Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22783 del 25/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 22783 Anno 2016
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: D’ARRIGO COSIMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– Brescia Pasquale, nato il 15 maggio 1967
avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Bologna, in funzione di giudice
d’appello n. 1391/15 r.i.m.c.p. (n. 8846/15 r.g.n.r.) emessa in data 11 gennaio
2016.
Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere dott. Cosimo
D’Arrigo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Massimo
Galli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Gregorio Viscomini, nell’intesse dell’imputato, che
ha insistito nei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Pasquale Brescia, già sottoposto alla misura cautelare della custodia in
carcere per il delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso, giusta ordinanza del g.i.p. del Tribunale di Bologna del 28 gennaio 2015 – confermata in sede
di riesame con ordinanza del 2-31 marzo 2015 e con sentenza di questa Corte
dell’8 luglio 2015 – ha proposto istanza di revoca della misura cautelare.
L’istanza è stata rigettata dal competente g.u.p. con ordinanza del 9 dicembre
2015, avverso la quale ha proposto appello, nuovamente rigettato dal Tribunale
del riesame di Bologna con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Ricorre il Brescia, nel frattempo rinviato a giudizio, deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, con particolare riguardo alla perdurante sussistenza delle esigenze cautelari. In particolare
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Data Udienza: 25/05/2016

osserva che i fatti addebitatigli risalgono al 2012 e che, al considerevole tempo
trascorso, si aggiungono due elementi sopravvenuti che avrebbero dovuto convincere i giudici di merito della definitiva rescissione di ogni rapporto con i pretesi altri componenti del sodalizio criminoso. Da un lato, la sua utenza telefonica è
stata fatta oggetto di ulteriore intercettazione nel periodo compreso fra il 6 dicembre 2014 e il 3 febbraio 2015, senza che da ciò emergesse alcun elemento a
suo carico. Dall’altro, egli, divenuto socio e amministratore della “Villa di Corvezzo Renzo s.a.s.”, ha stipulato un contratto di locazione per un appartamento in

luoghi in cui sarebbe radicata la “ndrina” di cui è imputato di appartenere.
Deposita poi, per il tramite del proprio difensore, una memoria contenente motivi aggiunti in cui, sostanzialmente, si ribadisce e puntualizza il contenuto
del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Questa Corte ha chiarito che, poiché il vincolo associativo tra il singolo e
l’associazione mafiosa si instaura nella prospettiva di una futura permanenza in
essa a tempo indeterminato e si protrae sino allo scioglimento della consorteria,
il recesso volontario del deve essere accertato caso per caso in virtù di condotta
esplicita, coerente e univoca e non in base a elementi indiziari di incerta valenza,
quali quelli della età, del subingresso di altri nel ruolo di vertice e dello stabilimento della residenza in luogo in cui si assume non essere operante la cosca
(Sez. 2, n. 25311 del 15/03/2012 – dep. 27/06/2012, Modica e altri, Rv.
253070; Sez. 5, n. 1703 del 24/10/2013 – dep. 16/01/2014, Sapienza e altri,
Rv. 258954). Peraltro, la permanenza del vincolo derivante dalla partecipazione
ad una associazione mafiosa non cessa automaticamente neppure con l’arresto
di un affiliato, dovendosi accertare caso per caso se le due vicende processuali
abbiano determinato la risoluzione del legame associativo (Sez. 2, n. 8027 del
13/11/2013 – dep. 20/02/2014, P.G. e Panzega, Rv. 258789).
Ciò posto, in tema di esigenze cautelari a carico di soggetti indagati di
partecipazione ad associazione mafiosa, la valutazione prognostica sfavorevole
prevista dall’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen., può essere superata solo
quando sia dimostrato che l’associato ha stabilmente rescisso i suoi legami con
l’organizzazione criminosa, con la conseguenza che al giudice di merito incombe
l’esclusivo onere di dare atto dell’inesistenza d’elementi idonei a vincere tale presunzione (Sez. 5, n. 38119 del 22/07/2015 – dep. 18/09/2015, Ascone, Rv.
264727).
Nella specie, il Tribunale ha osservato che gli elementi esposti dal Brescia
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Annone Veneto, sintomo inequivocabile del suo allontanamento definitivo dai

non rivestono quel carattere di novità che consenta di ritenere il venir meno delle esigenze cautelari. Ciò in quanto la locazione di un’unità abitativa in quel di
Annone Veneto non è indicativa della cessazione della sua partecipazione
all’associazione criminale e non dimostra l’imminente trasferimento in Veneto
dell’imputato; si tratta, peraltro, di circostanza già esaminata con provvedimento
del 12 giugno 2015 con quale è stato rigettato l’appello proposto contro altra e
precedente istanza di revoca della misura custodiale. Quanto all’esito negativo
delle intercettazioni telefoniche effettuate fra il 6 dicembre 2014 e il 3 febbraio

fornisce elementi rilevanti.
Tali valutazioni esprimono un apprezzamento di merito che, essendo immune da vizi logici e giuridici, è insindacabile in sede di legittimità.
Il ricorso deve, in conclusione, deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P. Q. M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 maggio 2016.

2015, il Tribunale rileva che la brevità dell’arco temporale in osservazione non

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