Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22747 del 25/09/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 22747 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE della REPUBBLICA presso il TRIBUNALE di MARSALA
nei confronti di:
ANGILERI GISELLA, nata a Marsala il 12/06/1985,
avverso l’ordinanza n. 79/2015 TRIBUNALE di PALERMO del
30/01/2015;

visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del
Sostituto Procuratore generale dott. Aurelio Galasso, che ha chiesto
il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Giovanni Gaudino, in sostituzione dell’avv.
Giampaolo Agate, che ha chiesto il rigetto del ricorso ovvero la
declaratoria della sua inammissibilità con i provvedimenti
consequenziali.

Data Udienza: 25/09/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 30 gennaio 2015, il Tribunale di Palermo, costituito ai
sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha accolto la richiesta di riesame proposta
avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa il 5 gennaio 2015
dal G.i.p. del Tribunale di Marsala nei confronti di Angileri Gisella, sottoposta a
indagini per il delitto di omicidio pluriaggravato di Srat Riadh e per i connessi

il 10 giugno 2010 e contestati ai capi a), b) e c) della imputazione provvisoria,
annullando l’ordinanza impugnata e disponendo l’immediata scarcerazione della
predetta.
All’indagata era, in particolare, contestato di avere concorso con
Mangiaracina Giovan Battista, Galla Vincenzo, Romeo Giovan Vito e Ibnnnahjoub
Arafet nell’indicato omicidio, che era conseguito, secondo la descrittiva
imputazione, all’azione di due gruppi di fuoco distinti, che si erano trovati
contemporaneamente nello stesso luogo senza previo accordo, composti il primo
da Romeo, Galla e dall’indagata e il secondo da Mangiaracina e Ibnmahjoub
Arafet:
– Romeo aveva istigato e determinato Galia a commettere l’omicidio e, dopo
avere concordato con la vittima un incontro in orario notturno nella zona
scarsamente abitata di Capo Feto, si era ivi recato con Galla e l’indagata, e,
mentre quest’ultima aspettava in disparte, Galia e Romeo avevano esploso tre
colpi di pistola nei confronti della vittima, attinta da due colpi al torace e uno al
polso;
– Mangiaracina, che aveva concordato con la vittima un incontro nello stesso
luogo, era andato con Ibnmahjoub Aràfet, con separate autovetture e, alla
presenza di questi, aveva sparato con arma diversa due colpi alla testa della
vittima, già attinta da colpi di pistola in parti vitali ma ancora viva;
– la vittima era deceduta a seguito di tali fatti per “arresto cardiocircolatorio
secondario alle gravi lesioni cranio-encefaliche e toraciche determinate da colpi
d’arma da fuoco a canna corta”.
Erano contestate a tutti i coindagati l’aggravante di avere agito per motivi
futili e abietti, correlati alla volontà di liberarsi di un concorrente scomodo nel
commercio degli stupefacenti e di non saldare i debiti che avevano per pregresse
forniture di eroina loro effettuate dallo stesso, oltre alle aggravanti di avere agito
con premeditazione e in circostanze di tempo e di luogo tali da ostacolare la
pubblica e privata difesa.

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delitti di detenzione illegale e porto di una pistola, commessi in Mazara del Vallo

2. Il Tribunale, dopo avere richiamato i principi di diritto regolanti il riesame
della misura cautelare, riteneva che per la ricostruzione del fatto potesse farsi
riferimento al titolo custodiale e alla richiesta del Pubblico Ministero in esso
ripresa.
2.1. Nella richiesta di misura cautelare il nucleo essenziale del compendio
indiziario a carico degli indagati era costituito dalle dichiarazioni rese al Pubblico
Ministero il 7 dicembre 2012 da Bonasoro Maria, in qualità di persona indagata in
procedimento connesso, con l’assistenza del difensore.

successivamente al ritrovamento, avvenuto 1’11 giugno 2010 in un terreno in
contrada Capo Feto (tra Mazara del Vallo e Marsala) del cadavere di Srat Riadh,
pregiudicato per vari reati e inserito nell’ambiente dello spaccio di sostanze
stupefacenti, le indagini erano proseguite in molteplici direzioni senza la
individuazione dei responsabili del fatto.
2.2. Detta Bonasoro era stata già sentita in qualità di persona informata sui
fatti dalla Polizia giudiziaria in più occasioni tra il 10 settembre 2010 e il 15 luglio
2011, dichiarando in un primo momento di avere assistito alla diretta
dell’omicidio, ascoltando particolari durante una conversazione telefonica con
Srat mentre era aggredito e ucciso, e riferendo, successivamente, a seguito della
contestazione della circostanza che dall’esame dei tabulati telefonici non era
risultato un suo contatto con lo stesso, di avere assistito all’omicidio perché
nascosta tra la vegetazione, di avere accompagnato Srat a Capo Feto per fargli
compagnia, dopo che lo stesso gliene aveva fatto richiesta, e di sapere che egli
doveva avere dei soldi da qualcuno.
Sulla base di tali dichiarazioni, accompagnate da individuazioni fotografiche
di persone e di luoghi, il Pubblico Ministero aveva già chiesto una prima volta
l’applicazione di misura cautelare nei confronti degli indicati indagati, che il G.i.p.
aveva respinto il 22 maggio 2012 sul rilievo della loro inutilizzabilità ai sensi
dell’art. 63, comma 2, cod. pen., in quanto la dichiarante doveva essere sentita
in qualità di persona sottoposta a indagini per essere emersi a suo carico
(quantomeno al momento della seconda escussione del 26 novembre 2010)
concreti inizi di reità per due reati di favoreggiamento personale di cui all’art.
378 cod. pen.
La donna, secondo il giudizio del G.i.p., si era mostrata reticente quando
aveva riferito in ordine a una sua inesistente telefonata con Srat, ed era
verosimile, contrariamente a quanto riferito, che si fosse prestata ad
accompagnare Srat a Capo Feto per ricevere in consegna il denaro ottenuto dalla
prevista cessione di droga, attesa l’abitudine del medesimo, come dalla stessa
affermato, di farsi accompagnare da persona di fiducia per non circolare con

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Tale centralità delle dichiarazioni conseguiva alla circostanza che,

denaro e insospettire le forze dell’ordine in caso di controllo.
2.3. La richiesta di misura cautelare era stata reiterata, dopo che l’indicata
Bonasoro, iscritta nel registro degli indagati per favoreggiamento, era stata
sentita in qualità di indagata di reato connesso il 7 dicembre 2012.
Il G.i.p., accogliendo la richiesta con l’ordinanza del 5 gennaio 2015, aveva
evidenziato che, essendo stata nel frattempo archiviata la posizione della
Bonasoro, tutte le sue dichiarazioni, anche le precedenti, potevano ritenersi
utilizzabili quale prova autonoma senza la necessità di riscontri individualizzanti.

– le dichiarazioni rese dalla Bonasoro con le forme delle sommarie
informazioni testimoniali non potevano essere ritenute inutilizzabili, potendo
escludersi che sin dall’inizio gli elementi acquisiti consentissero di ipotizzare
elementi di reità a carico della stessa per i due reati di favoreggiamento
ipotizzati, poiché, quanto alla prima ipotesi di favoreggiamento (relativa agli
autori dell’omicidio), essa si era presentata spontaneamente ai Carabinieri
affermando di essere a conoscenza di informazioni sull’omicidio e indicando
Mangiaracina e Ibnmahjoub, insieme ad altri, quali possibili soggetti coinvolti nel
delitto, che in tal modo non aveva inteso favorire, e, quanto alla seconda ipotesi
di favoreggiamento in favore di Srat, l’improvvisa uccisione dello stesso aveva
reso impossibile oltre che inutile la commissione di qualsiasi condotta di
favoreggiamento personale in suo favore;
– le indicate dichiarazioni, in ogni caso, anche ove ritenute sanzionate ex art.
63, comma 2, cod. proc. pen., avrebbero potuto essere utilizzate ai fini della
valutazione della credibilità delle successive dichiarazioni rese con le forme
dell’interrogatorio;
– il contenuto delle dichiarazioni rese a più riprese dalla Bonasoro, tuttavia,
era

“così ricco di contrasti, divergenze, difformità, inverosimiglianze e

suggestioni” da far sorgere enormi perplessità sulla credibilità della dichiarante e
da non rendere ricostruibile in maniera logica e consequenziale la dinamica degli
accadimenti anche con riguardo al nucleo essenziale del fatto, come il numero e
la sequenza degli spari, il ruolo dei soggetti coinvolti o il loro numero.
2.5. Secondo il Tribunale, che tralasciava le iniziali dichiarazioni poi
ritrattate, erano individuabili signifiathgelementi di contrasto:
– nella prima versione del 26 novembre 2010, la Bonasoro, riferendo di
avere assistito all’omicidio nascosta tra la vegetazione, aveva dichiarato, tra
l’altro, di avere visto due uomini parlare con Srat che li aveva chiamati

“i

marsalesi”, uno di spalle e l’altro in viso, che aveva poi descritto; l’uomo più alto
tra i due, che aveva afferrato per il colletto del giubbotto Srat, conducendolo in
un casolare, aveva sparato due colpi contro lo stesso, attingendolo alla mano e

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2.4. Il Tribunale, tanto premesso, rilevava che:

al fianco/pancia, facendolo cadere e sollevandolo poi da terra; essa spaventata si
era allontanata di corsa, incontrando all’altezza di un casolare il già conosciuto
Gianni Mangiaracina con il tunisino Arafet, che pure conosceva; Mangiaracina
avvicinatosi ai due aggressori, aveva detto loro “ah, gli avete dato le caramelle,
ora tocca a me”, e, mentre i due erano scappati, aveva sparato due colpi alla
nuca di Srat, che era deceduto; essa, non riuscendo a usare il ciclomotore della
vittima, era rincasata a piedi stravolta dicendo al convivente di avere litigato con
il fratello per difendere il padre. Tale versione contrastava con l’esame autoptico

la circostanza riferita dalla Bonasoro circa il suo tentativo di fuggire usando il
ciclomotore di una persona appena uccisa; non erano affidabili le individuazioni
fotografiche dei sospettati, eseguite dalla stessa sulla base della esibizione da
parte della Polizia giudiziaria di foto singole di Galia (riconosciuto come il primo
sparatore), di Mangiaracina (riconosciuto come il secondo sparatore) e di Arafet
(riconosciuto come il soggetto che era in compagnia di Mangiaracina), né quelle
delle immagini consecutive delle sole autovettura di proprietà di ciascuno degli
indagati ovvero del tipo di quelle dagli stessi utilizzate, ed erano da ritenere
suggestive le individuazioni successive fatte mostrando alla predetta album
contenenti anche le indicate foto;
– nella successiva versione del 7 febbraio 2011 la teste aveva riferito di
avere visto in volto anche la persona che era con Galia, che aveva indicato in
Romeo e riconosciuto nell’unica foto esibitale, e di spalle una quinta persona
appoggiata a un’autovettura, aggiungendo di essere riuscita a scorgere soltanto
la testa e i capelli, che sporgevano rispetto al tetto dell’auto, di detta persona,
che era rimasta sempre immobile nella stessa posizione e che nella ipotesi
accusatoria era stata individuata nell’indagata Angileri, che aveva in uso
un’autovettura di quel tipo, intestata alla sorella, ed era in rapporti illeciti con gli
altri indagati e la vittima;
– il 16 giugno 2011 la teste aveva poi escluso di avere visto la zona corporea
della vittima attinta dai primi spari e, descrivendo modalità diverse del delitto,
aveva anche escluso di potere riconoscere tra i responsabili Arafet;
– il successivo 15 luglio 2011 la medesima teste aveva espresso la sua
certezza circa la identificazione del tunisino con Arafet, che aveva riconosciuto
fotograficamente unitamente a Mangiaracina, a Romeo e a Galia;
– sentita con le forme dell’interrogatorio il 7 dicembre 2012 la teste aveva
reso dichiarazioni ancora diverse sulle ragioni per le quali la vittima si era recata
all’appuntamento, abbandonando il precedente riferimento alla cessione
dell’eroina e riferendosi alla riscossione di un credito, e sulla ricostruzione del
fatto, precisando di non essere in grado di riferire chi fosse stato il primo

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che non aveva riscontrato fori di entrata alla nuca del cadavere; era inverosimile

sparatore, di avere visto Srat cadere per terra, di avere sentito un terzo sparo
antecedente all’arrivo di Mangiaracina e di desumere “dall’autovettura e dalla
voce” che vi fosse anche Arafet.
2.6. Gli enunciati passaggi, cui si aggiungevano le contrastanti versioni rese
dalla teste quanto alla scusa fornita al convivente circa il proprio stato di
agitazione al ritorno dall’omicidio, erano dimostrativi, secondo l’analisi svolta,
della sussistenza di una radicale incertezza su quasi tutti gli elementi essenziali,
oggettivi e soggettivi, dell’omicidio (numero delle persone presenti, tempi del

degli sparatori messa in dubbio per tutti tranne che per Mangiaracina, rapporti
tra i supposti due gruppi di fuoco, fasi della vicenda viste direttamente e fasi solo
udite, identità dei soggetti presenti, comportamento di ciascuno).
Le inverosimiglianze, le illogicità e i contrasti erano tali da far supporre che
la teste non fosse stata realmente presente sui luoghi e al momento del fatto, o
che, presente, non avesse ricordi coerenti e certi per motivi ignoti e anche
collegabili alla sua qualità di assuntrice abituale di sostanze stupefacenti, o
avesse riferito sospetti o circostanze apprese nell’ambiente, con conseguente
assenza di univocità del quadro indiziario a sostegno del coinvolgimento dei
soggetti indagati nell’omicidio e nei connessi reati in materia di armi.
2.7. Secondo il Tribunale, mentre la Bonasoro aveva tenuto verso gli
indagati da lei conosciuti un atteggiamento del tutto incompatibile con quello di
una teste oculare dell’omicidio da loro commesso, avendo dichiarato di essere
andata a trovare Arafet, portandogli un regalo per la nascita della figlia, e di
avere continuato a frequentare Mangiaracina, che pure l’aveva minacciata,
accusandolo scherzosamente, le coincidenze tra le sue dichiarazioni e gli esiti
degli accertamenti di polizia giudiziaria e autoptici (quanto alle condizioni della
vittima e ai colpi che l’avevano attinta), ricavabili dalle notizie di cronaca, non
costituivano riscontri oggettivi di particolare pregnanza.
Né, in presenza di dichiarazioni totalmente inaffidabili, garantivano, in
termini di univocità, un giudizio indiziario grave di colpevolezza gli altri elementi
utilizzati nell’ordinanza genetica quali riscontri alle dichiarazioni della Bonasoro,
come la sussistenza di debiti verso la vittima, coinvolgendo lo smercio di droga
all’ingrosso e al minuto esercitato dalla vittima molti soggetti della comunità
mazarese e marsalese; i contatti (e i tentativi di contatto) con la vittima
giustificabili per i loro costanti rapporti commerciali illeciti, riguardanti la
compravendita della sostanza stupefacente, e non necessariamente attinenti a
un agguato omicidiario; il contenuto delle telefonate in cui gli indagati
discutevano dell’evento delittuoso, potendo tale emergenza connettersi alla
comprensibile preoccupazione degli stessi circa il compimento di indagini

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loro arrivo, numero degli spari esplosi, momenti e luoghi delle esplosioni, identità

sull’omicidio di una persona con la quale avevano intrattenuto i detti rapporti
illeciti; la circostanza che la sera dell’omicidio l’indagata avesse mostrato fretta,
conversando con tale Angileri Giuseppe, al quale aveva chiesto di presentarsi
puntuale in una zona della città, risultata poi compatibile con uno spostamento
da Marsala a Mazara del Vallo, trattandosi di dato neutro, compatibile con altre
possibili spiegazioni e idoneo a fornire spunti investigativi e non a fondare o
contribuire a fondare l’ipotesi accusatoria.

della Repubblica presso il Tribunale di Marsala, che, premesso il richiamo alla
vicenda e alle ragioni dell’ordinanza del riesame, ne chiede l’annullamento sulla
base di unico motivo, con il quale denuncia mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen.
3.1. Secondo il ricorrente, il Tribunale ha svolto un ragionamento viziato,
poiché non ha considerato l’analisi che il G.i.p. ha svolto circa la genuinità della
teste Bonasoro, presentatasi spontaneamente ai Carabinieri, e circa la sua
attendibilità anche alla stregua della sua “condizione soggettiva”, non tenendo
conto del fatto che la stessa era stata sentita plurime volte e anche in tempi
molto distanziati dal fatto, senza neppure verificare la possibilità di una
valutazione frazionata delle sue dichiarazioni con riguardo a ciascun indagato.
3.2. Ad avviso del ricorrente, è, innanzitutto, apodittica e contraddittoria
l’affermazione che poteva presumersi che la teste non fosse stata presente sul
luogo dell’omicidio, tenuto conto delle considerazioni espresse nella valutazione
della sussistenza degli indizi di colpevolezza per il delitto di favoreggiamento
personale, avendo il Tribunale ritenuto che la stessa avesse mentito quando
aveva detto ai Carabinieri di non essere stata presente.
Né il Tribunale ha apprezzato le giustificazioni fornite dalla teste circa le
contraddizioni in cui era incorsa nelle sue numerose audizioni, non considerando
che l’assunzione da parte sua quella sera di sostanze stupefacenti non era
emersa dagli atti di indagine, né considerando la condizione psicologica della
stessa che si era assunta la grave responsabilità di rivelare il suo ruolo di teste
oculare di un omicidio, gradualmente rielaborando i particolari della vicenda, e la
possibile influenza delle continue escussioni sulla elaborazione distorta di alcuni
particolari.
3.3. Neppure si è data congrua spiegazione della ritenuta inverosimiglianza
della dinamica dell’omicidio, riferita dalla teste, perché eseguita “in due tempi” e
da soggetti apparentemente non collegati (gruppo Mangiaracina/Ibnmahjoub, da
un lato, e gruppo Romeo/Galia/Angileri, dall’altro), che nei giorni antecedenti e

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3. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore

successivi all’omicidio non avevano avuto contatti telefonici.
È contrastante con i dati obiettivi anche l’affermazione dell’ordinanza in
ordine alla non compatibilità delle dichiarazioni della teste con le risultanze
investigative concernenti l’esame autoptico della vittima per non essere stato
riscontrato un foro di entrata alla nuca, poiché uno dei proiettili è stato trovato
nel cranio, un proiettile è stato esploso a bruciapelo, e un proiettile è penetrato
al di sotto della mandibola, in linea con l’orecchio sinistro, e quindi in zona molto
prossima alla nuca.

solo il 7 febbraio 2011 di avere visto in volto anche la persona che era con Calia,
e cioè Romeo, e di avere notato, di spalle, una quinta persona, mai indicata,
appoggiata a un’autovettura, che la Polizia giudiziaria aveva ipotizzato essere
l’indagata Angileri, non ha, inoltre, adeguatamente apprezzato le ripercorse
spiegazioni fornite dalla teste circa i suoi sopravvenuti ricordi, collegate alla
particolare concitazione del momento e alla gravità del fatto cui aveva assistito,
all’avere visto Galia di profilo e a tratti nel volto, e al non avere parlato della
quinta persona per non essere stata in grado di fornirne una dettagliata
descrizione.
3.5. Ulteriormente dimostrativa della erroneità del processo argomentativo è
la circostanza che il Tribunale, che ha valutato non attendibile il riconoscimento
fotografico dell’autovettura dell’indagata Angileri, non ha considerato che la
sottoposizione alla Bonasoro della foto è avvenuta quale mero corollario della
quasi esatta indicazione del veicolo (“una monovolume, BMW o Mercedes”), e
che, se la Bonasoro non ha riconosciuto l’indagata, non si è pervenuti alla
individuazione della stessa attraverso le dichiarazioni della teste, ma attraverso
una serie di elementi indiziari, raccolti dai Carabinieri e scarsamente apprezzati.
Il Tribunale, inoltre, che non ha precisato quali altri soggetti e per quale
ammontare avessero maturato debiti verso la vittima, non ha neppure
considerato -parlando genericamente di rapporti illeciti con la vittima,
giustificativi dei contatti telefonici con la stessa- i contatti del giorno dell’omicidio
tra la vittima, da un lato, e l’indagata e Romeo, dall’altro, e la non raggiungibilità
dei telefoni di questi ultimi nell’arco temporale dell’omicidio.
Attraverso una sbrigativa motivazione degli elementi indiziari, il Tribunale,
infine, ha finito con il definire neutra la conversazione, invece molto significativa,
delle ore 21.19 del 10 giugno 2010 intercorsa tra l’indagata e tale Angileri
Giuseppe, nel corso della quale, integralmente riportata in ricorso, l’indagata ha
evidenziato di trovarsi in auto e, concitata, ha rappresentato al suo interlocutore,
che voleva incontrarla, di fare presto dovendo urgentemente andare in un luogo
nel quale egli non poteva raggiungerla.

3.4. Il Tribunale, che ha ritenuto strano che la Bonasoro avesse dichiarato

4. Con note difensive depositate in udienza per mezzo del suo difensore,
Angileri Gisella, contestando la fondatezza delle doglianze prospettate dal
ricorrente, chiede il rigetto del ricorso ovvero la declaratoria della sua
inammissibilità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

a carico dell’indagata, odierna ricorrente, di gravi indizi di colpevolezza con
riguardo ai reati di cui alle imputazioni provvisorie, sviluppa censure
inammissibili, perché manifestamente infondate o generiche ovvero non
consentite.

2. Si premette in diritto che le valutazioni da compiersi dal giudice ai fini
dell’adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo
le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo
giudizio prognostico di “elevata probabilità di colpevolezza”, tanto lontano da una
sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure
presuntivo, poiché condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi già acquisiti
dal Pubblico Ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte Cost., sent. n. 121 del
2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent. n. 71 del 1996, sent. n.
432 del 1995).
2.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di misure
cautelari personali, non è richiesto il requisito della precisione e della
concordanza, ma quello della gravità degli indizi di colpevolezza, per tali
intendendosi tutti quegli elementi a carico ancorati a fatti certi, di natura logica o
rappresentativa, che non valgono di per sé a dimostrare, oltre ogni dubbio, la
responsabilità dell’indagato e tuttavia, sottoposti a valutazione incidentale
nell’ambito del sub-procedimento cautelare e presi in considerazione dal giudice
chiamato a pronunciarsi nei modi di cui all’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc.
pen., sono tali da lasciar desumere con elevata valenza probabilistica
l’attribuzione del reato al medesimo (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, Costantino,
Rv. 202002, e, tra le successive, Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, Capriati, Rv.
212998; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, Acanfora, Rv. 227511; Sez. 1, n.
19867 del 04/05/2005, Lo Cricchio, Rv. 232601; Sez. 2, n. 28865 del
14/06/2013, Cardella, Rv. 256657), e la loro valutazione, a norma dell’art. 273,
comma 1-bis, cod. proc. pen. -introdotto dall’art. 11 della legge n. 63 del 2001,
attuativa della legge costituzionale sul giusto processo- deve procedere

1. Il ricorso, che attinge l’ordinanza impugnata quanto alla ritenuta carenza

applicando, tra le altre, le disposizioni contenute nell’art. 192, commi 3 e 4, cod.
proc. pen., che delineano, pertanto, i confini del libero convincimento del giudice
cautelare (tra le altre, Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006Spennato, Rv. 234598;
Sez. 1, n. 22853 del 09/05/2006, Liang, Rv. 234890; Sez. 5, n. 50996 del
14/10/2014, Scalia, Rv. 264213).
2.2. Si rileva ulteriormente, quanto ai limiti del sindacato di legittimità al
riguardo delle proposte censure, che, secondo costante giurisprudenza, la Corte
di cassazione, in materia di misure cautelari personali, non ha alcun potere di

compreso il peso probatorio degli indizi, né di verificare la rispondenza delle
argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata alle acquisizioni
processuali, né di rivalutare le caratteristiche soggettive dell’indagato in
relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura, trattandosi di
apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo del Giudice che ha
applicato la misura o che ne ha valutato il mantenimento o la modifica e del
Tribunale del riesame chiamato a pronunciarsi sulle connesse questioni

de

libertate (tra le altre, Sez. 6, n. 2146 del 25/05/1995, Tontoli, Rv. 201840; Sez.
2, n. 56 del 07/12/2011, dep. 2012, Siciliano, Rv. 251760).
Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, limitato, in relazione
alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che a esso ineriscono, all’esame del
contenuto dell’atto impugnato e alla verifica delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato e dell’assenza d’illogicità evidente, ossia
dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la
valutazione degli elementi indiziari rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che ne governano l’apprezzamento (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino,
Rv. 215828, e, tra le successive, Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova,
Rv. 237012; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698; Sez. 4, n.
26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014,
Contarini, Rv. 261400), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle
risultanze delle indagini (Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391,
e, tra le successive, Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, Marrazzo, Rv. 21 Sez. 5, n.
46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012,
Lupo, Rv. 252178).

3. Svolte le indicate premesse, e passando alla concreta verifica di
legittimità della decisione impugnata, si rileva che il convincimento manifestato
dal Tribunale appare immune da vizi giuridici e logici perché espressione di un
percorso argomentativo ragionevole e corretto nell’applicazione dei criteri di

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revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende oggetto d’indagine, ivi

valutazione del materiale indiziario, congruo con le acquisizioni processuali
richiamate nella decisione e coerente con i principi di diritto fissati da questa
Corte e con le regole della logica e della non contraddizione.
3.1. Il Tribunale, infatti, procedendo dal corretto rilievo che l’impianto
accusatorio si basava essenzialmente sulle dichiarazioni e individuazioni
fotografiche della teste Bonasoro Maria, sentita otto volte a sommarie
informazioni testimoniali e una volta come imputata di reato connesso, ha
sottoposto a preliminare analisi dette dichiarazioni e individuazioni.

e relativi sottoparagrafi del “ritenuto in fatto”, in particolare, ha esaustivamente
e logicamente evidenziato che la predetta Bonasoro, sentita in qualità di persona
informata sui fatti, si era contraddetta sulle modalità (prima per telefono, poi
visive) con cui aveva assistito all’omicidio, sul numero delle persone viste in
volto e sul numero delle persone presenti, sulle modalità dell’azione e su quanto
aveva direttamente percepito; ha ineccepibilmente rimarcato che le
individuazioni fotografiche erano irrituali e suggestive, poiché era risultato che
alla stessa Bonasoro erano state inizialmente mostrate dalla Polizia giudiziaria
operante le singole fotografie dei sospettati e delle autovetture, da lei
riconosciute, e solo successivamente album fotografici contenenti anche
immagini -da comparare- di persone diverse dagli indagati; ha congruamente
rappresentato che il 7 dicembre 2012, nel corso del suo esame assistito, la
medesima aveva reso dichiarazioni ancora diverse sulle ragioni per le quali la
vittima si era recata all’appuntamento e una ulteriore versione della dinamica dei
fatti e delle condotte delle persone presenti e/o riconosciute.
Il Tribunale, criticamente ripercorrendo le divergenze e le inverosimiglianze
ricostruttive offerte dalla Bonasoro e il suo confuso e disarticolato racconto dei
particolari della vicenda, neppure ha prescisso dal sottolineare che l’incoerenza
delle dichiarazioni della teste, analizzate isolatamente e comparativamente,
aveva riguardato, oltre a tutti gli elementi essenziali, oggettivi e soggettivi,
dell’omicidio, anche le scuse fornite dalla stessa al suo convivente circa lo stato
di agitazione manifestato rincasando dopo la descritta vicenda, e dall’enunciare
l’assoluta incompatibilità dei suoi atteggiamenti nei confronti degli indagati, sì
come da essa stessa descritti, con quelli di una teste oculare dell’omicidio di un
amico, da loro commesso.
3.2. La disamina critica ha posto l’accento anche sui tempi delle
dichiarazioni, valorizzandosi la risalenza delle prime a tre mesi dopo l’omicidio, e
ritenendosi tale dato temporale incidente negativamente sulla idonea valenza
quali riscontri oggettivi alle indicate dichiarazioni delle coincidenze tra le stesse e
gli esiti degli accertamenti investigativi e autoptici, conoscibili dalla teste

11

Nel percorso argomentativo seguito, l’ordinanza, sì come sintetizzato sub 2

attraverso le notizie diffusesi in zona attraverso i

media, e, in correlazione

specifica con la posizione dell’indagato, ha messo in coerente evidenza che, in
presenza di dichiarazioni totalmente inaffidabili, gli elementi utilizzati
nell’ordinanza genetica quali riscontri alle dichiarazioni della Bonasoro (come la
sussistenza di debiti verso la vittima, i contatti ovvero i tentativi di contatto con
la stessa, il contenuto delle telefonate) erano non univoci e inidonei di per sé a
sostenere un inadeguato quadro indiziario di colpevolezza.
L’ordinanza ha anche plausibilmente apprezzato come di per sé neutro il

intercettata (delle ore 21.19.34 del 10 giugno 2010), riportata nell’ordinanza
genetica) e alla compatibilità del luogo dell’incontro con uno spostamento da
Marsala a Mazara del Vallo, logicamente rimarcando che la circostanza,
suscettibile di altre possibili spiegazioni rispetto a quella ravvisata a sostegno
dell’ipotesi accusatoria, era certamente idonea quale spunto investigativo ma
non a fondare da sola ovvero a contribuire con le altre acquisizioni a fondare
l’ipotesi stessa.
3.3. Le argomentazioni svolte, strutturalmente coerenti e logicamente
articolate nella svolta analisi della vicenda cautelare, congrue ai dati fattuali
indicati come disponibili -allo stato delle indagini- nei confronti dell’indagata e
rispettose delle regole di diritto che governano, nella procedura

de libertate,

l’apprezzamento degli elementi indiziari in ordine alla qualificata probabilità di
colpevolezza della persona sottoposta a indagini, resistono alle doglianze del
ricorrente.
Tali doglianze, riferite sia al giudizio di complessiva inattendibilità delle
dichiarazioni della Bonasoro sia alla svalutazione degli ulteriori elementi assunti
come indiziari, in realtà affatto privi di univocità e precisione, appaiono
manifestamente infondate nella contestata operata applicazione dei principi che
attengono alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a fini cautelari, e sono,
nella sostanza, volte a sottoporre al giudizio di legittimità, in termini di
contrapposizione argomentativa e confutativa, aspetti esclusivamente attinenti
all’apprezzamento nel merito, che risulta operato in modo né assertivo né
illogico, del materiale indiziario, con richiami, peraltro generici e privi di
autosufficienza, ad atti processuali, cui questa Corte non può accedere, e con
rilievi, che, invasivi di indagini fattuali, si traducono in ragioni diverse da quelle
consentite dalla legge con il ricorso per cassazione.
3.4. Né appare sostenibile sul piano logico la deduzione del ricorrente circa
l’omesso credito riservato dal Tribunale alle giustificazioni fornite dalla Bonasoro,
all’evidenza contrastante con un canone epistemologico fondamentale, alla cui
stregua la verità di un’affermazione non può razionalmente essere ritenuta sulla

12

dato relativo alla particolare fretta espressa dall’indagata nella conversazione

base della definizione che chi parla offre di se stesso e delle sue dichiarazioni,
dovendo, invece, il procedimento di verificazione essere coerentemente compiuto
dall’esterno.
Neppure sono più pertinenti le osservazioni relative alla contestata
valutazione di inattendibilità del riconoscimento fotografico dell’autovettura in
uso all’indagata, connessa alla ritenuta suggestione

“inflitta” alla Bonasoro

attraverso la somministrazione di una sola fotografia da parte della Polizia
giudiziaria, non introducendo elementi di specificità l’affermazione che il veicolo

rispetto a tale indicazione, la individuazione fotografica si è posta quale mero
corollario, con evidente confusione tra elementi indiziari e sospetti e non
esplicata sovrapposizione di metodi di valutazione del quadro indiziario.
Rimane su un piano del pari generico il ribadito riferimento alla
conversazione intercettata delle ore 21.19 del 10 giugno 2010, che, astratto dal
confronto critico con le pertinenti ragioni della decisione, è posto in correlazione,
oltre con l’indicato riconoscimento fotografico, con altri, non specificati, elementi
indiziari raccolti dai Carabinieri, senza che la trascrizione del contenuto della
conversazione nel contesto del ricorso le conferisca una, non rilevabile, attuale
specificità e autonoma pregnanza indiziaria.

4. Alla luce delle svolte considerazioni il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
A tale declaratoria non segue alcuna pronuncia ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., trattandosi di ricorso proposto dalla parte pubblica.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2015
Il Consigliere estensore

era stato comunque “quasi” esattamente indicato dalla detta Bonasoro e che,

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