli quali autori di
numerosi furti, nei quali aveva svolto il ruolo di autista, fornendo particolari
individualizzanti e riconoscendoli in sede di individuazione fotografica per poi
ritrattare le accuse in sede di interrogatorio: nel frattempo, gli inquirenti
avevano accertato la falsità delle accuse, verificando che gli accusati avevano
solidi alibi.

2. Avverso la sentenza propone ricorso il difensore dell’imputato, che ne
chiede l’annullamento per i seguenti motivi:
– violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità e di inutilizzabilità
nonché mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione: si deduce
l’inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese dall’imputato alla Squadra
Mobile di Trento. Sostiene il difensore che tali dichiarazioni non avevano
carattere spontaneo, sia perché rese senza l’assistenza del difensore, sia perché
rese da straniero, che, non parlando correttamente la lingua italiana, non era in
grado di comprendere quanto stava accadendo, tant’è che in sede di convalida
alla presenza del difensore aveva immediatamente smentito il riconoscimento
fotografico operato. Evidenzia che l’imputato aveva fornito piena collaborazione,
effettuando telefonate ai complici sotto la sorveglianza della p.g. e certamente
non poteva ritenersi spontaneo il riconoscimento fotografico, evidentemente
sollecitato dagli inquirenti; censura l’inadeguata risposta fornita sul punto dalla
Corte di appello, che ha ritenuto sfornita di prova l’eccezione difensiva;
– mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione al
mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, comma 6, cod. proc.
pen.: la Corte avrebbe errato nel ritenere tardiva la ritrattazione del Ritan
effettuata 1’8 novembre 2010 in sede di convalida dell’arresto, in quanto
avvenuta nel primo momento utile, in modo spontaneo e quando ancora le

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possesso di uno dei cellulari intercettati, aveva ammesso l’addebito e si era

indagini non erano terminate (l’esito fu riferito all’A.G. con annotazione del 10
novembre 2010): pertanto, la ritrattazione avvenne prima che fosse acquisita la
prova della falsità delle incolpazioni;
– mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione al
mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: la Corte ha negato le
attenuanti richiamando i precedenti specifici dell’imputato, trascurando la fattiva
collaborazione prestata dall’imputato per la cattura dei complici, della quale
incomprensibilmente la Corte ha dubitato, nonostante le inequivoche risultanze

confessione resa subito dopo l’arresto anche per altri furti ed infine della
ritrattazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto il ricorrente ripropone censure già
avanzate in appello, alle quali la Corte di appello ha fornito adeguata e corretta
risposta.
Peraltro, trattandosi di decisione di conferma, la sentenza impugnata si
salda ed integra quella di primo grado, che contiene ulteriori elementi utili per
confutare le censure difensive.
1.1 Quanto alla dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese dal
Ritan, la Corte di appello ha evidenziato la piena utilizzabilità degli atti di
indagine conseguente all’opzione per il rito abbreviato e la mancata allegazione o
dimostrazione della violazione del diritto di difesa; ha, peraltro, rilevato la
contraddittorietà tra l’asserita non spontaneità delle dichiarazioni rese e la
richiesta di valutarle positivamente ai fini del riconoscimento dell’attenuante
della collaborazione.
Con argomentazione corretta la Corte di appello ha ritenuto indimostrato
che le dichiarazioni fossero state indotte in modo illecito e ha escluso la
violazione del diritto di difesa, in quanto il Ritan non rese dichiarazioni contra se
in assenza del difensore, ma accusò terzi, fornendo dettagliate informazioni a
carico di soggetti, risultati del tutto estranei ai furti narrati, ed in modo logico ha
desunto, proprio dalla ricchezza dei particolari e delle informazioni riferite, la
natura spontanea delle dichiarazioni, atteso che gli inquirenti non avrebbero
avuto interesse a sollecitare informazioni inutili per avviare indagini infruttuose.
Analoga valutazione è stata operata per il riconoscimento operato, che ha
confermato le dichiarazioni accusatorie, sulla base delle quali gli inquirenti
avevano reperito le fotografie degli incolpati.

delle conversazioni intercettate; inoltre, la Corte non ha tenuto conto della

1.2 Quanto alla ritrattazione la Corte ha rilevato che le indagini, attivate
sulla scorta delle dichiarazioni accusatorie dell’imputato, si rivelarono inutili e la
stessa non intervenne prima che in data 7 e 8 novembre 2010 la polizia
giudiziaria acquisisse tutte le informazioni necessarie a provare la falsità delle
accuse.
Dalla sentenza di primo grado risulta, peraltro, che l’imputato fornì
giustificazioni contraddittorie, che confortano l’accusa a suo carico, in quanto in
sede di interrogatorio sostenne di aver subito le pressioni della polizia, mentre in

lingua italiana. La duplice, divergente ed inconciliabile giustificazione offerta
denuncia l’inattendibilità della versione difensiva, specie ove si osservi che i
riconoscimenti avvennero su base visiva e non solo dichiarativa e la circostanza
priva di rilievo l’obiezione difensiva dell’ignoranza linguistica.
1.3 Coerentemente la Corte di appello ha negato il riconoscimento
dell’attenuante della collaborazione, risultata solo un falso tentativo di
collaborazione, che, in realtà, insospettì i complici e ne garantì la fuga.
1.4 Congruamente motivato risulta il rigetto delle attenuanti generiche in
ragione dei precedenti specifici e del movente della condotta, diretta ad
ostacolare, anziché favorire, la cattura dei complici.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali ed al pagamento di una somma in favore
della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in C 1.500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 26/04/2016.

sede di giudizio abbreviato dichiarò di essersi sbagliato, non conoscendo bene la

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