Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22779 del 24/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 22779 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA

sul ricorso proposto da SANFILIPPO EMANUELE, nato il 06/03/1993 – nella sua
qualità di Presidente dell’Associazione “PIC Pronto Intervento Cittadino”
avverso l’ordinanza del 10/09/2015 del Tribunale di Agrigento sez. riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. G. Rago;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Enrico Delehaye, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 10/09/2015, il Tribunale del Riesame di Agrigento
rigettava la richiesta di riesame proposta da SANFILIPPO Emanuele – nella sua
qualità di Presidente dell’Associazione “PIC Pronto Intervento Cittadino” – contro
il decreto di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero il 13/07/2015 e
del successivo verbale di perquisizione e sequestri del 21/07/2015.

2. Contro la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione deducendo la VIOLAZIONE DELL’ART. 253 COD.
PROC. PEN. per carenza di motivazione del decreto in quanto il Pubblico Ministero

Data Udienza: 24/05/2016

aveva fatto riferimento alla nota del 13/07/2015 della Guardia di Finanza
(allegata al decreto), limitandosi ad enunciare i titoli di reato senza indicare sulla
base di quali atti i medesimi erano stati ipotizzati (anzi, negando,
espressamente, l’ostensibilità degli atti di indagine fino a quel momento
compiuti).
Inoltre, erano stati sequestrati vari documenti – indicati in due separati
verbali – senza che la Guardia di Finanza operante ne avesse dettagliato il
contenuto, la riconducibilità agli atti del procedimento o la pertinenza ai reati

3. Il Procuratore Generale, in persona del sostituto dott. Enrico Delehaye,
nella sua requisitoria scritta ha chiesto il rigetto del ricorso

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In via preliminare va disattesa l’istanza di rinvio della presente udienza
per l’adesione del difensore all’astensione proclamata dalla Unione delle Camere
penali Italiani, in quanto si tratta di procedimento camerale non partecipato ex
art. 611 cpp.
In tema di sequestro probatorio i principi di diritto fissati dalle SSUU
(sentenza n° 5876/2004 rv 226712) e, poi reiteratamente ribaditi da questa
Corte [Cass. 23215/2004 Rv 229415 – Cass. 9556/2004 Rv 228389 – Cass.
30328/2004 Rv 229127 – Cass. 25966/2004 Rv 22978 – Cass. 35615/2004 Rv
229721 – Cass. 17289/2006 Rv 234532 – Cass. 17711/2004 Rv 232282] sono i
seguenti:

MOTIVAZIONE:

«il ricorso per violazione di legge, ai sensi dell’art. 325.1 c.p.p.,

è ritualmente proponibile per denunciare la mancanza assoluta di
motivazione dell’ordinanza di riesame, confermativa del sequestro
probatorio di cose qualificate come corpo del reato, in ordine al presupposto
della finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti»;

FINALITÀ PROBATORIA:

«il decreto di sequestro probatorio di cose qualificate

come corpo del reato dev’essere necessariamente sorretto da idonea
motivazione, anche in ordine alla concreta sussistenza del presupposto della
finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti» ossia
dell’assicurazione della prova del reato per cui si procede o della
responsabilità dell’autore»;

FUMUS DELICTI:

In sede di riesame del sequestro probatorio, il tribunale deve

stabilire l’astratta configurabilità del reato ipotizzato. Tale astrattezza, però,
non limita i poteri del giudice nel senso che questi deve esclusivamente
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contestati.

”prendere atto” della tesi accusatoria senza svolgere alcun’altra attività, ma
determina soltanto l’impossibilità di esercitare una verifica in concreto della
sua fondatezza. Alla giurisdizione compete, perciò, il potere-dovere di
espletare il controllo di legalità, sia pure nell’ambito delle indicazioni di fatto
offerte dal pubblico ministero. L’accertamento della sussistenza del “fumus
commissi delicti” va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi
rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per
apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno

sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. Pertanto, il tribunale non deve
instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di
garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza
della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che
legittimano il sequestro»: SSUU 23/1996 Riv 206657;
PERTINENZIALITÀ:

la ratio della preventiva determinazione delle cose da

sequestrare nel decreto di cui all’art. 253 c.p.p. sta nell’esigenza di
circoscrivere l’attività di ricerca della prova da parte della P.G. nell’ambito di
attività meramente esecutiva, non essendo previsto un successivo controllo
dell’A.G.. Di conseguenza, il decreto di perquisizione del pubblico ministero,
che pure non indichi cose specifiche, ma le individui per genere con
riferimento alla loro natura, destinazione e pertinenza al reato, è
autorizzazione sufficiente per il sequestro di quelle rinvenute che abbiano
tali caratteri, di talché deve escludersi in proposito che si tratti di attività
d’iniziativa della polizia giudiziaria, soggetta a convalida. Invero altro è il
generico riferimento a “quanto rinvenuto” in sede di perquisizione, altra è
l’indicazione di un genere di cose, che attraverso la specificazione di
elementi fattuali, desunti dalla già acquisita notizia di reato, consenta di
delimitare l’apposizione del vincolo a quelle cose che, nell’ambito di quel
genus, risultino avere le caratteristiche preventivamente indicate dal P.M.,
senza alcuna valutazione discrezionale da parte degli operatori di P.G.: Cass.
18418/2003; Cass. 12263/2008 Rv. 239752. Conseguenza di tale principio è
che «l’esecuzione ad opera della polizia giudiziaria di un decreto con cui il
pubblico ministero abbia ordinato la perquisizione e il sequestro delle cose
pertinenti al reato senza alcun’altra specificazione comporta la necessità che
il pubblico ministero provveda alla convalida o alla eventuale restituzione
delle cose sequestrate»: Cass. 35138/2010 Rv. 248337; Cass. 43282/2008
Rv. 241727.
2. Il Tribunale del Riesame si è puntualmente attenuto ai suddetti principi di
diritto posto che:

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valutati così come esposti, al fine dì verificare se essi consentono di

a) ha verificato che il decreto di sequestro era sufficientemente motivato in
quanto ad esso era allegata la nota della Guardia di Finanza alla quale il Pubblico
Ministero si era richiamato “quanto alle ragioni e finalità istruttorie connesse
all’atto” (pag. 1 ordinanza impugnata): sul punto, quindi, inammissibile deve
ritenersi la doglianza con la quale il ricorrente sostiene che la motivazione del
decreto era “vaga e generica” (pag. 8 ricorso);
b) ha accertato la configurabilità del fumus dei reati ipotizzati (associazione
per delinquere finalizzata alla commissione di falsi e truffe ai danni dell’ASP di

riciclaggio ed auto riciclaggio), desumibile dalla suddetta «nota della Guardia di
Finanza nonché dalla informativa di Polizia Giudiziaria redatta nel p.p. n.
5123/14 allegata dal Pubblico Ministero nel corso dell’udienza»: pag. 4-5
dell’ordinanza impugnata: è manifestamente infondata, quindi, la censura con la
quale il ricorrente sostiene che i suddetti atti non sarebbero sufficienti neppure a
configurare il fumus delicti e che il Pubblico Ministero avrebbe dovuto rendere
ostensibili alla difesa tutti gli atti indagine (pag. 8 ss del ricorso). Infatti, posto
che il Tribunale non deve instaurare un processo nel processo correttamente si è
limitato ad accertare la sussistenza del “fumus commissi delicti” sotto il solo
profilo della congruità degli elementi rappresentati. Palesemente erronea, quindi,
è la pretesa del ricorrente di conoscere, in questa fase d’indagine, il contenuto di
tutta l’istruttoria compiuta dal Pubblico Ministero al fine di valutare, funditus, la
configurabilità dei reati sui quali il Pubblico Ministero sta indagando;
c) ha appurato che nel decreto erano stati individuati «in modo adeguato i
beni su cui apporre il vincolo reale» e che i medesimi erano pertinenziali rispetto
ai reati per cui stava procedendo. Risulta dallo stesso ricorso (pag. 1) che il
Pubblico Ministero aveva indicato come corpo del reato o comunque cose di
pertinenza al reato che avrebbe dovuto essere sequestrate «in specie
documentazione contrattuale ed extracontrattuale, denaro e/o titoli di credito
inerenti la richiesta, l’ottenimento e la concessione dei contributi pubblici a
favore degli enti gestiti dagli indagati, relativamente agli anni dal 2010 al 2015
e/o comunque utili alle indagini, la cui acquisizione è necessaria al fine di
dimostrare la commissione dei reati oggetto di indagine e l’eventuale
responsabilità di altri correi». Il tribunale, quindi, ha correttamente applicato il
consolidato principio di diritto supra

richiamato (Cass. 18418/2003; Cass.

12263/2008 Rv. 239752) in quanto il P.M. non si è limitato ad una generica
indicazione di pertinenza di quanto (eventualmente) rinvenuto in sede di
perquisizione ma ha espressamente ed analiticamente indicato il genere di
documentazione che doveva essere sequestrata, dando, quindi, indicazioni
idonee a individuare con sufficiente certezza l’oggetto specifico del sequestro e a
circoscrivere in termini precisi l’attività di ricerca ed acquisizione da parte della
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Agrigento e Caltanissetta a danno del Ministero del Lavoro, oltre a ipotesi di

P.G., sottraendola a qualsiasi scelta discrezionale degli operanti: cfr pag. 3
ordinanza impugnata.

3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma
dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria
consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa
delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti

P.Q.M.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso e
CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 24/05/2016

dal ricorso, si determina equitativamente in C 1.500,00.

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