Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22745 del 25/09/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 22745 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA presso il TRIBUNALE di
MARSALA
nei confronti di:
MANGIARACINA GIOVAN BATTISTA, nato a Palermo il 22/10/1978,
avverso l’ordinanza n. 78/2015 TRIBUNALE di PALERMO del
30/01/2015;

visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del
Sostituto Procuratore generale dott. Aurelio Galasso, che ha chiesto
il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Giovanni Gaudino, in sostituzione dell’avv.
Giampaolo Agate, che ha chiesto il rigetto del ricorso ovvero la
declaratoria della sua inammissibilità con i provvedimenti
consequenziali.

Data Udienza: 25/09/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 30 gennaio 2015, il Tribunale di Palermo, costituito ai
sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha accolto la richiesta di riesame proposta
avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa il 5 gennaio 2015
dal G.i.p. del Tribunale di Marsala nei confronti di Mangiaracina Giovan Battista,
sottoposto a indagini per il delitto di omicidio pluriaggravato di Srat Riadh e per i

del Vallo il 10 giugno 2010 e contestati ai capi a), b) e c) della imputazione
provvisoria, annullando l’ordinanza impugnata e disponendo l’immediata
scarcerazione del predetto.
All’indagato era, in particolare, contestato di avere concorso con Galia
Vincenzo, Romeo Giovan Vito, Angileri Gisella e Ibnmahjoub Arafet nell’indicato
omicidio, che era conseguito, secondo la descrittiva imputazione, all’azione di
due gruppi di fuoco distinti, che si erano trovati contemporaneamente nello
stesso luogo senza previo accordo, composti il primo da Romeo, Galia e Angileri
e il secondo dall’indagato e da Ibnmahjoub:
– Romeo aveva istigato e determinato Galia a commettere l’omicidio e, dopo
avere concordato con la vittima un incontro in orario notturno nella zona
scarsamente abitata di Capo Feto, si era ivi recato con Galia e Angileri, e, mentre
quest’ultima aspettava in disparte, Galia e Romeo avevano esploso tre colpi di
pistola nei confronti della vittima, attinta da due colpi al torace e uno al polso;
– l’indagato, che aveva concordato con la vittima un incontro nello stesso
luogo, era andato con Ibnmahloub, con separate autovetture e, alla presenza di
questi, aveva sparato con arma diversa due colpi alla testa della vittima, già
attinta da colpi di pistola in parti vitali ma ancora viva;
– la vittima era deceduta a seguito di tali fatti per “arresto cardiocircolatorio
secondario alle gravi lesioni cranio-encefaliche e toraciche determinate da colpi
d’arma da fuoco a canna corta”.
Erano contestate a tutti i coindagati l’aggravante di avere agito per motivi
futili e abietti, correlati alla volontà di liberarsi di un concorrente scomodo nel
commercio degli stupefacenti e di non saldare i debiti che avevano per pregresse
forniture di eroina loro effettuate dallo stesso, oltre alle aggravanti di avere agito
con premeditazione e in circostanze di tempo e di luogo tali da ostacolare la
pubblica e privata difesa.

2. Il Tribunale, dopo avere richiàniato i principi di diritto regolanti il riesame
della misura cautelare, riteneva che per la ricostruzione del fatto potesse farsi

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connessi delitti di detenzione illegale e porto di una pistola, commessi in Mazara

riferimento al titolo custodiale e alla richiesta del Pubblico Ministero in esso
ripresa, curando di “qualificare”, agli effetti del quadro di gravità indiziaria e della
sussistenza delle esigenze cautelari, gli elementi già indicati in precedenza,
dimostrando di valutare, secondo i condivisi principi in tema di motivazione per
relationem, i contenuti del precedente provvedimento ai fini della legittimità della
misura cautelare imposta.
2.1. Nella richiesta di misura cautelare il nucleo essenziale del compendio
indiziario a carico degli indagati era costituito dalle dichiarazioni rese al Pubblico

procedimento connesso, con l’assistenza del difensore.
Tale centralità delle dichiarazioni era correlata alla circostanza che,
successivamente al ritrovamento, avvenuto 1’11 giugno 2010 in un terreno in
contrada Capo Feto (tra Mazara del Vallo e Marsala), del cadavere di Srat Riadh,
pregiudicato per vari reati e inserito nell’ambiente dello spaccio di sostanze
stupefacenti, le indagini erano proseguite in molteplici direzioni senza la
individuazione dei responsabili del fatto.
2.2. Detta Bonasoro era stata già sentita in qualità di persona informata sui
fatti dalla Polizia giudiziaria in più occasioni tra il 10 settembre 2010 e il 15 luglio
2011, dichiarando in un primo momento di avere assistito alla diretta
dell’omicidio, ascoltando particolari durante una conversazione telefonica con
Srat mentre era aggredito e ucciso, e riferendo, successivamente, a seguito della
contestazione della circostanza che dall’esame dei tabulati telefonici non era
risultato un suo contatto con lo stesso, di avere assistito all’omicidio perché
nascosta tra la vegetazione, di avere accompagnato Srat a Capo Feto per fargli
compagnia dopo che lo stesso gliene aveva fatto richiesta, e di sapere che egli
doveva avere dei soldi da qualcuno.
Sulla base di tali dichiarazioni, accompagnate da individuazioni fotografiche
di persone e di luoghi, il Pubblico Ministero aveva già chiesto una prima volta
l’applicazione di misura cautelare nei confronti degli indicati indagati, che il G.i.p.
aveva respinto il 22 maggio 2012 sul rilievo della loro inutilizzabilità ai sensi
dell’art. 63, comma 2, cod. pen., in quanto la dichiarante doveva essere sentita
in qualità di persona sottoposta a indagini per essere emersi a suo carico
(quantomeno al momento della seconda escussione del 26 novembre 2010)
concreti inizi di reità per due reati di favoreggiamento personale di cui all’art.
378 cod. pen,
La donna, secondo il giudilio – del G.i.p., si era mostrata reticente quando
aveva riferito in ordine a una sua inesistente telefonata con Srat, ed era
verosimile, contrariamente a quanto riferito, che si fosse prestata ad
accompagnare Srat a Capo Feto per ricevere in consegna il denaro ottenuto dalla

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Ministero il 7 dicembre 2012 da Bonasoro Maria, in qualità di persona indagata in

prevista cessione di droga, attesa l’abitudine del medesimo, come dalla stessa
affermato, di farsi accompagnare da persona di fiducia per non circolare con
denaro e insospettire le forze dell’ordine in caso di controllo.
2.3. La richiesta di misura cautelare era stata reiterata, dopo che l’indicata
Bonasoro, iscritta nel registro degli indagati per favoreggiamento, era stata
sentita in qualità di indagata di reato connesso il 7 dicembre 2012.
Il G.i.p., accogliendo la richiesta con l’ordinanza del 5 gennaio 2015, aveva
evidenziato che, essendo stata nel frattempo archiviata la posizione della

utilizzabili quale prova autonoma senza la necessità di riscontri individualizzanti
alle stesse dichiarazioni.
2.4. Il Tribunale, tanto premesso, rilevava che:

le dichiarazioni rese dalla Bonasoro con le forme delle sommarie

informazioni testimoniali non potevano essere ritenute inutilizzabili, potendo
escludersi che sin dall’inizio gli elementi acquisiti consentissero di ipotizzare
elementi di reità a carico della stessa per i due reati di favoreggiamento
ipotizzati, poiché, quanto alla prima ipotesi di favoreggiamento (relativa agli
autori dell’omicidio), essa si era presentata spontaneamente ai Carabinieri
affermando di essere a conoscenza di informazioni sull’omicidio e indicando
l’indagato e Ibnmahjoub, insieme ad altri, quali possibili soggetti coinvolti nel
delitto, che in tal modo non aveva inteso favorire, e, quanto alla seconda ipotesi
di favoreggiamento (in favore di Srat), l’improvvisa uccisione dello stesso aveva
reso impossibile oltre che inutile la commissione di qualsiasi condotta di
favoreggiamento personale in suo favore;
– le indicate dichiarazioni, in ogni caso, anche ove ritenute sanzionate ex art.
63, comma 2, cod. proc. pen., avrebbero potuto essere utilizzate ai fini della
valutazione della credibilità delle successive dichiarazioni rese con le forme
dell’interrogatorio;
– il contenuto delle dichiarazioni rese a più riprese dalla Bonasoro, tuttavia,
era

“così ricco di contrasti, divergenze, difformità, inverosimíglianze e

suggestioni” da lasciare enormi perplessità sulla credibilità della dichiarante e da
non rendere ricostruibile in maniera logica e consequenziale la dinamica degli
accadimenti anche con riguardo al nucleo essenziale del fatto, come il numero e
la sequenza degli sparì, il ruolo dei soggetti coinvolti o il loro numero.
2.5. Secondo il Tribunale, che tralasciava le iniziali dichiarazioni poi
ritrattate, erano individuabili significativi elementi di contrasto:
– nella prima versione del 26 novembre 2010, la Bonasoro, riferendo di
avere assistito all’omicidio nascosta tra la vegetazione, aveva dichiarato, tra
l’altro, di avere visto due uomini parlare con Srat che li aveva chiamati

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“i

Bonasoro, tutte le sue dichiarazioni, anche le precedenti, potevano ritenersi

marsalesi”, uno di spalle e l’altro in viso, che aveva poi descritto; “l’uomo alto”
tra i due, che aveva afferrato per il colletto del giubbotto Srat, conducendolo in
un casolare, aveva sparato due colpi contro lo stesso, attingendolo alla mano e
al fianco/pancia, facendolo cadere e sollevandolo poi da terra; essa spaventata si
era allontanata di corsa, incontrando all’altezza di un casolare il già conosciuto
“Gianni Mangiaracina”, qui indagato, con il tunisino Arafet, che pure conosceva;
l’indagato, avvicinatosi ai due aggressori, aveva detto loro “ah, gli avete dato le
caramelle, ora tocca a me”, e, mentre i due erano scappati, aveva sparato due

ciclomotore della vittima, era rincasata a piedi stravolta dicendo al convivente di
avere litigato con il fratello per difendere il padre. Tale versione contrastava con
l’esame autoptico che non aveva riscontrato fori di entrata alla nuca del
cadavere; era inverosimile la circostanza riferita dalla Bonasoro circa il suo
tentativo di fuggire usando il ciclomotore del morto; non erano affidabili le
individuazioni fotografiche dei sospettati, eseguite dalla stessa sulla base della
esibizione da parte della Polizia giudiziaria di foto singole di Galia (riconosciuto
come il primo sparatore), dell’indagato Mangiaracina (riconosciuto come il
secondo sparatore) e di Arafet (riconosciuto come il soggetto che era in
compagnia dell’indagato), né quelle delle immagini consecutive delle sole
autovetture di proprietà di ciascuno degli indagati ovvero del tipo di quelle dagli
stessi utilizzate, ed erano da ritenere suggestive le individuazioni successive,
fatte mostrando alla predetta album contenenti anche le indicate foto;
– nella successiva versione del 7 febbraio 2011 la teste aveva riferito di
avere visto in volto anche la persona che era con Galia, che aveva indicato in
Romeo e riconosciuto nell’unica foto esibitale, e di spalle una quinta persona
appoggiata a un’autovettura, aggiungendo che detta persona, che non sapeva
indicare se fosse uomo o donna e della quale non aveva distinto i tratti somatici,
aveva accompagnato “i marsalesi” ed era rimasta sempre nella stessa posizione;
– il 16 giugno 2011 la teste aveva poi escluso di avere visto la zona corporea
della vittima attinta dai primi spari e, descrivendo modalità diverse del delitto,
aveva anche escluso di potere riconoscere tra i responsabili Arafet, essendosi
trattato di altro tunisino che gli assomigliava;
– il successivo 15 luglio 2011 la medesima teste aveva espresso la sua
certezza circa la identificazione del tunisino con Arafet, che aveva riconosciuto
fotograficamente unitamente all’indagato Mangiaracina e a Romeo Giovan Vito;
– sentita con le forme dell’interrogatorio il 7 dicembre 2012 la teste aveva
reso dichiarazioni ancora diverse sulle ragioni per le quali la vittima si era recata
all’appuntamento, abbandonando il precedente riferimento alla cessione
dell’eroina e riferendosi alla riscossione di un credito, e sulla ricostruzione del

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colpi alla nuca di Srat, che era deceduto; essa, non riuscendo a usare il

fatto, precisando di non essere in grado di riferire chi fosse stato il primo
sparatore, di avere visto Srat cadere per terra, di avere sentito un terzo sparo
antecedente all’arrivo del secondo gruppo, e di desumere

“dalla voce e dalla

macchina” che con l’indagato Mangiaracina vi fosse Arafet.
2.6. Gli enunciati passaggi, cui si aggiungevano le contrastanti versioni rese
dalla teste quanto alla scusa fornita al convivente circa il proprio stato di
agitazione al ritorno dall’omicidio, erano dimostrativi, secondo l’analisi svolta,
della sussistenza di una radicale incertezza su quasi tutti gli elementi essenziali,

loro arrivo, numero degli spari esplosi, momenti e luoghi delle esplosioni, identità
degli sparatori messa in dubbio per tutti tranne che per l’indagato, rapporti tra i
supposti due gruppi di fuoco, fasi della vicenda viste direttamente dalla teste e
fasi solo udite, identità dei soggetti presenti, comportamento di ciascuno).
Le inverosinniglianze, le illogicità e i contrasti erano tali da far supporre che
la teste non fosse stata realmente presente sui luoghi e al momento del fatto, o
che, presente, non avesse ricordi coerenti e certi per motivi ignoti e anche
collegabili alla sua qualità di assuntrice abituale di sostanze stupefacenti, o
avesse riferito sospetti o circostanze apprese nell’ambiente, con conseguente
assenza di univocità e convergenza del quadro indiziario a sostegno del
coinvolgimento dei soggetti indagati nell’omicidio e nei connessi reati in materia
di armi.
2.7. Secondo il Tribunale, mentre la Bonasoro aveva tenuto verso gli
indagati da lei conosciuti un atteggiamento del tutto incompatibile con quello di
una teste oculare dell’omicidio da loro commesso, avendo dichiarato di essere
andata a trovare Arafet, portandogli un regalo per la nascita della figlia, e di
avere continuato a frequentare l’indagato, che pure l’aveva minacciata,
accusandolo scherzosamente, le coincidenze tra le sue dichiarazioni e gli esiti
degli accertamenti di polizia giudiziaria e autoptici (quanto alle condizioni della
vittima e ai colpi che l’avevano attinta), ricavabili dalle notizie di cronaca, non
costituivano riscontri oggettivi di particolare pregnanza.
Né, in presenza di dichiarazioni totalmente inaffidabili, garantivano, in
termini di univocità, un giudizio indiziario grave di colpevolezza gli altri elementi
utilizzati nell’ordinanza genetica quali riscontri alle dichiarazioni della Bonasoro,
come la sussistenza di debiti dell’indagato verso la vittima, coinvolgendo lo
smercio di droga all’ingrosso e al minuto, esercitato dalla vittima, molti soggetti
della comunità mazarese e marsalese; il contenuto delle telefonate in cui
l’indagato parlava delle indagini che lo riguardavano e degli accertamenti
compiuti sulla sua autovettura, essendo ragionevole il timore espresso -non
necessariamente indicativo della sua colpevolezza- per il possibile

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oggettivi e soggettivi, dell’omicidio (numero delle persone presenti, tempi del

coinvolgimento nell’indagine riguardante una persona con la quale aveva
comunque intrattenuto rapporti illeciti; la presenza, la sera dell’omicidio,
dell’indagato in luoghi coperti dalle celle telefoniche di Capo Feto, luogo del
delitto e anche di residenza della zia che l’indagato aveva affermato di essere
andato a trovare.

3. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Marsala, che, premesso il richiamo alla

base di unico motivo, con il quale denuncia mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen.
3.1. Secondo il ricorrente, il Tribunale ha svolto un ragionamento viziato
poiché non ha considerato l’analisi che il G.i.p. ha svolto circa la genuinità della
teste Bonasoro, presentatasi spontaneamente ai Carabinieri, e circa la sua
attendibilità anche alla stregua della sua “condizione soggettiva”, non tenendo
conto del fatto che la stessa era stata sentita plurime volte e anche in tempi
molto distanziati dal fatto, senza neppure verificare la possibilità di una
valutazione frazionata delle dichiarazioni con riguardo a ciascun indagato.
3.2. Ad avviso del ricorrente, è, innanzitutto, apodittica e contraddittoria
l’affermazione che poteva presumersi che la teste non fosse stata presente sul
luogo dell’omicidio, tenuto conto delle considerazioni espresse nella valutazione
della sussistenza degli indizi di colpevolezza per il delitto di favoreggiamento
personale, avendo il Tribunale ritenuto che la stessa avesse mentito quando
aveva detto ai Carabinieri di non essere stata presente.
Né il Tribunale ha apprezzato le giustificazioni fornite dalla teste circa le
contraddizioni in cui era incorsa nelle sue numerose audizioni, non tenendo conto
che l’assunzione da parte sua quella sera di sostanze stupefacenti non era
emersa dagli atti di indagine, né considerando la condizione psicologica della
stessa che si era assunta la grave responsabilità di rivelare il suo ruolo di teste
oculare di un omicidio, gradualmente rielaborando i particolari della vicenda, e la
possibile influenza delle continue escussioni sulla elaborazione distorta di alcuni
particolari.
3.3. Neppure si è data congrua spiegazione della ritenuta inverosimiglianza
della dinamica dell’omicidio, riferita dalla teste, perché eseguita “in due tempi” e
da soggetti apparentemente non collegati (gruppo Mangiaracina/Ibnmahjoub, da
un lato, e gruppo Romeo/Galia/Angileri, dall’altro), che nei giorni antecedenti e
successivi all’omicidio non avevano avuto contatti telefonici.
È contrastante con i dati obiettivi anche l’affermazione dell’ordinanza in

vicenda e alle ragioni dell’ordinanza del riesame, ne chiede l’annullamento sulla

ordine alla non compatibilità delle dichiarazioni della teste con le risultanze
investigative concernenti l’esame autoptico per non essere stato riscontrato un
foro di entrata alla nuca della vittima, poiché uno dei proiettili è stato trovato nel
cranio, un proiettile è stato esploso a bruciapelo, e un proiettile è penetrato al di
sotto della mandibola, in linea con l’orecchio sinistro, e quindi in zona molto
prossima alla nuca.
3.4. Il Tribunale, che ha ritenuto strano che la Bonasoro avesse dichiarato
solo il 7 febbraio 2011 di avere visto in volto anche la persona che era con Calia,

appoggiata a un’autovettura, che la Polizia giudiziaria aveva ipotizzato essere
Angileri Gisella, non ha, inoltre, adeguatamente apprezzato le ripercorse
spiegazioni fornite dalla teste circa i suoi sopravvenuti ricordi, collegate alla
particolare concitazione del momento e alla gravità del fatto cui aveva assistito,
all’avere visto Galia di profilo e a tratti nel volto, e al non avere parlato della
quinta persona per non essere stata in grado di fornirne una dettagliata
descrizione.
Ulteriormente dimostrativa della erroneità del processo argomentativo è la
valutazione di non attendibilità del riconoscimento fotografico degli indagati,
tratta dalla suggestione “infitta” alla Bonasoro dalla Polizia giudiziaria per la
somministrazione di una sola foto, non essendosi considerato che nei confronti
dell’indagato Mangiaracina il riconoscimento fotografico era stato mero corollario
della già operata esatta indicazione da parte della stessa teste della sua identità
e della sua autovettura.
3.5. Anche il percorso logico-argomentativo seguito dal Tribunale
nell’escludere la pregnanza di tutti gli altri elementi indiziari, esaminati di per sé
soli, non è corretto per essere stato separato dal piano della valutazione delle
dichiarazioni della Bonasoro, trascurando incontestabili convergenze tra queste
ultime e le emergenze delle dichiarazioni di terzi, dei tabulati e delle
intercettazioni.
È, in tal senso, esemplificativa la dichiarazione della predetta di avere
sentito Srat Riadh la sera dell’omicidio, mentre era in sua compagnia, prendere
un appuntamento nel corso di un contatto telefonico, non apprezzata dal
Tribunale, che non ha considerato che dai tabulati era inequivocabilmente
emerso che tale contatto era avvenuto con l’indagato e che la teste Sanfilippo
Pierangela aveva dichiarato di avere visto l’indagato la sera dell’omicidio cercare
Srat in Mazara del Vallo.
Né sono stati presi in considerazione altri indizi, già valutati dal G.i.p., anche
solo per escluderne la rilevanza, come quello relativo all’avvenuta vendita della
sua autovettura poco tempo dopo l’omicidio da parte dell’indagato, che già aveva

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e cioè Romeo, e di avere notato, di spalle, una quinta persona, mai indicata,

espresso, nel corso di una conversazione telefonica, la sua preoccupazione per
un possibile ritrovamento della stessa da parte dei Carabinieri.

4. Con note difensive depositate in udienza per mezzo del suo difensore,
Mangiaracina Giovan Battista, contestando la fondatezza delle doglianze
prospettate dal ricorrente, chiede il rigetto del ricorso ovvero la declaratoria della
sua inammissibilità.

1. Il ricorso, che attinge l’ordinanza impugnata quanto alla ritenuta carenza
a carico dell’indagato, odierno ricorrente, di gravi indizi di colpevolezza con
riguardo ai reati di cui alle imputazioni provvisorie, sviluppa censure
inammissibili, perché manifestamente infondate o generiche ovvero non
consentite.

2. Si premette in diritto che le valutazioni da compiersi dal giudice ai fini
dell’adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo
le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo
giudizio prognostico di “elevata probabilità di colpevolezza”, tanto lontano da una
sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure
presuntivo, poiché condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi già acquisiti
dal Pubblico Ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte Cost., sent. n. 121 del
2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent. n. 71 del 1996, sent. n.
432 del 1995).
2.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di misure
cautelari personali, non è richiesto il requisito della precisione e della
concordanza, ma quello della gravità degli indizi di colpevolezza, per tali
intendendosi tutti quegli elementi a carico ancorati a fatti certi, di natura logica o
rappresentativa, che non valgono di per sé a dimostrare, oltre ogni dubbio, la
responsabilità dell’indagato e tuttavia, sottoposti a valutazione incidentale
nell’ambito del sub-procedimento cautelare e presi in considerazione dal giudice
chiamato a pronunciarsi nei modi di cui all’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc.
pen., sono tali da lasciar desumere con elevata valenza probabilistica
l’attribuzione del reato al medesimo (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, Costantino,
Rv. 202002, e, tra le successive, Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, Capriati, Rv.
212998; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, Acanfora, Rv. 227511; Sez. 1, n.
19867 del 04/05/2005, Lo Cricchio’, Rv. 232601; Sez. 2, n. 28865 del
14/06/2013, Cardella, Rv. 256657), e la loro valutazione, a norma dell’art. 273,

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CONSIDERATO IN DIRITTO

comma 1-bis, cod. proc. pen. -introdotto dall’art. 11 della legge n. 63 del 2001,
attuativa della legge costituzionale sul giusto processo- deve procedere
applicando, tra le altre, le disposizioni contenute nell’art. 192, commi 3 e 4, cod.
proc. pen., che delineano, pertanto, i confini del libero convincimento del giudice
cautelare (tra le altre, Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, Spennato, Rv. 234598;
Sez. 1, n. 22853 del 09/05/2006, Liang, Rv. 234890; Sez. 5, n. 50996 del
14/10/2014, Scalia, Rv. 264213).
2.2. Si rileva ulteriormente, quanto ai limiti del sindacato di legittimità al

di cassazione, in materia di misure cautelari personali, non ha alcun potere di
revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende oggetto d’indagine, ivi
compreso il peso probatorio degli indizi, né di verificare la rispondenza delle
argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata alle acquisizioni
processuali, né di rivalutare le caratteristiche soggettive dell’indagato in
relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura, trattandosi di
apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo del Giudice che ha
applicato la misura o che ne ha valutato il mantenimento o la modifica e del
Tribunale del riesame chiamato a pronunciarsi sulle connesse questioni

de

libertate (tra le altre, Sez. 6, n. 2146 del 25/05/1995, Tontoli, Rv. 201840; Sez.
2, n. 56 del 07/12/2011, dep. 2012, Siciliano, Rv. 251760).
Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, limitato, in relazione
alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che a esso ineriscono, all’esame del
contenuto dell’atto impugnato e alla verifica delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato e dell’assenza d’illogicità evidente, ossia
dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la
valutazione degli elementi indiziari rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che ne governano l’apprezzamento (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino,
Rv. 215828, e, tra le successive, Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova,
Rv. 237012; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698; Sez. 4, n.
26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014,
Contarini, Rv. 261400), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle
risultanze delle indagini (Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391,
e, tra le successive, Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, Marrazzo, Rv. 210560; Sez.
5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997; Sez. 6, n. 11194 del
08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).

3. Svolte le indicate premesse, e passando alla concreta verifica di
legittimità della decisione impugnata, si rileva che il convincimento manifestato

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riguardo delle proposte censure, che, secondo costante giurisprudenza, la Corte

dal Tribunale appare immune da vizi giuridici e logici perché espressione di un
percorso argomentativo ragionevole e corretto nell’applicazione dei criteri di
valutazione del materiale indiziario, congruo con le acquisizioni processuali
richiamate nella decisione e coerente con i principi di diritto fissati da questa
Corte e con le regole della logica e della non contraddizione.
3.1. Il Tribunale, infatti, procedendo dal corretto rilievo che l’impianto
accusatorio si basava essenzialmente sulle dichiarazioni e individuazioni
fotografiche della teste Bonasoro Maria, sentita otto volte a sommarie

sottoposto a preliminare analisi dette dichiarazioni e individuazioni.
Nel percorso argomentativo seguito, l’ordinanza, sì come sintetizzato sub 2
e relativi sottoparagrafi del “ritenuto in fatto”, in particolare, ha esaustivamente
e logicamente evidenziato che la predetta Bonasoro, sentita in qualità di persona
informata sui fatti, si era contraddetta sulle modalità (prima per telefono, poi
visive) con cui aveva assistito all’omicidio, sul numero delle persone viste in
volto e sul numero delle persone presenti, sulle modalità dell’azione e su quanto
aveva direttamente percepito; ha ineccepibilmente rimarcato che le
individuazioni fotografiche erano irrituali e suggestive, poiché era risultato che
alla stessa erano state inizialmente mostrate dalla Polizia giudiziaria operante le
singole fotografie dei sospettati e delle autovetture, da lei riconosciute, e solo
successivamente album fotografici contenenti anche immagini -da comparare- di
persone diverse dagli indagati; ha congruamente rappresentato che il 7 dicembre
2012, nel corso del suo esame assistito, la medesima aveva reso dichiarazioni
ancora diverse sulle ragioni per le quali la vittima si era recata all’appuntamento
e una ulteriore versione della dinamica dei fatti e delle persone presenti e/o
riconosciute.
Il Tribunale, criticamente ripercorrendo le divergenze e le inverosimiglianze
ricostruttive offerte dalla Bonasoro e il suo confuso e disarticolato racconto dei
particolari della vicenda, neppure ha prescisso dal sottolineare che l’incoerenza
delle dichiarazioni della teste, analizzate isolatamente e comparativamente,
aveva riguardato, oltre a tutti gli elementi essenziali, oggettivi e soggettivi,
dell’omicidio, anche le scuse fornite dalla stessa al suo convivente circa lo stato
di agitazione manifestato rincasando dopo la descritta vicenda, e dall’enunciare
l’assoluta incompatibilità dei suoi atteggiamenti nei confronti degli indagati, sì
come da essa stessa descritti, con quelli di una teste oculare dell’omicidio di un
amico, da loro commesso.
3.2. La disamina critica ha posto l’accento anche sui tempi delle
dichiarazioni, valorizzandosi la risalenza delle prime a tre mesi dopo l’omicidio, e
ritenendosi tale dato temporale incidente negativamente sulla idonea valenza

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informazioni testimoniali e una volta come imputata di reato connesso, ha

quali riscontri oggettivi alle indicate dichiarazioni delle coincidenze tra le stesse e
gli esiti degli accertamenti investigativi e autoptici, conoscibili dalla teste
attraverso le notizie diffusesi in zona attraverso i

media, e, in correlazione

specifica con la posizione dell’indagato, ha messo in evidenza che, in presenza di
dichiarazioni totalmente inaffidabili, gli elementi utilizzati nell’ordinanza genetica
quali riscontri alle dichiarazioni della Bonasoro (come la sussistenza di debiti
verso la vittima, i contatti con la stessa, il contenuto delle telefonate, l’aggancio
delle celle telefoniche del luogo del fatto la sera dell’omicidio), erano non univoci

3.3. Le argomentazioni svolte, strutturalmente coerenti e logicamente
articolate nella svolta analisi della vicenda cautelare, congrue ai dati fattuali
indicati come disponibili -allo stato delle indagini- nei confronti dell’indagato e
rispettose delle regole di diritto che governano, nella procedura

de libertate,

l’apprezzamento degli elementi indiziari in ordine alla qualificata probabilità di
colpevolezza della persona sottoposta a indagini, resistono alle doglianze del
ricorrente.
Tali doglianze, riferite sia al giudizio di complessiva inattendibilità delle
dichiarazioni della Bonasoro sia alla svalutazione degli ulteriori elementi assunti
come indiziari, in realtà affatto privi di univocità e precisione, appaiono
manifestamente infondate nella contestata operata applicazione dei principi che
attengono alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a fini cautelari, e sono,
nella sostanza, volte a sottoporre al giudizio di legittimità, in termini di
contrapposizione argomentativa e confutativa, aspetti esclusivamente attinenti
all’apprezzamento nel merito, che risulta operato in modo né assertivo né
illogico, del materiale indiziario, con richiami, peraltro generici e privi di
autosufficienza, ad atti processuali, cui questa Corte non può accedere, e con
rilievi, che, invasivi di indagini fattuali, si traducono in ragioni diverse da quelle
consentite dalla legge con il ricorso per cassazione.
Né appare sostenibile sul piano logico la deduzione del ricorrente circa
l’omesso credito riservato dal Tribunale alle giustificazioni fornite dalla Bonasoro,
all’evidenza contrastante con un canone epistemologico fondamentale, alla cui
stregua la verità di un’affermazione non può razionalmente essere affermata
sulla base della definizione che chi parla offre di se stesso e delle sue
dichiarazioni, dovendo, invece, il procedimento di verificazione essere
coerentemente compiuto dall’esterno.
Neppure sono più pertinenti le osservazioni relative alla contestata
valutazione di inattendibilità del riconoscimento fotografico dell’indagato e della
sua autovettura, astratte da ogni riferimento alla irrituale sottoposizione alla
teste da parte della Polizia giudiziaria, con evidenti ricadute negative sulla

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e inidonei di per sé a sostenere un inadeguato quadro indiziario di colpevolezza.

genuinità della prova, di una sola fotografia per volta dei vari sospettati e delle
autovetture di proprietà di ciascuno o del tipo da essi utilizzato, né introducendo
elementi di specificità l’affermazione della pregressa esatta indicazione della
identità degli indagati e delle autovetture da parte della predetta Bonasoro e
che, rispetto a tali indicazioni, la individuazione fotografica si è posta quale mero
corollario, con evidente confusione tra elementi indiziari e sospetti e non
esplicata sovrapposizione di metodi di valutazione del quadro indiziario.

A tale declaratoria non segue alcuna pronuncia ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., trattandosi di ricorso proposto dalla parte pubblica.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2015
Il Consigliere estensore

4. Alla luce delle svolte considerazioni il ricorso deve essere dichiarato

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