Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22784 del 25/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 22784 Anno 2016
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: D’ARRIGO COSIMO

SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, nei confronti di:
– Laezza Tommaso, nato a Napoli l’8 agosto 1996
avverso l’ordinanza n. 22218/15 r.g.n.r. e n. 5244/15 r.i.m. caut. pers. emessa
1’11 febbraio 2016 dal Tribunale del riesame di Napoli, in funzione di giudice
d’appello;
Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere dott. Cosimo
D’Arrigo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Massimo
Galli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Libero Mancuso, nell’intesse dell’imputato, che ha
insistito per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Accogliendo l’appello proposto da Tommaso Laezza, il Tribunale del riesame di Napoli, con ordinanza dell’Il febbraio 2016, ha revocato la misura cautelare della custodia in carcere imposta all’indagato per i delitti di estorsione e
lesioni personali, entrambi aggravati ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 152/1991. In
particolare, i giudici di merito – premessa l’intervenuta riqualificazione del delitto
di estorsione in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza
sulle persone già disposta, in sede di riesame, con ordinanza del 24 agosto 2015
– hanno escluso la menzionata circostanza aggravante in relazione a entrambi
capi di imputazione, i quali dunque non raggiungono, per entità della pena edittale, la soglia prevista dall’art. 280 cod. proc. pen.
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Data Udienza: 25/05/2016

Avverso tale decisione ricorre in appello il pubblico ministero, sostanzialmente contestando, sotto il profilo della violazione di legge e della carenza di
motivazione, l’esclusione della aggravante del “metodo mafioso” in relazione al
delitto di lesioni personali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
L’aggravante prevista dall’art. 7 del d.l. n. 152/1991 è stata applicata dal

in essere dal Nobile e dai fratelli Laezza avvalendosi della forza intimidatoria
promanante dalla loro riconosciuta (poco importa se reale o presunta) contiguità
al clan camorristico dominante nella zona, contiguità della quale lo Stufa, al momento del fatto, era, come da lui stesso riferito, pienamente consapevole».
Il Tribunale del riesame è andato di contrario avviso evidenziato che nella
medesima ordinanza si parla di «solo un “trauma contusivo all’emitorace sinistro”, sintomatico di una violenza di non elevata portata» e che la condotta violenta si è estrinsecata in un «contesto estemporaneo […] conseguente ad una iniziativa della stessa p.o. che si è recata motu proprio presso l’abitazione di Laezza Giuseppe, il quale invece sosteneva che doveva rivolgersi a Paci/io per il
pagamento, laddove Stufa […] “era stanco di andare avanti indietro da Acerra”
dove abita il Pacilio».

Tali elementi sono stati ritenuti incompatibili con

l’aggravante del “metodo mafioso”, che si connota per iniziative programmate di
carattere intimidatorio piuttosto che per condotte estemporanee di tipo reattivo.
Si tratta, peraltro, della medesima conclusione cui era pervenuto il Tribunale anche in sede di riesame, con ordinanza del 24 agosto 2015 confermata da questa
Corte con sentenza del 5 febbraio 2016.
Il provvedimento impugnato, pertanto, non è carente di motivazione.
Piuttosto, valorizza taluni elementi a discapito di quegli altri enfatizzati dal g.i.p.;
elementi, peraltro, ricavati dalla stessa ordinanza genetica della misura cautelare, di cui pertanto viene implicitamente messo in luce un certo tasso di contraddittorietà della motivazione.
Né può chiedersi a questa Corte di avallare l’una anziché l’altra ricostruzione. Infatti, ricorre il vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo quando
emergono elementi di illogicità o contraddizioni di tale macroscopica evidenza da
rivelare una totale estraneità fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Sez. 1, n. 3262 del 25/05/1995 – dep. 06/07/1995 – Rv. 202133). In altri termini, occorre che il giudice abbia omesso del tutto di prendere in considerazione il punto sottoposto alla sua analisi, talché la motivazione adottata non
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g.i.p. «apparendo evidente che la tentata estorsione e le lesioni siano state poste

risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è fondata e non contenga gli specifici elementi
esplicativi delle ragioni che possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Sez. 4, n. 10456 del 15/11/1996 – dep. 05/12/1996 Rv. 206322). Quindi, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire
una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato
della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la
verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confu-

ve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti,
né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006 – dep.
03/11/2006, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007 – dep.
28/09/2007, Servidei, Rv. 237652; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007 – dep.
22/02/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Infine, risulta inconducente ai fini della decisione la giurisprudenza di legittimità citata nel ricorso. Si tratta, infatti, di massime relative all’applicazione
dell’aggravante “teleologica” di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., che nulla ha a che
vedere con il caso in esame, tanto più ove si consideri che in concreto – come si
evince dall’ordinanza di applicazione della misura cautelare – l’aggravante di cui
all’art. 7 del d.l. n. 152/1991 è stata contestata solo con riguardo al “metodo” e
non alla “finalità”. Peraltro, diversamente da come sembra opinare il pubblico
ministero ricorrente, il Tribunale del riesame non ha escluso la sussistenza
dell’aggravante in quanto riferita al delitto di cui all’art. 393 cod. pen., non perseguibile per mancanza di querela; al contrario, ha correttamente ponderato
l’applicabilità dell’aggravante con riferimento al delitto di lesioni personali e l’ha
esclusa in concreto per le ragioni di merito sopra illustrare.
Il ricorso deve, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile.
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 maggio 2016.

sa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti, non de-

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