Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22788 del 13/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22788 Anno 2016
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Bennati Alessandra, nata a Roma il 09/06/1952

avverso la sentenza del 4/11/2015 della Corte di appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Aldo Policastro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
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udito per la parte civile, avv. Giacomo Sattaf che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Alfredo Gaito, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano
confermava la sentenza del 26 gennaio 2015 del Tribunale di Milano che aveva
dichiarato Alessandra Bennati responsabile del delitto di cui all’art. 368 cod.
pen., condannandola alla pena ritenuta di giustizia.

Data Udienza: 13/04/2016

Alla Bennati era stato contestato di aver falsamente accusato Giampiero
Allegri, rappresentante della società per azioni Alcam (con la quale la società
Quinto Piano, amministrata di fatto dalla predetta, aveva avuto un rapporto
contrattuale che prevedeva l’uso di locali e forniture di servizi), di aver preteso
con minacce il pagamento di corrispettivi dovuti, segnatamente, prospettandole
di buttare i mobili ancora presenti nei locali, e di aver trattenuto abusivamente il
suddetto mobilio.
La Bennati, nella querela presentata il 15 luglio 2009, aveva sostenuto che,

2009 un corriere a ritirare il residuo mobilio ancora lì presente, venendo tuttavia
a questi impedito di entrare; che anche una dipendente della Quinto Piano si era
vista opporre il 24 giugno 2009 un rifiuto dall’Allegri di accedere ai locali per
ritirare la documentazione; che il 9 luglio 2009 la segreteria di Allegri aveva
inviato una mail alla Quinto Piano in cui negava l’accesso per il recupero del
mobilio; che Allegri, con modi violenti, l’aveva costretta a firmare una
transazione per una somma in eccesso rispetto a quella dovuta per canoni
scaduti; che Allegri la aveva minacciata di buttare via i mobili se non avesse
pagato e aveva trattenuto il mobilio, a sua volta pignorato, di cui lei era stata
nominata custode. Infine, la Bennati chiedeva nella querela di poter avere
accesso ai locali per effettuare il ritiro delle cose di spettanza della Quinto Piano
e affermava che non avrebbe pagato la somma in eccesso indicata nella
transazione, in quanto estorta con minacce.
In sede di merito era stato accertato che, a fronte di inadempimenti
contrattuali della Quinto Piano contestati sin dall’aprile 2008, il 27 gennaio 2009
era stato emesso a favore della Alcam un decreto ingiuntivo per la somma di
13.400, oltre interessi e spese, in relazione a fatture emesse sino al settembre
2008; che, su proposta della Bennati, era stata stipulata nell’aprile 2009 una
transazione che riconosceva alla Alam, in relazione ai crediti maturati sino a
quella data, la cessione di un credito vantato dalla Quinto Piano sino alla
concorrenza della somma di 36.000 euro, oltre alla liberazione dei locali nel
maggio 2009; dopo la liberazione dei locali, avvenuta alla fine del maggio 2009,
la Quinto Piano, il 30 giugno 2009 aveva disconosciuto la firma apposta sulla
transazione, con conseguente sospensione della prevista cessione del credito;
che la Bennati aveva chiesto l’8 luglio 2009 il ritiro del mobilio presente nei locali
sgomberati, che le era stato consentito con una mail del giorno successivo
dall’Allegri solo previa esibizione da parte della persona designata di idonea
documentazione attestante la rappresentanza della società Quinto Piano; che la
Quinto Piano aveva avanzato la proposta di ritirare la querela dietro riduzione
delle pretese della Alcam.

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dopo aver lasciato i suddetti locali il 30 giugno 2009, aveva inviato il 10 luglio

In primo grado, il Tribunale aveva ritenuto provata la calunnia solo in ordine
alla accusa mossa all’Allegri di aver impedito illecitamente il ritiro del mobilio,
mentre, relativamente alle minacce di buttar via il mobilio, aveva ritenuto
possibile che l’Allegri, esasperato dal comportamento inadempiente della
Bennati, avesse ecceduto con frasi sconvenienti nei confronti di quest’ultima.
In sede di appello, la Corte territoriale disattendeva le critiche difensive,
volte a dimostrare la fondatezza delle accuse mosse contro l’Allegri e comunque
che di tale fondatezza l’imputata fosse convinta allorquando aveva presentato la

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione l’imputata,
chiedendone l’annullamento.
Con il primo motivo, deduce la violazione di legge (artt. 368 cod. pen.) e
vizio della motivazione, in relazione a due profili.
Per la procedibilità dei fatti denunciati dalla imputata (appropriazione
indebita) era necessaria la querela del legale rappresentante della società
proprietaria del mobilio, mentre nella specie la querela era stata presentata da
persona non legittimata.
Denuncia altresì la mancanza dell’elemento soggettivo del reato, considerato
che i Giudici di merito hanno accertato che solo parte delle accuse erano
realmente fondate.
Con il secondo motivo, denuncia la violazione di norme processuali e vizio di
motivazione in ordine alla mancata assunzione di una prova potenzialmente
decisiva e alla mancata rinnovazione dell’istruzione di dibattimentale (artt. 190,
495 e 603 cod. proc. pen.): la Corte territoriale avrebbe rigettato l’istanza
dell’escussione di un teste, la cui testimonianza era decisiva per stabilire la
veridicità della tesi della parte offesa e del custode dell’immobile circa i tentativi
di ritiro del mobilio parte di persone inviate con apposita delega dalla Bennati.
Con ulteriori censure, deduce la manifesta illogicità della motivazione: per
aver ipotizzato finalità dilatorie nella presentazione della querela, smentite dalle
evidenze processuali.
La parte civile ha depositato una memoria difensiva in cui, nel contrastare i
motivi di ricorso, chiede la conferma della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non ha fondamento alcuno e va dichiarato inammissibile.

querela.

2. La censura in ordine alla procedibilità del reato oggetto di incolpazione è
manifestamente infondata.
Il reato in questione di appropriazione indebita era invero aggravato ai sensi
dell’art. 61, primo comma, n. 11 cod. pen., in quanto l’imputata aveva esposto
nella querela che il mobilio e i documenti erano stati lasciati nei locali della Alcam
alla fine del contratto con l’intesa che sarebbero stati ritirati dopo qualche
giorno.
A tal riguardo va ribadito che, con la manifestazione di volontà del

da parte di questo, di trattenerla fino a quando il primo non gliene chieda la
restituzione, si pone in essere una «relazione fiduciaria» che si concreta in un
vero e proprio rapporto di prestazione d’opera, avente come oggetto un’attività
diretta alla custodia e alla conservazione della cosa stessa da parte
dell’accipiens, nell’interesse e per conto dello altro, e quindi una situazione di
particolare agevolazione per la consumazione del reato di appropriazione
indebita, situazione questa che costituisce il presupposto tipico dell’aggravante
prevista dall’art 61, n. 11 cod. pen. (Sez. 2, n. 1353 del 03/11/1970, dep. 1971,
Rossi, Rv. 116766).
Pertanto,

quanto

prospettato

dalla

imputata

ai

carabinieri,

indipendentemente dalla sua effettiva legittimazione alla proposizione della
querela, consentiva l’inizio del procedimento penale nei confronti dell’Allegri
(come è appunto avvenuto in concreto, avendo questi subito un processo penale
per il reato di cui all’art. 646 cod. pen., aggravato dalla circostanza di cui all’art.
61, primo comma, n. 11 cod. pen.).
La calunnia è infatti reato di pericolo e, ad integrarne gli estremi, è
sufficiente la anche astratta possibilità dell’inizio di un procedimento penale a
carico della persona falsamente incolpata, che non sussiste quando l’esercizio
dell’azione penale sia paralizzato dal difetto di una condizione di procedibilità,
purché tale difetto sia a sua volta evidente ed escluda immediatamente la
possibilità di un seguito alla notizia di reato (ex multis, Sez. 2, n. 15559 del
24/11/2005, dep. 2006, Spadaro, Rv. 234340; Sez. 6, n. 2715 del 10/01/1997,
Marchetti, Rv. 207167).

2. Le critiche relative all’elemento soggettivo del reato di calunnia, versate
nel primo e nell’ultimo motivo, sono parimenti manifestamente infondate.
La motivazione della sentenza impugnata sul punto appare infatti adeguata
e priva di illogicità manifeste o di vizi giuridici.
2.1. I Giudici dell’appello hanno valorizzato, per dimostrare la cosciente
volontà dell’imputata di presentare un’accusa mendace nei confronti dell’Allegri,

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proprietario della cosa, di lasciarla in deposito presso altri, e con l’accettazione,

la strumentalità della querela, quale mero espediente per contrastare le ragioni
di quest’ultimo in una controversia civile che la vedeva soccombente.
La circostanza che per parte delle denunce mosse all’Allegri non sia stata
dimostrata la falsità non viene ad incidere sulla tenuta logica della motivazione,
in quanto la falsa incolpazione non conseguiva ad un convincimento dell’imputata
in ordine a profili essenzialmente valutativi o interpretativi della complessiva
condotta denunciata, quanto piuttosto consisteva nell’esposizione di precise
circostanze di fatto obiettivamente false.

alla Quinto Piano una mail che negava incondizionatamente l’accesso ai locali per
il recupero del mobilio e dei documenti (tant’è che chiedeva ai carabinieri di
poter accedere ai locali), circostanza rivelatasi per tabulas falsa perché la mail
prevedeva al contrario soltanto le modalità di accesso.
2.2. Del tutto prive di decisività sulla logicità della motivazione della
sentenza impugnata sono le critiche in ordine alle finalità dilatorie perseguite
dall’imputata nella presentazione della querela.
La dimostrazione del dolo dell’imputata ha rilevanza in relazione all’unica
condotta calunniosa accertata dai Giudici di merito: l’aver accusato falsamente
l’Allegri di aver impedito alla Quinto Piano di ritirare quanto lasciato in consegna
alla Alcam nei locali precedentemente occupati a titolo di contratto.
Tale accusa, secondo la sentenza impugnata, si iscriveva nella complessiva
strategia dell’imputata di sottrarsi alle pretese economiche dell’Allegri, come tra
l’altro dimostrava l’episodio della transazione, che, quant’anche non oggetto di
contestazione, era idoneo ad illuminare sulle reali intenzioni dell’imputata.
Nella querela, la Bennati aveva infatti denunciato l’Allegri per averla
costretta «con modi violenti» a firmare – all’insaputa della madre,
amministratrice della Quinto Piano – la cessione del credito di 36.000 euro,
vantato da quest’ultima società verso un fallimento, a fronte della somma
effettivamente dovuta, pari a 27.800 euro.
L’istruttoria dibattimentale aveva dimostrato la falsità delle circostanze
riferite sull’episodio dalla Bennati nella querela, in quanto la transazione era
stata proposta dall’imputata (che ne aveva redatto addirittura la bozza) e
conclusa tra quest’ultima e il legale dell’Allegri ed inviata dalla stessa imputata al
curatore fallimentare.
Orbene, la ricostruzione della vicenda da parte della Corte territoriale non
collide affatto logicamente con le circostanze indicate dalla ricorrente: ovvero
che il contratto con la Alcam prevedeva servizi non richiesti; che la Quinto Piano
non aveva opposto il decreto ingiuntivo per 13.400 euro, emesso il 27 gennaio
2009, a favore della Alcam; che gli organi fallimentari avevano sospeso il

Nella querela invero la imputata aveva indicato che l’Allegri aveva inviato

pagamento del credito alla Alcam solo per l’ammissione della falsificazione della
firma della transazione e non per le accuse mosse all’Allegri.
Basti osservare quanto le due prime circostanze che la Bennati non aveva
contestato sino alla presentazione della querela la legittimità delle pretese
economiche della Alcam (risulta accertato in sede di merito che alle richieste di
pagamento di quest’ultima aveva risposto con rassicurazioni dilatorie per circa
un anno). Pertanto, non si comprende invero – né la ricorrente lo deduce – quale
difesa avrebbe potuto giustificare un’opposizione, a fronte di somme

Quanto all’ultima circostanza, è vero che il credito fu bloccato dagli organi
fallimentari con nota del 21 luglio 2009, in attesa che si chiarisse tra le parti la
questione della autenticità della firma apposta, ma la questione non disarticola
affatto il ragionamento logico della sentenza impugnata: all’atto della
presentazione della querela (15 luglio 2009), la Bennati, che aveva
espressamente dichiarato ai carabinieri che non avrebbe pagato la somma
richiesta con la transazione, in quanto estortale con minacce, aveva infatti tutto
l’interesse – in attesa della reazione ancora non nota degli organi fallimentari di avvalorare il disconoscimento della firma da parte della amministratrice legale
della Quinto piano (ovvero della madre), giustificandone i motivi.

3. Anche la censura relativa alla mancata assunzione di una prova
potenzialmente decisiva e alla mancata rinnovazione dell’istruzione di
dibattimentale è manifestamente infondata.
Va preliminarmente rammentato che la «prova decisiva», secondo la
previsione dell’art. 606, lett. d) cod. proc. pen., è la prova che, confrontata con
le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che,
ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero
quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la
struttura portante (tra le tante, Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv.
259323; Sez. 3, n. 27581 del 15/06/2010, M., Rv. 248105).
In ogni caso, secondo un condivisibile principio, la mancata rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello, può costituire violazione
dell’art. 606 , comma primo, lett. d) cod. proc. pen., solo nel caso di prove
sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (Sez. 1, n. 3972 del
28/11/2013, dep. 2014, Inguì, Rv. 259136; Sez. 5, n. 34643 del 08/05/2008,
De Carlo, Rv. 240995).
Nel caso in esame difettavano entrambe le condizioni.
La deposizione del teste Ferranti, incaricato del ritiro dei mobili, che doveva
avvalorare la tesi dell’imputata del rifiuto opposto dall’Allegri, era stata chiesta

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contrattualmente effettivamente dovute.

solo in sede di appello e comunque non era stato neppure prospettato dalla
difesa che fosse stato munito di regolare delega.
Pertanto, la prova richiesta, oltre che già disponibile in primo grado, era
inidonea a contrastare la già acquisita prova documentale che Allegri aveva
consentito alla Quinto Piano il ritiro del mobilio e dei documenti a persone munite
di delega.
Né valgono le considerazioni del ricorrente sulla necessità della prova in
funzione della verifica sul possesso della delega.

delega) non era stata neppure prospettata in sede di richiesta di rinnovazione,
va ribadito che l’istruttoria dibattimentale non deve tradursi, per il suo carattere
eccezionale, in un’attività meramente esplorativa finalizzata alla ricerca di prove
solo eventualmente favorevoli all’imputato (Sez. 3, n. 23058 del 26/04/2013,
Duval Perez, Rv. 256173).
Sulla base di quanto premesso, la mancata rinnovazione dell’istruttoria non
risulta censurabile neppure per il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod.
proc. pen., in quanto la rinnovazione è istituto eccezionale, che può essere
disposto solo se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato
degli atti (tra le tante, Sez. 2, n. 34900 del 07/05/2013, S., Rv. 257086; Sez. 5,
n. 7569 del 21/04/1999, Jovino, Rv. 213637).
Pertanto, il rigetto della relativa richiesta, se logicamente e congruamente
motivato, è incensurabile in sede di legittimità, trattandosi di un giudizio di fatto.
La motivazione nel caso in esame, come sopra esposta, appare pienamente
rispondere ai canoni richiesti.
Né possono essere altrimenti invocate le norme sovranazionali in tema di
diritto alla prova: la Corte europea per i diritti dell’uomo ha affermato, in
relazione all’art. 603 cod. proc. pen., che il rifiuto di ordinare la produzione di
una prova a discarico non viola l’art. 6 CEDU, quando la corte d’appello ritenga come nel caso in esame – l’atto istruttorio richiesto privo d’interesse per il
procedimento, fornendo sul punto argomenti puntuali e logici (Corte EDU, sent.
Bracci c. Italia, del 13/10/2005, § 62).
E’ infatti principio più volte affermato dalla Corte EDU che l’art. 6 cit. non
concede un diritto illimitato all’imputato di ottenere l’audizione in giudizio di
testimoni a discarico, essendo compito dei giudici nazionali stabilire se sia
necessario o opportuno ascoltare un testimone (tra le molte, Corte EDU, sent.
del 10/07/2014, Buglov c. Ucraina, § 116; dec. del 20/01/2005, Accardi c. Italia,
§ 2; dec. 30/01/2003, Mellors c. Regno Unito, § 2; sent. del 04/1991, Asch c.
Austria, § 27).

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A parte la considerazione assorbente che tale circostanza (il possesso della

4. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con
la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non
emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di euro 1.500 a titolo
di sanzione pecuniaria.
Va disposta altresì la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di
rappresentanza e difesa della parte civile Allegri Gianpiero in questa fase, che si
liquidano in euro 3.500 complessivi, oltre IVA e CPA.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500 a favore della cassa delle
ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della
parte civile Allegri Gianpiero in questa fase, che si liquidano in euro 3.500
complessivi, oltre IVA e CPA.
Così deciso il 13/04/2016.

P.Q.M.

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