Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22752 del 04/02/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 22752 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DELZOTTO VITO N. IL 01/09/1957
avverso la sentenza n. 210/2013 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
20/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNI DIOTALLEVI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mute- 241
che ha concluso per

,e,(

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udii i difensor Avv.

Data Udienza: 04/02/2016

RITENUTO IN FATTO

Del Zotto Vito ricorre, per il tramite del difensore di fiducia, avverso la sentenza della Corte
d’appello di Brescia in data 20 maggio 2014 la quale, in parziale riforma della sentenza del
Tribunale di Brescia in data 17 luglio 2012, lo ha condannato ad anni 2 mesi 6 di reclusione ed
euro 7.600,00 di multa in relazione al reato di cui all’art. 644, commi 1 e 5, n. 4 c.p.

a) Inosservanza degli artt. 133 c.p. e 62 bis c.p., ai sensi dell’art 606, comma 1 lett. c).
La difesa lamenta l’illogicità del procedimento operato dal Tribunale e confermato dalla
Corte d’appello in relazione alla commisurazione della pena in senso stretto ed al
giudizio di bilanciamento fra le attenuanti generiche e la contestata aggravante ex art.
644 n. 4 c.p.; detto giudizio avrebbe condotto i giudici di merito a concludere
erroneamente per l’equivalenza delle circostanze suddette, negando la prevalenza delle
attenuanti generiche sulla contestata aggravante. Si deduce, conseguentemente,
l’illogicità della motivazione nel giudizio di bilanciamento.
Altra doglianza della difesa fa riferimento alla mancata esclusione dell’aggravante
contestata di cui all’art. 644, comma 5, n.4 c.p., adducendo che nel caso di specie
mancano i presupposti per la sua applicabilità, essendo i prestiti erogati dall’imputato
alla persona offesa destinati non già al mantenimento in vita dell’attività esercitata dalla
stessa o ad investimenti produttivi, bensì al gioco d’azzardo cui questa era solita.
b) Il diniego della richiesta di rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale, ai sensi
dell’art. 606, comma 1 lett. d).
La difesa sottolinea che la prova richiesta, cioè l’accertamento dei conti correnti
personali e dell’azienda della persona offesa, avrebbe assunto carattere decisivo come
riscontro rispetto alle dichiarazioni della stessa.
c) Contraddittorietà ed illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1 lett. e) c.p.p.
laddove, mentre definisce inattendibili le dichiarazioni dell’imputato perché in contrasto
con le allegazioni di cui ad una precedente memoria nonché con altre precedenti
dichiarazioni, definisce per contro attendibili quelle della persona offesa, sebbene
caratterizzate da talune approssimazioni e imprecisioni, che la Corte giustifica in
ragione della “trama articolata a protratta dei fatti”.
La difesa censura altresì l’avallo prestato dai giudici di merito alle conclusioni del
Consulente del Pubblico Ministero il quale, a suo dire, si sarebbe limitato ad effettuare
operazioni aritmetiche sulle sole dichiarazioni della parte offesa, peraltro prive di
riscontro.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Osserva la Corte che il ricorso è manifestamente infondato.
Nel ricorso si prospettano esclusivamente valutazioni di elementi di fatto, divergenti da
quelle cui è pervenuto il giudice d’appello con motivazioni congrue ed esaustive, previo
specifico esame degli argomenti difensivi attualmente riproposti (si veda in particolare il
riferimento alla condizione personale dell’imputato e alla gravità dei fatti, che
giustificano il calcolo operato dai giudici di merito e i criteri di dosimetria della pena
utilizzati v. pagg. 24 e 25 della sentenza d’appello). La sussistenza delle aggravanti
contestate appare esente da censure logico giuridiche rispetto alle emergenze
probatorie (v. pag. 25 della sentenza d’appello).
Le valutazioni di merito sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di
valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro

A sostegno dell’impugnazione deduce:

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
febbraio 2016
Ro a
DEPOSITATO IN CANCELLERIA
SECONDAtEdIOHNAEGPW

da vizi logici, come nel caso di specie. (Cass. pen. sez. un., 24 novembre 1999, Spina,
214794).
Correttamente , poi , la Corte di merito ha motivato in ordine alla insussistenza della
necessità di riaprire l’istruttoria dibattimentale in appello. Il giudice di appello
respingendo la specifica richiesta di parte di rinnovazione del dibattimento dando conto
conto dell’assenza di decisività degli incombenti proposti e cioè della loro inidoneità ad
eliminare contraddizioni nei dati già raccolti o ad inficiarne la loro valenza, (Sez. 5, n.
15606 del 03/12/2014 – dep. 15/04/2015, Cucinelli, Rv. 263259), ( v. pagg. 21 e ss
della sentenza d’appello).
Allo steso modo appaiono infondate le censure sollevate con il terzo motivo di ricorso.
L’inattendibilità delle dichiarazioni dell’imputato è stata ritenuta all’esito di un corretto
vaglio critico del contenuto delle sue varie dichiarazioni, che hanno evidenziato una
serie di contraddittorietà insanabili rispetto alla coerenza intrinseca delle giustificazioni
addotte.
Al contrario le dichiarazioni della parte offesa – cui non si applicano le regole dettate
dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. – sono state legittimamente poste a
fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, anche attraverso
una previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le
dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità
soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, in cui le
approssimazioni evidenziate dalla difesa non sono state ritenute sufficienti ad attribuire
– in via preventiva e presuntiva – una valenza invalidante della credibilità della stessa
persona offesa, ritenendo così immune da censure la decisione di merito che ha ritenuto
attendibili le dichiarazioni in questione ( si veda pagg. 7,8 e seguenti della sentenza
d’appello)(Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015 – dep. 27/10/2015, Manzini, Rv. 265104;
Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep. 24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).
La censura , infine , sollevata nei confronti della consulenza eseguita dal consulente del
pubblico ministero, appare generica rispetto alle conclusioni raggiunte, anche valutate
alla luce del complessivo quadro probatorio esistente (v. pag. 12 e ss. della sentenza
d’appello). Il motivo è privo della specificità, prescritta dall’art. 581, lett. c), in
relazione all’art 591 lett. c) c.p.p., a fronte delle motivazioni svolte dal giudice
d’appello, che non risultano viziate da illogicità, visto il corretto riferimento alle
deposizioni testimoniali, compresa quella stesso consulente (v. pag. 21,22,23 della
sentenza d’appello);
questa corte ha stabilito che “La mancanza nell’atto di impugnazione dei requisiti
prescritti dall’art. 581 cod. proc. pen. – compreso quello della specificità dei motivirende l’atto medesimo inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a
produrre, quindi, quegli effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una
pronuncia diversa dalla dichiarazione di inammissibilità”. (Cass. pen., sez 1, 22.4.97,
Pace, 207648).
Uniformandosi a tale orientamento che il Collegio condivide, va dichiarata inammissibile
l’impugnazione.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dai ricorso, si
determina equitativamente in Euro 1000.

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