Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22777 del 24/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 22777 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1.

PELONERO ANTONIO n. il 11/03/1957;

2.

LO MONACO MICHELA n. il 24/08/1959

avverso l’ordinanza del 10/09/2015 del Tribunale di Agrigento sez. riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. G. Rago;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Giuseppina Fodaroni, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 10/09/2015, il Tribunale del Riesame di Agrigento
rigettava la richiesta di riesame proposta da PELONERO Antonio e LO MONACO
Michela contro il decreto di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero il
13/07/2015 e del successivo verbale di perquisizione e sequestri del
21/07/2015.

2. Contro la suddetta ordinanza, entrambi gli indagati, a mezzo del proprio
difensore, hanno proposto ricorso per cassazione deducendo:
2.1. la

VIOLAZIONE DELL’ART.

253

COD. PROC. PEN.

per carenza di motivazione del

decreto in quanto il Pubblico Ministero aveva fatto riferimento alla nota del

Data Udienza: 24/05/2016

13/07/2015 della Guardia di Finanza (allegata al decreto), limitandosi ad
enunciare i titoli di reato senza indicare sulla base di quali atti i medesimi erano
stati ipotizzati (anzi, negando, espressamente, l’ostensibilità degli atti di indagine
fino a quel momento compiuti);
2.2.

VIOLAZIONE DELL’ART.

253

COD. PROC. PEN.

per omessa motivazione in

ordine alle finalità probatorie del sequestro.

3. Il Procuratore Generale, in persona del sostituto dott.ssa Giuseppina

inammissibile

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In via preliminare va disattesa l’istanza di rinvio della presente udienza per
l’adesione del difensore all’astensione proclamata dalla Unione delle Camere
penali Italiani, in quanto si tratta di procedimento camerale non partecipato ex
art. 611 cpp.
In tema di sequestro probatorio i principi di diritto fissati dalle SSUU
(sentenza n° 5876/2004 rv 226712) e, poi reiteratamente ribaditi da questa
Corte [Cass. 23215/2004 Rv 229415 – Cass. 9556/2004 Rv 228389 – Cass.
30328/2004 Rv 229127 – Cass. 25966/2004 Rv 22978 – Cass. 35615/2004 Rv
229721 – Cass. 17289/2006 Rv 234532 – Cass. 17711/2004 Rv 232282] sono i
seguenti:

MOTIVAZIONE:

«il ricorso per violazione di legge, ai sensi dell’art. 325.1 c.p.p.,

è ritualmente proponibile per denunciare la mancanza assoluta di
motivazione dell’ordinanza di riesame, confermativa del sequestro
probatorio di cose qualificate come corpo del reato, in ordine al presupposto
della finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti»;

FINALITÀ PROBATORIA:

«il decreto di sequestro probatorio di cose qualificate

come corpo del reato dev’essere necessariamente sorretto da idonea
motivazione, anche in ordine alla concreta sussistenza del presupposto della
finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti» ossia
dell’assicurazione della prova del reato per cui si procede o della
responsabilità dell’autore»;
FUMUS

DELic-n: In sede di riesame del sequestro probatorio, il tribunale deve

stabilire l’astratta configurabilità del reato ipotizzato. Tale astrattezza, però,
non limita i poteri del giudice nel senso che questi deve esclusivamente
“prendere atto” della tesi accusatoria senza svolgere alcun’altra attività, ma
determina soltanto l’impossibilità di esercitare una verifica in concreto della

2

Fodaroni, nella sua requisitoria scritta, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato

sua fondatezza. Alla giurisdizione compete, perciò, il potere-dovere di
espletare il controllo di legalità, sia pure nell’ambito delle indicazioni di fatto
offerte dal pubblico ministero. L’accertamento della sussistenza del “fumus
commissi delicti” va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi
rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per
apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno
valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di
sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. Pertanto, il tribunale non deve

garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza
della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che
legittimano il sequestro»: SSUU 23/1996 Riv 206657;
PERTINENZIALITÀ:

la ratio della preventiva determinazione delle cose da

sequestrare nel decreto di cui all’art. 253 c.p.p. sta nell’esigenza di
circoscrivere l’attività di ricerca della prova da parte della P.G. nell’ambito di
attività meramente esecutiva, non essendo previsto un successivo controllo
dell’A.G.. Di conseguenza, il decreto di perquisizione del pubblico ministero,
che pure non indichi cose specifiche, ma le individui per genere con
riferimento alla loro natura, destinazione e pertinenza al reato, è
autorizzazione sufficiente per il sequestro di quelle rinvenute che abbiano
tali caratteri, di talché deve escludersi in proposito che si tratti di attività
d’iniziativa della polizia giudiziaria, soggetta a convalida. Invero altro è il
generico riferimento a “quanto rinvenuto” in sede di perquisizione, altra è
l’indicazione di un genere di cose, che attraverso la specificazione di
elementi fattuali, desunti dalla già acquisita notizia di reato, consenta di
delimitare l’apposizione del vincolo a quelle cose che, nell’ambito di quel
genus, risultino avere le caratteristiche preventivamente indicate dal P.M.,
senza alcuna valutazione discrezionale da parte degli operatori di P.G.: Cass.
18418/2003; Cass. 12263/2008 Rv. 239752. Conseguenza di tale principio è
che «l’esecuzione ad opera della polizia giudiziaria di un decreto con cui il
pubblico ministero abbia ordinato la perquisizione e il sequestro delle cose
pertinenti al reato senza alcun’altra specificazione comporta la necessità che
il pubblico ministero provveda alla convalida o alla eventuale restituzione
delle cose sequestrate»: Cass. 35138/2010 Rv. 248337; Cass. 43282/2008
Rv. 241727.
2. Il Tribunale del Riesame si è puntualmente attenuto ai suddetti principi di
diritto posto che:
a) ha verificato che il decreto di sequestro era sufficientemente motivato in
quanto ad esso era allegata la nota della Guardia di Finanza alla quale il Pubblico

3

instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di

Ministero si era richiamato “quanto alle ragioni e finalità istruttorie connesse
all’atto” (pag. 1 ordinanza impugnata);
b) ha accertato la configurabilità del fumus dei reati ipotizzati (associazione
per delinquere finalizzata alla commissione di falsi e truffe ai danni dell’ASP di
Agrigento e Caltanissetta a danno del Ministero del Lavoro, oltre a ipotesi di
riciclaggio ed auto riciclaggio), desumibile dalla suddetta «nota della Guardia di
Finanza nonché dalla informativa di Polizia Giudiziaria redatta nel p.p. n.
5123/14 allegata dal Pubblico Ministero nel corso dell’udienza»: pag. 3-4

quale il ricorrente sostiene che i suddetti atti non sarebbero sufficienti neppure a
configurare il fumus delicti e che il Pubblico Ministero avrebbe dovuto rendere
ostensibili alla difesa tutti gli atti indagine. Infatti, posto che il Tribunale non
deve instaurare un processo nel processo, correttamente si è limitato ad
accertare la sussistenza del “fumus commissi delicti” sotto il solo profilo della
congruità degli elementi rappresentati. Palesemente erronea, quindi, è la pretesa
del ricorrente di conoscere, in questa fase d’indagine, il contenuto di tutta
l’istruttoria compiuta dal Pubblico Ministero al fine di valutare,

funditus,

la

configurabilità dei reati sui quali il Pubblico Ministero sta indagando e rispetto ai
quali il tribunale ha indicato le fonti di prova (pag. 4) allo stato ampiamente
sufficienti a far ritenere la configurabilità del fumus delicti;
c) ha appurato che nel decreto erano stati individuati «in modo adeguato i
beni su cui apporre il vincolo reale» e che i medesimi erano pertinenziali rispetto
ai reati per cui stava procedendo (pag. 4-5), disattendendo, quindi, l’allegazione
difensiva (pag. 5).
3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma
dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria
consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa
delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in C 1.500,00 ciascuno
P.Q.M.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso e
CONDANNA
i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della
somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 24/05/2016

dell’ordinanza impugnata: è manifestamente infondata, quindi, la censura con la

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