Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22736 del 27/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 22736 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TANASE TUDOR VIOREL N. IL 19/02/1961
avverso la sentenza n. 36/2014 CORTE ASSISE APPELLO di
CATANIA, del 24/03/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FILIPPO CASA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. PoL-,e,„ Gc,
(
che ha concluso per .Le__ 11,
cLt_e -auye,„

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi diferisor Avv.

Data Udienza: 27/01/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24.3.2015, la Corte di Assise di Appello di Catania confermava la
decisione in data 27.5.2014, con la quale la Corte di Assise di Catania aveva dichiarato TANASE
Tudor Viorel colpevole:
– del reato di cui all’art. 586 c.p., così giuridicamente qualificato il fatto ascritto al capo
A) della rubrica;

– del reato di cui agli artt. 56, 582, 585 in relazione all’art. 577, comma 1, n. 2, c.p.,
così giuridicamente qualificato il fatto ascritto al capo C) della rubrica;
– del reato di cui agli artt. 61 n. 2 e 424 c.p., così giuridicamente qualificato il fatto
ascritto al capo D) della rubrica.
Ritenuta la sussistenza del concorso formale tra i reati, come riqualificati, di cui ai capi
A) e B) tra loro, nonché di cui ai capi C) e D) tra loro, ed inoltre del vincolo della continuazione
tra le condotte di cui ai due gruppi di reati, condannava l’imputato alla pena di otto anni di
reclusione, nonché alle pene accessorie di legge ed alla misura di sicurezza della libertà vigilata
per un periodo non inferiore a un anno.
Seguivano le statuizioni a favore delle costituite parti civili.
I Giudici di merito fondavano la prova di responsabilità dell’imputato, quanto al reato
sub capo A), sul riconoscimento operato dallo studente universitario LA ROSA Mario, che vide,
intorno alle due di notte del 21.10.2011, il TANASE appiccare il fuoco al gabbiotto annesso al
dismesso impianto di carburanti TAMOIL sito in Catania, alla via Ventimiglia, al cui interno si
trovava, dormiente, MIRABILE Giovanni.
Il MIRABILE, attinto dal fuoco, riportava ustioni sul 95% del corpo, in conseguenza delle
quali moriva tre giorni dopo.
Il LA ROSA aveva avuto modo di osservare da vicino l’autore del delitto, fornendone una
descrizione che, per età, corporatura, colore dei capelli e tipo di abbigliamento (in particolare, il
colore rosso sgargiante della camicia) doveva considerarsi ampiamente rispondente alle
caratteristiche dell’imputato, quali documentate dalla fotografie scattate al momento del fermo
di Polizia giudiziaria, che lo ritraevano con gli stessi indumenti indossati la notte precedente.
Le lievi imprecisioni relative alla statura dell’agente e al colore della giacca da lui
indossata – dati, peraltro, riferiti non in termini di certezza – erano comprensibilmente legate
alla concitazione del momento e alla circostanza che l’attenzione dello studente venne presto
dirottata in direzione delle fiamme.
Il LA ROSA, infine, aveva riconosciuto informalmente negli uffici di polizia, senza
esitazione, nel TANASE l’uomo che incendiò il gabbiotto di via Ventirniglia, come poi confermato
in dibattimento.
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– del reato di cui all’art. 423 c.p. (capo B), esclusa l’aggravante del nesso teleologico;

Osservavano le Corti di merito come la deposizione del LA ROSA circa l’avvenuto
informale riconoscimento del TANASE negli uffici della locale Squadra Mobile fosse apparsa
pienamente attendibile, di tal che le aspre critiche difensive alle modalità di verbalizzazione
dell’atto d’indagine (a prescindere dalla loro fondatezza, alla luce dei chiarimenti forniti dal
teste MONTEMAGNO in proposito) dovevano ritenersi inidonee a scalfire la valenza probatoria
della deposizione medesima.
Quanto al reato sub C), le risultanze processuali consentivano di affermare che

dalla finestra della propria abitazione sita in via Luigi Sturzo, sovrastante il supermercato
EUROSPIN, appiccare il fuoco al materasso dove dormivano i due giovani romeni GATA Nicolae
e HERBEI Gheorghe.
Sebbene lo JEMIHI avesse escluso di aver visto in volto la persona, anche perché la sua
attenzione era concentrata sui ragazzi che dormivano per evitare che si bruciassero, egli aveva,
comunque, dichiarato che l’uomo da lui notato transitare nel corridoio della Questura, per la
corporatura, i vestiti, l’altezza, la “larghezza”, era “simile” a quello che aveva visto appiccare il
fuoco.
Osservavano le Corti che la descrizione del soggetto, ampiamente coincidente con le
caratteristiche dell’imputato, la ricorrenza di alcune note peculiari, come il marsupio nero
portato a tracolla e l’indossare un cappellino con visiera scuro, riscontrate in atti e altamente
individualizzanti, tenuto conto della loro compresenza e dell’orario notturno di avvistamento,
con limitatissimo transito di persone, univocamente deponevano, considerato il complessivo
contesto probatorio, per l’identificazione nel TANASE della persona vista appiccare il fuoco al
materasso.
L’identificazione veniva corroborata dall’esame dei filmati registrati dall’impianto di video
sorveglianza del supermercato EUROSPIN che, ritraevano, alle ore 3,28 e alle ore 3,34, un
medesimo soggetto, indossante pantaloni chiari e una giacca un po’ più scura, con borsa a
tracolla, che alle ore 3,34 e 17 attraversava la via Sturzo proprio all’altezza dello stabile dove
abitava lo JEMIHI, muovendosi in direzione del punto in cui era posto il materasso su cui
dormivano i due giovani romeni, sicché, considerato il contesto di tempo e di luogo, era del
tutto illogico che si trattasse di persona diversa da quella, con analoghe caratteristiche, vista
nelle stesse circostanze dallo JEMIHI.
Tra l’altro, lo stesso TANASE aveva riconosciuto di essere nottetempo transitato nei
pressi del supermercato EUROSPIN.
Le analogie circa gli abiti indossati, di età e corporatura rilevate tra il soggetto visto dal
LA ROSA appiccare il fuoco in via Ventimiglia e quello visto da JEMIHI compiere poco tempo
dopo un gesto simile a via Sturzo riconducevano, da un punto di vista logico, ad un unica
identità l’autore dei due fatti.
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l’imputato fosse la persona vista, verso le tre-tre e mezza della stessa notte, da JEMIHI Ismail,

In tale complessivo contesto probatorio, infondata doveva ritenersi l’obiezione difensiva
secondo cui il TANASE sarebbe stato frettolosamente ritenuto responsabile dei fatti solo per la
sua camicia rossa, e, analogamente, priva di consistenza appariva la doglianza circa il mancato
sviluppo di una pista alternativa, che si sarebbe dovuta basare proprio e soltanto su un tale
elemento, ovvero sul fatto che l’Assistente Capo BRUNO Aurora, della Volante Centro, nel
percorrere la via San Giuliano in direzione via Ventirniglia, prima di conoscere le informazioni
sull’autore dell’incendio, aveva incrociato un ciclomotore con a bordo un individuo con casco

In considerazione della mancanza di prova circa la consapevolezza, da parte del
TANASE, dell’utilizzo del gabbiotto, da parte della vittima, come luogo di ricovero notturno, il
primo Giudice aveva ritenuto di riqualificare il fatto originariamente contestato sub A) come
omicidio doloso nell’alveo della fattispecie prevista dall’art. 586 c.p., in quanto l’imputato,
tenuto conto delle circostanze conosciute e conoscibili – come la pregressa presenza all’interno
del gabbiotto di cartoni, coperte ed altro, di cui avevano riferito i testi PIAZZA e MONTEMAGNO
– e, per colpa, ignorate, avrebbe potuto rendersi conto che, allorché vi appiccò il fuoco,
all’interno del gabbiotto potesse trovare riparo un senzatetto.
La Corte di Assise di Appello non accoglieva la richiesta di procedere a ricognizione
personale avanzata dalla difesa, in quanto ritenuta inutile, poiché avrebbe dovuto svolgersi a
distanza di quattro anni dal fatto e considerato che il teste LA ROSA aveva visto l’imputato da
vicino e per un certo lasso di tempo.
Quanto alla dedotta irritualità del riconoscimento operato dal LA ROSA, osservava la
Corte di secondo grado che la violazione dell’art. 213 c.p.p. determinava una nullità relativa
della ricognizione, che andava eccepita in sede di udienza preliminare e che, in mancanza di
eccezione tempestiva, doveva considerarsi sanata.
Nel merito, i Giudici dell’appello confermavano integralmente la ricostruzione in fatto e
la valutazione delle prove operate nel giudizio di primo grado.
2. Ha proposto ricorso per cassazione TANASE Tudor Viorel per il tramite del difensore di
fiducia.
2.1. Con il primo motivo, deduce la nullità dei “riconoscimenti” effettuati da LA ROSA
Antonio e da JEMIHI Ismail per violazione degli artt. 213, 361, 350 comma 6, 353, 354 e 364
comma 5, c.p.p..
Assume il difensore che, stando al racconto dei testimoni, non smentito da nessuno, non
si trattò, come riportato nei verbali di Polizia giudiziaria, di un casuale incontro negli uffici della
Questura, ma di un vero e proprio atto di ricognizione dietro un vetro oscurato, eseguito,
tuttavia, senza il rispetto delle regole formali previste dagli artt. 213 e 214 c.p.p..
Inoltre, il TANASE non era stato informato della possibilità di fare assistere un difensore
alle attività di cui sopra.
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bianco indossante un indumento di colore rosso nella parte superiore.

Alla nullità formale dei riconoscimenti corrispondeva, tra l’altro, l’inaffidabilità
sostanziale degli stessi, attese le numerose discordanze e imprecisioni rilevabili nelle rispettive
descrizioni di caratteristiche fisiche e di abbigliamento del presunto autore dei reati.
La Corte di Assise di Appello, infine, era incorsa in una clamorosa svista nel ritenere
sanata la nullità relativa della ricognizione in quanto non eccepita davanti al G.U.P., dal
momento che nei confronti dell’imputato si era proceduto con rito immediato e perciò non vi
era stata alcuna udienza preliminare.

decisiva.
Alla luce delle gravi irregolarità che inficiavano i riconoscimenti operati dalle persone
offese e delle contraddizioni evincibili fra le loro dichiarazioni, appariva incomprensibile il
diniego della richiesta di effettuazione di ricognizione personale con le cautele di cui all’art. 213
c.p.p..
Analogamente incomprensibile era stato il rifiuto di accertare le fattezze dell’uomo
ritratto nel video acquisito mediante perizia antropometrica.
Non appariva convincente il motivo addotto dalla Corte di merito circa la distanza
temporale dai fatti, valendo tale argomento a escludere la possibilità di siffatto accertamento
nella maggior parte dei processi italiani.
2.3. Con il terzo motivo, si lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione.
Il brano censurato è quello dove si afferma che dei vari incendi sviluppatisi quella notte
in diverse zone della città solo due avevano interessato persone e avevano avuto come vittime
dei clochard, circostanza, questa, che collegava i due episodi oggetto del processo a dati
oggettivi ben più consistenti di una ipotesi di lavoro.
Tale ragionamento, ad avviso della difesa, non aveva alcun fondamento logicoargomentativo univoco, non potendosi parlare di “collegamento” quando non si avevano dati di ,
riferimento certi, gli episodi erano diversi e non erano stati analizzati gli incendi e la loro
ubicazione.
Premesso che la vittima, MIRABILE Giovanni, non era un clochard, ma un ex impiegato
comunale che aveva trovato momentaneo ricovero nel gabbiotto poi incendiato, rimaneva da
spiegare perché collegare due incendi avvenuti a circa 1 km di distanza e con un intervallo di
un’ora e mezza, quando gli altri incendi menzionati dai Giudici di merito si erano sviluppati a
300 metri da via Sturzo, con un minore intervallo temporale e non avevano provocato vittime
per mera casualità.
Ulteriori “manchevolezze argomentative” inficiavano la motivazione della sentenza
impugnata e della richiamata decisione di primo grado.

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2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia mancata assunzione di una prova

In primo luogo, le Corti non si erano fatte carico delle discordanze emerse, quanto alla
descrizione dell’autore degli incendi, dalle dichiarazioni dei testi LA ROSA e JEMIHI,
attribuendo, per così dire, efficacia “sanante” ai riconoscimenti avvenuti in Questura, peraltro
caratterizzati dalle nullità già evidenziate.
In secondo luogo, spiaceva rilevare che i Giudici catanesi avevano in qualche modo
giustificato le irregolari procedure di individuazione, trascrivendo ampi brani della deposizione
resa sul punto dal Vice Questore MONTEMAGNO, che, in conclusione, lo aveva portato a non

riconoscimento già operato accompagnandoli nella camera con vetro oscurato: tale ultima,
circostanza, tuttavia, non era stata in alcun modo verbalizzata.
Le Corti di merito, infine, non avevano tenuto in alcuna considerazione le seguenti
significative circostanze emerse dal dibattimento:
– le vittime del secondo episodio delittuoso, amici dell’imputato, avevano escluso che
costui avesse potuto compiere un gesto del genere e di averlo mai visto dar fuoco a qualcosa;
– TANASE era stato arrestato in compagnia di una delle sue presunte vittime a venti
metri dal luogo del fatto e a venti metri dalla rosticceria del teste JEMIHI;
– dalla bottiglia di benzina e dall’altro materiale in sequestro non erano state tratte
impronte dattiloscopiche da confrontare con quelle del TANASE;
– era stata trascurata l’annotazione redatta dall’Ass.te BRUNO Aurora che, scendendo
per la via Ventimiglia verso piazza Cutelli nell’immediatezza dei fatti, vide sfrecciare in
controsenso su uno scooter un individuo che indossava una camicia rossa;
– il TANASE non aveva alcun movente, né conosceva il MIRABILE;
– la perizia del prof. PETRALIA, nell’escludere patologie psichiatriche e il disturbo di
piromania, strideva con la figura dell’attentatore di piazza Cutelli, che, come descritto,
efficacemente dal LA ROSA, rimase diversi secondi con sguardo estasiato al levarsi delle
fiamme, atteggiamento tipico del piromane.
2.4. Con il quarto motivo, si contestano violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione all’art. 586 c.p..
Il primo Giudice aveva giuridicamente riqualificato il capo A) ex art. 586 c.p., ritenendo
provato che il ricorrente avesse per colpa ignorato che all’interno del gabbiotto dato alle
fiamme potesse trovarsi una persona dormiente.
La Corte di secondo grado, investita del gravame sul punto, non aveva motivato,
confermando detta riqualificazione.
Errava, tuttavia, la Corte quando citava a riprova dell’esistenza di “tracce” di ricovero la
deposizione del V. Questore MONTEMAGNO, travisando, invece, quella dell’Isp. PIAZZA,
intervenuto sul posto.

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escludere che qualche investigatore avesse potuto chiedere conferma ai testi del

Mentre il primo aveva riferito circa le sue conoscenze generali e non relative a quella
particolare sera, il secondo aveva deposto in maniera opposta dichiarando che, per sua
conoscenza personale, non sapeva che ci potesse essere qualche persona che potesse utilizzare
quel gabbiotto come rifugio.
La Corte aveva, dunque, equivocato il racconto del PIAZZA, il quale aveva parlato sì
della presenza di coperte, ma di quelle che avvolgevano il povero MIRABILE e che non si
trovavano all’esterno del gabbiotto incendiato.

numerose persone accorse né l’Isp. PIAZZA, in assenza di tracce del “bivacco”, sospettarono
minimamente che all’interno di quel piccolo locale potesse esservi qualcuno, tanto che vennero
chiamati i Vigili del Fuoco e si rimase in attesa del loro arrivo.

2.5. Con il quinto e ultimo motivo, si lamenta la carenza assoluta di motivazione in
ordine al diniego delle attenuanti generiche.
La Corte di Assise di Appello si era limitata, laconicamente, ad affermare che non
sussistevano valide ragioni per la concessione di dette attenuanti.
Il TANASE era un soggetto incensurato e, pur sapendosi innocente, aveva sopportato
quasi quattro anni di custodia cautelare affidandosi con fiducia alla giustizia e optando per il rito
ordinario proprio perché desiderava confrontarsi con i suoi accusatori.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
2. E’, in primo luogo, infondata l’eccezione di nullità dei riconoscimenti effettuati dai
testimoni LA ROSA e .JEMIHI, motivata dal difensore per il mancato rispetto delle regole formali
previste dagli artt. 213 e 214 c.p.p..
Occorre premettere che la ricognizione disciplinata dall’art. 213 c.p.p. non è l’unico
mezzo di prova idoneo a consentire l’individuazione della persona responsabile del reato. Tale
disposizione disciplina, infatti, le regole da seguire per procedere alla ricognizione personale
quando ciò sia necessario (“Quando occorre procedere a ricognizione personale….”). Allorché,
diversamente, attraverso l’assunzione testimoniale è possibile pervenire con certezza alla
individuazione della persona, è sufficiente che il Giudice dia conto con la motivazione dei
risultati acquisiti e dei criteri adottati.
Nessuna violazione delle regole sulla ricognizione previste dagli artt. 213 e 214 c.p.p.
può, pertanto, eccepirsi in un caso, come quello di specie, in cui nessuna ricognizione formale
come disciplinata dal codice di rito è stata mai eseguita, ma i Giudici di merito hanno,
viceversa, valorizzato a carico dell’imputato le dichiarazioni testimoniali rese in dibattimento da

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Tale versione aveva senz’altro maggiore consistenza anche perché né il LA ROSA, né le

LA ROSA Antonio e JEMIHI Ismail, confermative dei rispettivi riconoscimenti informali del
TANASE operati da entrambi all’interno degli uffici di polizia.
Il riferimento del LA ROSA alla vista dell’imputato al di là di un vetro oscurato, in
contrasto con il tenore della verbalizzazione eseguita dagli agenti operanti, in cui si dà atto di
un incontro “casuale” con l’imputato, transitato in corridoio mentre il teste parlava con un
poliziotto (pag. 12 sentenza di primo grado), non cambia la sostanza delle cose, nel senso che,
nell’una o nell’altra modalità, sempre di un riconoscimento informale si è trattato, posto che da

assicurata la presenza “di almeno due persone il più possibile somiglianti, anche
nell’abbigliamento, a quella sottoposta a ricognizione”, come prescritto dal primo comma
dell’art. 214 c.p.p..
Da quanto premesso discende che quando – come nel caso di specie – i testimoni
abbiano proceduto ad un riconoscimento informale nel corso delle indagini preliminari e, nel
corso dell’esame dibattimentale, abbiano confermato di avere compiuto detta ricognizione
informale e quindi reiterato il riconoscimento positivo, il convincimento del giudice può ben
fondarsi su tale riconoscimento, seppure privo delle cautele e delle garanzie delle ricognizioni,
trattandosi di accertamento di fatto liberamente apprezzabile dal giudicante in base al principio
della non tassatività dei mezzi di prova (art. 189 c.p.p.).
Il momento ricognitivo costituisce, invero, parte integrante della testimonianza, di tal
che l’affidabilità e la valenza probatoria dell’individuazione informale discendono
dall’attendibilità accordata al teste ed alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del
prudente apprezzamento del decidente che, ove sostenuto da congrua motivazione, sfugge al
sindacato di legittimità (Sez. 6, n. 12501 del 27/1/2015, Di Stefano, Rv. 262908; Sez. 4, n.
1867 del 21/2/2013, dep. 17/1/2014, Jonovic, Rv. 258173; Sez. 2, n. 16204 dell’11/3/2004,
dep. 6/4/2004, Kerkoti Perparirn, Rv. 228777).
Nel caso che ci occupa, le motivazioni integrate delle Corti di merito sono pervenute a
un sintonico giudizio di attendibilità delle deposizioni rese dai testi LA ROSA e JEMIHI secondo
un argomentare congruo e coerente, che ha logicamente valorizzato la descrizione del
soggetto, coincidente con le caratteristiche dell’imputato, nonché alcune note di abbigliamento
altamente individualizzanti, descrizione, peraltro, corroborata dall’esame dei filmati registrati
dall’impianto di videosorveglianza del supermercato Eurospin.
Va, pertanto, corretta, ai sensi dell’art. 619 c.p.p., la notazione di pag. 5 della sentenza
impugnata, imputabile ad una evidente svista, nella quale si parla di una nullità relativa della
ricognizione “intervenuta davanti al giudice dell’udienza preliminare” e sanata perché non
tempestivamente eccepita, in quanto, da un lato, TANASE è stato processato con rito
immediato e nessuna udienza preliminare è stata celebrata, dall’altro, nessuna nullità poteva

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nessun elemento si evince – e neppure il difensore lo afferma – che, nell’occasione, sia stata

rilevarsi nel caso concreto, in cui la Corte ha legittimamente apprezzato dichiarazioni
testimoniali confermative di riconoscimenti informali operati in fase di indagini preliminari.
3. Le argomentazioni che precedono conducono necessariamente a reputare infondato
anche il secondo motivo di ricorso, con cui si censura il mancato espletamento di una
ricognizione personale formale.
Nel caso di specie non può, infatti, avere alcun rilievo la circostanza che la Corte di
merito non abbiamo disposto la ricognizione, quale disciplinata dagli artt. 213 c.p.p. ss., avendo

immune da vizi logici, basata sulla piena attendibilità ed esaustività delle deposizioni
testimoniali e sul decorso di un lungo arco temporale dai fatti (quattro anni).
4.

Il terzo e quarto motivo di ricorso vanno ritenuti inammissibili, in quanto si

sostanziano, all’evidenza, in rilievi di mero fatto in ordine alla ricostruzione del risultato delle
prove e della loro valutazione, non proponibili in questa sede, avuto riguardo alla presenza di
un argomentare della Corte territoriale che – con specifico riferimento ai singoli punti
atomisticamente presi in considerazione dal ricorrente – risulta condotto e sviluppato con
sufficiente rigore logico nei termini riportati nella superiore esposizione in fatto (in particolare,
con riferimento alla mancata coltivazione di una pista alternativa, agli elementi indicativi della
colpa dell’imputato nell’aver ignorato la presenza di un uomo dormiente all’interno del
gabbiotto cui diede fuoco) e che non può essere alterato da una diversa ricostruzione, magari
di equivalente logicità, ma che non vale, tuttavia, a dimostrare la manifesta illogicità della
motivazione richiesta, per l’annullamento della sentenza impugnata su tale punto, dall’art. 606
lett. e) c.p.p., e ciò anche dopo la riforma introdotta con la legge 20.2.2006 n. 46 (Sez. 2, n.
19584 del 5.6.2006, Capri ed altri, Rv. 233774).
5. Al pari indeducibili in questa sede sono le censure mosse con il quinto ed ultimo
motivo, con il quale il ricorrente si duole della mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche.
5.1. Secondo i principi affermati da questa Corte, le circostanze attenuanti generiche
hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole
all’imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano
sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il
riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (fra molte, Sez.
3, n. 19639 del 27/1/2012, Gallo e altri, Rv. 252900).
Elementi di segno positivo che, nella specie, i giudici di merito hanno correttamente
ritenuto insussistenti, con argomentazioni sintetiche, ma immuni da vizi logico giuridici.
6. Per le esposte considerazioni, il ricorso va, nel complesso, rigettato e il ricorrente
condannato al pagamento delle spese processuali.

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essa ritenuto inutile l’assunzione di quest’ultimo mezzo di prova con motivazione congrua e

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2016

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