Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22799 del 26/04/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 6 Num. 22799 Anno 2016
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: CRISCUOLO ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Siracusano Gianmario, nato a Brugg (Svizzera) il 29/04/1974

avverso la sentenza del 06/05/2013 della Corte di appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Criscuolo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Maria Francesca Loy, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Susanna Stranieri in sostituzione dell’avv. Antonella
Cassandro, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la
sentenza emessa il 19 luglio 2013, all’esito del giudizio abbreviato, dal G.u.p.
dello stesso Tribunale nei confronti di Siracusano Gianmario, ritenuto colpevole
dei delitti di favoreggiamento e di false informazioni al P.m., aggravati dall’art. 7
legge 203/91, e condannato alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione.

Data Udienza: 26/04/2016

I giudici di merito hanno ritenuto provato l’intento dell’imputato di favorire
Rosario Vizzini, Fabio Nicastro ed Emanuele Napolitano, appartenenti ad
un’associazione di tipo mafioso e responsabili di estorsione aggravata nei
confronti suoi e della moglie Karin Scabari, informandoli immediatamente delle
dichiarazioni accusatorie rese dalla moglie alla Squadra Mobile di Varese,
intimando alla moglie di non accusarli e di avvisare il Vizzini delle indagini in
corso; hanno ritenuto provate le numerose iniziative assunte dall’imputato al fine
di screditare la moglie, addirittura, inducendola a procacciarsi falsa

le dichiarazioni e minacciandola di morte nel caso in cui avesse ribadito le accuse
a carico del Vizzini, avvalendosi anche di Michela Morrone per informare il Vizzini
della sua convocazione e della sottoposizione ad indagini, in modo da consentirgli
di precostituirsi linee di difesa e da ostacolare le indagini.
I giudici di merito hanno ritenuto, altresì, sussistente il reato di false
informazioni al Pubblico Ministero, integrato dalle falsità dichiarate nel corso della
convocazione del 31 marzo 2011, in contrasto con i risultati delle intercettazioni,
e dal rifiuto di fornire informazioni su quanto a sua conoscenza in ordine alle
estorsioni subite; hanno escluso che le condotte potessero essere scriminate
dallo stato di necessità, non risultando denunciate minacce né sussistente un
pericolo attuale e concreto; hanno, inoltre, ritenuto le condotte aggravate
dall’art. 7 legge 203/91 in ragione della finalità di agevolare l’associazione
mafiosa e del profondo legame esistente tra l’imputato ed il Vizzini, testimoniato
dalla missiva inviatagli, nella quale gli si rivolgeva con rispetto e devozione.

2. Avverso

propone ricorso il difensore dell’imputato, che ne

chiede l’annullamento per violazione di legge, mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione: si deduce l’errata applicazione degli artt.
54 e 384 cod. pen. in relazione al delitto di favoreggiamento, ricorrendo nel caso
di specie la causa di esclusione della punibilità, prevista dall’art. 384 cod. pen.,
applicabile nella accezione più estensiva del concetto di libertà e di onore. La
Corte di appello non avrebbe considerato che l’imputato fu costretto a tenere le
condotte descritte dalla necessità di salvare se stesso o un prossimo congiunto
da un grave ed inevitabile nocumento alla incolumità fisica propria e di un
prossimo congiunto né avrebbe considerato attuale e concreta la situazione di
pericolo profilatasi per il ricorrente, mentre, invece, il timore e la paura
dell’imputato derivavano non solo dalle pregresse pretese estorsive subite, ma
soprattutto, dalla forza di intimidazione e di omertà del sodalizio criminale del
Vizzini. La stessa Corte di appello ha, infatti, riconosciuto l’esistenza di
un’associazione di stampo mafioso ed armata, finalizzata alla commissione di

2

documentazione medica, che ne attestasse problemi mentali al fine di inficiarne

una serie indeterminata di estorsioni, di attentati incendiari e di azioni
intimidatorie, ma ha illogicamente escluso l’esistenza di un pericolo attuale e
concreto per il ricorrente e per la moglie, trascurando che la Scabari aveva
informato la Morrone che il coniuge le aveva ordinato di cambiare numero di
telefono e città e di evitare contatti con chiunque e, dopo l’arresto del Vizzini, le
aveva manifestato il timore per la reazione di questi; che sia il Siracusano che la
moglie erano fortemente preoccupati dopo l’arresto del Vizzini per la
divulgazione mediatica della loro posizione di vittime e della pubblicazione di una

confronti. Tali elementi, a parere della difesa, dimostrano la concretezza e la
gravità del pericolo di danno alla persona e del timore delle vittime, tant’è che la
Scabari il 31 marzo 2011 si recò spontaneamente presso la PG per smentire le
accuse e lo stesso ricorrente, convocato in pari data dal P.m., chiese di essere
assistito da un difensore, temendo un proprio coinvolgimento. La Corte avrebbe,
inoltre, ignorato la valenza minatoria dell’invio di un santino e del rinvenimento
di un pupazzo di gallina con piume nere; avrebbe ignorato il contenuto delle
lettere, inviate il 3 aprile e il 12 maggio dal Vizzini all’imputato per intimargli di
intervenire sulla moglie in modo deciso, e ha frainteso il tono reverenziale della
risposta del Siracusano, indicativo del timore provato a fronte delle minacce
ricevute. Si contesta, altresì, il mancato riconoscimento della causa di non
punibilità di cui all’art. 384 cod. pen., in quanto il Siracusano fu costretto a
rendere false dichiarazioni al P.m. dalla necessità di evitare di accusarsi del
delitto di favoreggiamento personale, avendo avuto rapporti con il Vizzini.
Con memoria depositata 1 1 11 aprile 2016 il difensore del ricorrente con
nuovo motivo deduce che la sentenza impugnata non ha tenuto conto della
posizione di vittima del Siracusano, costretto a pagare la protezione,
consegnando due autovetture, senza ricevere il prezzo della villa venduta alla
compagna del Vizzini e costretto a non richiedere il pagamento dei pranzi
consumati dagli appartenenti al sodalizio criminale; evidenzia che tali condotte
sono incompatibili con la ritenuta aggravante ad effetto speciale e la sentenza
non ha fornito spiegazione logica circa l’applicazione della stessa al caso in
esame.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
Il ricorrente ripropone censure già avanzate in appello, disattese dalla Corte
con motivazione puntuale ed esaustiva, e richiede una rivalutazione delle
emergenze processuali in forza di una lettura alternativa delle stesse, ritenuta

3

conversazione tra il Nicastro e Tordo Solange, contenente minacce nei loro

più persuasiva e plausibile di quella offerta dai giudici di merito, con operazione
inammissibile in questa sede.
Invero, i giudici di merito hanno ampiamente giustificato il giudizio di
responsabilità formulato a carico del ricorrente in ordine al reato di
favoreggiamento, avuto riguardo all’ampiezza ed alla pluralità delle iniziative
assunte dal Siracusano per informare il Vizzini delle dichiarazioni accusatorie
rese dalla moglie.
In modo logico e coerente hanno respinto la tesi difensiva e spiegato che nel

del ricorrente, non limitatosi ad omettere informazioni o a tenere un
comportamento reticente, bensì attivatosi per informare gli estorsori delle
indagini in corso, tentando di porli al riparo dalle accuse della moglie e
consentire loro di predisporre contromisure, addirittura, condividendo
l’intenzione del Vizzini di convocarla ed intimidirla direttamente nonché
minacciandola egli stesso, affermando che soffriva di patologie psichiatriche ed
inducendola a procurarsi falsa documentazione medica per screditarla e minarne
l’attendibilità.
Contrariamente all’assunto difensivo i giudici hanno tenuto conto delle
minacce rivolte al ricorrente, ma le hanno ritenute inidonee ad escludere la
responsabilità del Siracusano, in quanto successive alle condotte contestategli e
smentite dal tenore della lettera inviata al Vizzini, nella quale gli esprimeva
rispetto e devozione, secondo il codice tipico delle realtà mafiose, per allontanare
da sé l’onta dell’infamia. Hanno, soprattutto, precisato che non possono
confondersi o sovrapporsi le minacce precedenti subite dall’imputato, strumentali
alla realizzazione delle pretese estorsive, con quelle successive all’arresto del
Vizzini e, quindi, successive alle condotte contestate.
Del tutto priva di concretezza è la prospettazione di un difetto di motivazione
in ordine all’invocato stato di necessità, poiché nella sentenza impugnata risulta
diffusamente motivato il diniego di applicazione della scriminante sulla scorta dei
principi affermati da questa Corte.
Secondo l’orientamento consolidato in tema di reati contro l’amministrazione
della giustizia, l’esimente prevista dall’art. 384, comma 1, cod. pen. non può
essere invocata sulla base del mero timore, anche solo presunto o ipotetico, di
un danno alla libertà o all’onore, implicando essa un rapporto di derivazione del
fatto commesso dalla esigenza di tutela di detti beni, che va rilevato sulla base di
un criterio di immediata ed inderogabile consequenzialità e non di semplice
supposizione (Sez. 6, n. 19110 del 02/04/2015, Rv. 263504; Sez. 6, n. 10271
del 15/11/2012, Spano, Rv. 255716; Sez. 6, n. 26570 del 13/06/2008,
Montalbano, Rv. 241050). Né rileva, quale elemento dello stato di necessità, a

4

caso di specie non ricorrevano le condizioni per ritenere scriminate le condotte

giustificazione della condotta di favoreggiamento personale, il generico timore di
future rappresaglie contro la propria persona da parte del favorito (Sez. 6
n.13134 del 16/03/2011 , Rv. 249891).
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, chiarendo
che la circostanza che l’imputato e la moglie avessero subito pretese estorsive da
parte del Vizzini e del sodalizio dallo stesso diretto e persino la caratura criminale
e la pericolosità del Vizzini e degli associati non possono integrare l’attualità e
l’immanenza del pericolo all’incolumità di entrambi e l’inevitabilità dello stesso,

essendosi limitato a dichiarare di aver ritenuto possibile che nel caso in cui non si
fosse attivato per ostacolare le indagini o non avesse reso false dichiarazioni al
P.m. il Vizzini, potente esponente di un clan mafioso, violento e pericoloso,
avrebbe potuto reagire con violenza: dunque, l’esimente viene invocata in base
al timore presunto di possibili reazioni violente, ma in assenza di situazioni
concrete o di specifici episodi di minaccia o di un pericolo imminente.
Pertanto, correttamente la Corte ha ritenuto insussistenti i presupposti
codificati, che escludono la rilevanza penale della condotta, atteso che il
Siracusano sapeva che il Vizzini era indagato e ,M poteva essere arrestato 42D
anche in base alle dichiarazioni accusatorie della moglie, ma, anziché riporre
fiducia negli inquirenti e sperare nell’intervento dell’autorità giudiziaria, che
poteva liberarlo dai suoi aguzzini, ha scelto di ostacolare le indagini, di informare
il Vizzini, di intimidire e minacciare la moglie, che, ugualmente consapevole della
pericolosità dello stesso, non aveva subito condizionamenti né aveva avvertito
alcun timore.
Logica è, quindi, la valutazione della Corte circa l’inconciliabilità del dedotto
stato di timore, che avrebbe potuto, al più, giustificare una condotta omissiva e
reticente, con l’attivismo dell’imputato, prodigatosi oltremodo per salvaguardare
i propri estorsori dalle accuse della moglie, dimostrando solidarietà e vicinanza,
piuttosto che timore.
Analoga valutazione è stata correttamente espressa per il reato di false
dichiarazioni al P.m., non essendo giustificabile la condotta del ricorrente dal
timore di essere coinvolto nelle indagini e di essere indagato per le condotte
pregresse, atteso che era stato convocato in qualità di persona offesa e di
vittima di estorsioni commesse dal Vizzini ai suoi danni, cosicché, rispondendo
alle domande del P.m., si sarebbe dovuto limitare a riferire dei soprusi subiti e
non certo accusarsi di aver favorito i suoi aguzzini.
La condizione di vittima di un reato non abilita il soggetto chiamato a deporre
in qualità di parte offesa a violare l’obbligo su di lui gravante di riferire quanto a
sua conoscenza, a meno che non espliciti, in maniera chiara o allusiva, ma

5

non avendo il Siracusano riferito di specifiche minacce da parte del Vizzini, ma

comunque, inequivocabile, di essere destinatario, direttamente o attraverso un
prossimo congiunto, di attuale minaccia o violenza, risultando, altrimenti,
agevole, allegare l’esistenza di una diffusa, quanto in concreto inverificabile,
immanenza del condizionamento generato da formazioni criminali radicate sul
territorio per violare la legge e sfuggire all’obbligo di contribuire al regolare
andamento dell’amministrazione della giustizia.
Infondata è, infine, la censura difensiva relativa alla ritenuta sussistenza
dell’aggravante ad effetto speciale, atteso che nel caso in esame la condizione di

favore dei suoi estorsori e del Vizzini in particolare, al quale era profondamente
legato da consuetudine e amicizia, tanto da esternargli rispetto e persino
devozione nella lettera del 17 maggio 2011, augurandosi di riabbracciarlo presto
e di trascorrere insieme alle rispettive famiglie una buona e serena giornata.
Una simile condotta mal si concilia con il dedotto stato di timore e di
sudditanza, risultando piuttosto indicativa della volontà di non perdere quel
legame prezioso ed ampiamente giustificativa delle condotte pregresse di
agevolazione e solidarietà concretamente espresse, che, a posteriori, si
pretenderebbe fossero scriminate.
L’infondatezza del ricorso ne impone il rigetto con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 26/04/2016.

vittima di ripetute estorsioni non ha affatto impedito all’imputato di prodigarsi in

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA