Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22797 del 16/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22797 Anno 2014
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MIRISOLA ALFONSO N. IL 22/09/1958
avverso l’ordinanza n. 4505/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di
FIRENZE, del 31/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 16/01/2014

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 31 gennaio 2013 il Tribunale di Sorveglianza di Firenze
rigettava l’istanza di ammissione alla semilibertà, presentata dal condannato
Alfonso Mirisola, rilevando l’assenza di una concreta opportunità lavorativa,
necessaria nel caso concreto perché la misura alternativa conseguisse l’effetto
risocializzante cui è finalizzata.

personalmente, chiedendone l’annullamento per violazione di legge in relazione al
disposto degli artt. 607 cod. proc. pen., 71-ter ord. pen. e 666 cod. proc. pen.,
comma quinto: il Tribunale di Sorveglianza era incorso in disparità di trattamento
ed irragionevolezza rispetto a quanto deciso nei riguardi di altri detenuti, cui era
stata sospesa la misura della semilibertà perché licenziati dai datori di lavoro ed
erano stati riammessi al beneficio senza riferimenti alla gravità dei reati commessi
ed alla loro pericolosità. Inoltre, il diniego non può essere basato soltanto sull’entità
della pena da espiare, ma occorre valutare anche altri parametri quali il
comportamento del detenuto durante l’esecuzione e durante la pregressa fruizione
della semilibertà, la sua cessazione per fatti non addebitabili al detenuto ed i
risultati dell’opera trattamentale, nel suo caso in corso da moltissimi anni con esiti
positivi.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile perché fondata su censure manifestamente
infondate.
1.E’ indubbio, per quanto argomentato anche nell’impugnazione, che il
ricorrente ha reiterato istanza di ammissione alla semilibertà senza prospettare la
concreta possibilità del suo impegno in attività lavorativa, ma soltanto lo
svolgimento di opera gratuita in favore di associazione assistenziale, per la quale
non potrebbe percepire alcuna retribuzione, ma dovrebbe contare sull’aiuto
economico del figlio. A fronte di tale situazione di fatto, non contestata col ricorso, il
Tribunale di Sorveglianza, su conforme valutazione degli operatori penitenziari, ha
rilevato l’inadeguatezza dell’attività praticabile dal detenuto, perché non in grado di
contribuire in modo efficace al suo processo di rieducazione e di reinserimento nel
tessuto sociale, tenuto conto del suo passato criminale, della natura dei gravi delitti
per i quali sta scontando una lunga pena detentiva -omicidio, associazione di
stampo mafioso e reati comuni-, del conseguente elevato rischio di recidiva.
1.1 In tale percorso motivazionale non è rintracciabile alcuno dei vizi

1

*

2.Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato

denunciati, tenuto conto del fatto che la presunta disparità di trattamento con altri
detenuti non è valutabile in sé quale motivo di ricorso proponibile, anche in
relazione alla mancata illustrazione delle situazioni e delle ragioni delle diverse
decisioni, che in ogni caso non possono che essere personalizzate e relative alla
condizione individuale di ciascun detenuto. Inoltre, il giudizio espresso dal Tribunale
esprime il convincimento della inidoneità dell’attività da svolgere a sortire la finalità
risocializzante della misura secondo una valutazione discrezionale, che, essendo
puntualmente motivata ed ancorata a precisi dati di fatto in termini di pericolosità

patrimonio cognitivo proprio del solo giudice di merito.
1.2 Inoltre, l’ordinanza impugnata è conforme ai principi interpretativi, espressi
dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 1, n. 16641 del 21/09/2012, P.G.
in proc. Ucciero, rv. 255681; sez. 1, n. 40992 del 14/10/2008, Cantelli, rv.
241430; sez. 1, n. 3089 del 26/06/1992, Corrao, rv. 191482) secondo la quale
l’ammissione a misura alternativa postula il ragionevole bilanciamento tra la residua
pericolosità ed i progressi nel percorso di risocializzazione in atto, la cui valutazione
dovrà essere perciò tanto più prudente e cauta quanto più sia da considerare
elevata l’originaria pericolosità del soggetto, desunta dal numero, dalla gravità e
dalle modalità di esecuzione dei reati commessi, tenendosi anche conto del lasso di
tempo già trascorso in carcere.
Le censure mosse dal ricorrente, pertanto, basate proprio sul corretto
comportamento in istituto e su quello tenuto prima dell’esecuzione, già valutati dai
giudici di merito, non consentono di superare i rilievi espressi nell’ordinanza in
verifica.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa
insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, della somma che si stima equo
determinare in euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2014.

sociale del richiedente, non è censurabile nel giudizio di legittimità, appartenendo al

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