Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22798 del 15/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22798 Anno 2016
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Latella Salvatore, nato a Reggio Calabria, l’ 11/03/1983

avverso la sentenza del 03/12/2013 della Corte di appello di Reggio
Calabria

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Laura Scalia;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Luigi Birritteri, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;
uditi i difensori, avv. Giacomo lana e avv. Natale Polimeni, che hanno
concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.

Data Udienza: 15/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Reggio Calabria, con conferma della
sentenza resa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Reggio Calabria, ha dichiarato Salvatore Latella colpevole del reato di
cui all’art. 73, comma 1, d.P.R n. 309 del 1990 per avere egli
coltivato sostanza stupefacente del tipo canapa indiana, consistente

stato di essiccazione.
Si è in tal modo ritenuto un contenuto percentuale medio di
principio attivo stupefacente, Delta – 9 – tetraidrocannabinolo “THC”,
pari a 110.118,7 mg di THC puro, da cui si possono ricavare 4.404,7
dosi medie singole, per le trecento piante in stato vegetativo, ed un
un contenuto percentuale medio di principio attivo stupefacente Delta
– 9 – tetraidrocannabinolo “THC”, pari a 915,4 mg di THC puro, da
cui si possono ricavare 36,6 dosi medie singole, per le tre piantine in
stato di essiccazione.

2.1 difensori di fiducia del Latella propongono ricorso per
cassazione avverso l’indicata sentenza ed articolano tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge (art.
606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen.) nella dosimetria della pena in
relazione all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, per le cdd. droghe
leggere nella versione precedente alla novella del 2006, all’esito
dell’intervento della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 32
del 12 febbraio 2014, ha ripristinato il previgente e più mite
trattamento sanzionatorio.
2.2.

Con il secondo motivo, la difesa fa valere mancanza,

manifesta illogicità, contraddittorietà della motivazione e
travisamento della prova, per omissione (art. 606, comma 1, lett. e)
cod. proc. pen., in relazione all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del
1990).
Si attribuisce alla Corte una lettura superficiale della relazione dei
Carabinieri ricostruttiva del fatto su cui la medesima Corte, e prima

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in n. 300 piante rinvenute in stato vegetativo ed in n. 3 piantine in

ancora il Giudice per l’udienza preliminare, fondano la propria
decisione.
La descrizione effettuata dagli operanti nella redatta relazione del
luogo di coltivazione come ostile ed impervio sarebbe infatti frutto di
‘autosuggestione’.
Siffatta evidenza sarebbe attestata dalla descrizione resa, di quei
medesimi luoghi, dalla consulenza tecnica di parte, per la quale l’area

particolari difficoltà, e la distanza tra la strada carrabile ed il sentiero
di accesso al terreno di coltivazione sarebbe di circa 280 mt.
Sarebbe stata inoltre travisata l’attività compiuta dal Latella,
come descritta dadi operanti e recepita dai aiudici di merito. Lo stato
dei luoghi evidenziato dai rilievi fotografici prodotti dalla difesa
avrebbe infatti sottolineato l’inidoneità (per presenza di tubi di
irrigazione scollegati) della condotta del Latella, come riportata dai
verbalizzanti (consistente nella mera apertura dell’impianto di
adduzione dell’acqua maneggiando la chiave principale), ad irrigare il
campo e quindi la non espressività della stessa di una perfetta
conoscenza dello stato dei luoghi in capo all’agente che avrebbe
dovuto, invece. dapprima raccordare i tubi e auindi aprire il rubinetto.
Il Latella, incensurato, nell’immediatezza dei fatti avrebbe, in
oani caso, smentito la relazione deali operanti dando una diversa
ricostruzione del fatto, per la quale egli non avrebbe aperto alcun
cancelletto di definizione dell’area e, ancora, alcun rubinetto di
irrigazione.
2.3.

Con ulteriore motivo, si lamenta violazione di legge (art.

606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art. 73,
comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990) per avere la Corte territoriale
erroneamente apprezzato l’idoneità delle trecento piantine a produrre
effetto droaante. pur non avendo le stesse completato il loro ciclo
produttivo, non presentando le infiorescenze produttive del THC,
espressivo della capacità droaante della mariivana.
La prognosi sull’offensività espressa dai militari intervenuti non
potrebbe eauivalere all’accertamento sull’offensività. in concreto.
della condotta espressa nei principi fatti propri dal Giudice delle leggi

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di coltivazione sarebbe invece percorribile in pochi minuti, senza

e dalla giurisprudenza di legittimità, che rinvengono nella salute il
bene tutelato dalla disciplina degli stupefacenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.

La sentenza della Corte di appello deliberata in data 3 dicembre
2013, nella successione di leggi nel tempo, nella dovuta applicazione
della lex mitior (art. 2, comma 4, cod. pen.), non ha potuto tenere
conto della sopravvenuta ridefinizione della cornice edittale della
contestata ipotesi (art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990), in
esito alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 12 febbraio
2014.
Quest’ultima dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt.
degli artt. 4-bis e 4-vides ter del di. n. 272 del 2005, conv. in legge
21 febbraio 2006, n. 49 (legge Fini-Giovanardi), modificativi della
disciplina di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, ha infatti segnato
la reintroduzione nel sistema del previgente trattamento (legge
Iervolino-Vassalli), della distinzione tra droghe ‘leggere’ e droghe
‘pesanti’, e per la stessa del più mite trattamento previsto per quelle
leggere, tra cui rientra la sostanza stupefacente oggetto di
contestazione.
Per l’indicata evidenza la pena irrogata resta quindi illegale in
quanto sostenuta da disciplina dichiarata costituzionalmente
illegittima.
L’illegalità della pena per illegittimità costituzionale, destinata ad
incidere finanche sul giudicato sostanziale, atteso che la pena viene
eliminata dall’ordinamento in maniera irreversibile e definitiva,
peraltro con effetti ex tunc, come se non fosse mai esistita, impone
che il giudice dell’impugnazione, anche ove quest’ultima sia
inammissibile, provveda a ripristinare una sanzione legale, basata, in
questo caso, sui criteri edittali recuperati per effetto della
dichiarazione di illegittimità costituzionale (Sez. U, n. 33040 del

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2. Primo motivo di ricorso è fondato.

26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207) in applicazione dei criteri previsti
dall’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 36357 del 19/05/2015, Testani,
Rv. 264880).
Si impone quindi l’annullamento dell’impugnata sentenza
limitatamente al trattamento sanzionatorio perché il giudice del rinvio

3. Per il resto il ricorso è manifestamente infondato ed i relativi

3.1.

Nella motivazione spesa dalla Corte di merito infatti non

si ravvisa alcuna illegittimità da declinarsi secondo la figura
sintomatica della manifesta illogicità, anche per travisamento della
prova dovuto ad omissione.
La motivazione spesa non evidenzia alcuna discontinuità in punto
di logica nel dare ricostruzione allo stato dei luoghi in cui maturarono
le contestate condotte di coltivazione di sostanza stupefacente.
Né l’addotta consulenza di parte offre una palese e non
controvertibile difformità della fotografia di quei luoghi rispetto a
quella contenuta nella verbalizzazione curata dagli operanti e posta a
fondamento dell’adottata decisione, in ragione del rito cartolare
osservato (art. 442 cod. proc. pen.) che legittimi questa Corte a
sindacare il fatto così come ricostruito nell’impugnata sentenza (Sez.
4, n. 40059 del 19/04/2005, Bianco, Rv. 232439).
Del pari la definizione delle condotte come congruamente
apprezzata nell’impugnata sentenza può dirsi inficiata nella sua
logicità dalle dichiarazioni rese dal prevenuto che per come riportate
in ricorso non valgono a sottrarre fondamento e rilievo alle prime.
3.2. Quanto all’ulteriore motivo di ricorso per il quale si
lamenta l’erroneo apprezzamento dell’idoneità delle trecento piantine
a produrre effetto drogante, pur non avendo le stesse completato il
loro ciclo produttivo, in mancanza di infiorescenze, lo stesso è
manifestamente infondato, in quanto diretto ad indicare,
dell’illustrato tema, prospettive e contenuti estranei alla prevalente
giurisprudenza di legittimità.
3.3.

La Corte di appello ha quindi fatto corretta applicazione

del principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità per il quale,

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motivi, come tali, non meritano accoglimento.

ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle
quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l’offensività della condotta
non è esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione
dei vegetali, neppure quando risulti l’assenza di principio attivo
ricavabile nell’immediatezza, se gli arbusti sono prevedibilmente in
grado di rendere, all’esito di un fisiologico sviluppo, quantità
significative di prodotto dotato di effetti droganti.

evolutivo dell’organismo biologico (Sez. 6, n. 6753 del 09/01/2014,
M., Rv. 258998).
Il giudizio che per l’indicata produttivà il giudice di merito deve
svolgere va condotto, d’altro canto, avuto riguardo, anche, ad
ulteriori circostanze, quali l’estensione e la struttura organizzata della
piantagione, dalle quali possa derivare una produzione di sostanze
stupefacenti potenzialmente idonea ad incrementare il mercato (Sez.
3, n. 23082 del 09/05/2013, De Vita, Rv. 256174).
Fattualità, quest’ultima, congruamente dominata per la
impugnata motivazione, nel condotto accertamento che riposa,
peraltro, nella verifica produzione già attuale del principio attivo
drogante.

4.Gli indicati residui motivi vanno pertanto rigettati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento
sanzionatorio e rinvia per la ridetermìnazione della pena ad altra
sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.
Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15/04/2016

Il Consigliere estensore

Il Pre idente

Il ‘coltivare’ è infatti attività che si riferisce all’intero ciclo

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