Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22728 del 12/05/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22728 Anno 2016
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: CENCI DANIELE

Data Udienza: 12/05/2016

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GRECO MARCO N. IL 21/11/1974
avverso l’ordinanza n. 931/2015 TRIB. LIBERTA’ di LECCE, del
05/01/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DANIELE CENCI;
4ettdsentite le conclusioni del PG Dott. O tuoA-0 ■A,
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RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza del 9 giugno 2015 il Tribunale di Lecce, a seguito di appello
del Pubblico Ministero avverso l’ordinanza emessa il 17 maggio 2015 dal G.i.p.
del Tribunale di Lecce, con la quale veniva sostituita la misura cautelare della
custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari nei confronti di Marco
Greco, indagato – anche – per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309, ha disposto il ripristino della custodia in carcere del medesimo ritenendo

introdotto alcuna modifica della presunzione di pericolosità dell’indagato in
ordine alla fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.

2. Avverso la richiamata ordinanza del 9 giugno 2015 Marco Greco ha
proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento, per due motivi:
1) violazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art.
275 comma 3, cod. proc. pen., avendo il Tribunale ritenuto erroneamente che la
legge menzionata non abbia introdotto modifiche al regime di cui all’art. 275
comma 3-bis, cod. proc. pen., mentre il delitto contestato all’indagato rientra tra
quelli di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., in relazione ai quali la
custodia cautelare in carcere è applicata salvo, tuttavia, siano acquisiti elementi
dai quali risulti l’insussistenza delle esigenze cautelari o che in relazione al caso
concreto le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure;
2) violazione di legge ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen., in riferimento
all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., avendo già il G.i.p. ritenuto che gli arresti
domiciliari potessero soddisfare le esigenze cautelari nei confronti del ricorrente.

3. Con sentenza n. 49323 del 28 ottobre 2015 la Corte di cassazione, Sez.
3, in accoglimento del primo motivo di ricorso, ha annullato con rinvio per nuovo
esame l’ordinanza impugnata, osservando, testualmente, tra l’altro, che «[…]
l’ordinanza impugnata contiene un’applicazione erronea delle disposizioni in
materia di esigenze caute/ari […] non v’è dubbio che rientrasse nei poteri del
Tribunale dell’appello cautelare un eventuale ripristino della misura della custodia
in carcere, qualora avesse sostituito la propria valutazione sull’adeguatezza a
quella espressa dal G.i.p. nella sua ordinanza, ma l’ordinanza impugnata non si è
premurata di descrivere con motivazione adeguata tale valutazione, né di
precisare quali sono, nel concreto e con valenza di attualità, gli elementi in
ragione dei quali la adeguatezza alle esigenze cautelari menzionate (pericolo di
reiterazione delle condotte illecite, conseguente alla gravità dei fatti ed

2

condivisibile l’assunto del P.M. secondo cui la legge 16 aprile 2015, n. 47, non ha

all’inserimento del ricorrente negli ambienti criminali) debbono essere
salvaguardate necessariamente con la detenzione cautelare in carcere».

4. Con ordinanza del 5 gennaio 2016 il Tribunale di Lecce, decidendo in sede
di rinvio, in accoglimento dell’appello del P.M. avverso l’ordinanza del G.i.p. del
Tribunale di Lecce del 17 maggio 2015, ha sostituito la misura degli arresti
domiciliari con quella della custodia in carcere, ritenendo di dover confermare il

5.

Ricorre tempestivamente per cassazione il difensore dell’imputato

lamentando violazione di legge in relazione all’art. 275, comma 3, cod. proc.
pen. e, in riferimento allo stesso parametro normativo, anche mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, evidenziando che il
Tribunale per il riesame di Lecce avrebbe “eluso” la decisione della S.C.
Chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.All’udienza camerale del 12 maggio 2016 il difensore di fiducia
dell’indagato ha esibito ordinanza con la quale il Giudice procedente nei confronti
di Marco Greco ha revocato la misura degli arresti domiciliari, sostituendola, in
ragione della attenuazione delle esigenze cautelari, con l’obbligo di dimora.
Il difensore ha, quindi, dichiarato di rinunziare al ricorso per sopravvenuta
carenza di interesse, essendo venuto meno il titolo fondante la misura
custodiale.

2. Osserva la Corte che deve prendersi atto della sopravvenuta decisione
favorevole all’imputato che ha determinato la perdita di interesse della difesa.

3.Non deve, in conseguenza, condannarsi alle spese il ricorrente, che ha
ottenuto medio tempore la pronunzia favorevole cui aspirava.
Il Collegio, infatti, ritiene di dover ribadire continuità all’orientamento
interpretativo del quale sono espressione alcune pronunzie di legittimità (tra le
quali, Sez. 6, n. 31435 del 24/04/2012, Ighune, Rv. 253229; Sez. 3, n. 8025 del
25/01/2012, Oliverio, Rv. 252910; Sez. 2, n. 30669 del 17/05/2006, De Mitri,
Rv. 234859; Sez. 5, ord. n. 3101 del 16/12/2005, Alicino ed altro, Rv. 233747)
secondo cui possono essere valorizzati i motivi che hanno concretamente indotto
alla rinunzia ia parte, che ha conseguito il risultato che sperava di ottenere dalla
Corte. Appare, al riguardo, opportuno richiamare parte della condivisibile

giudizio di adeguatezza della sola misura cautelare della custodia in carcere.

motivazione di Sez. 2, n. 30669 del 17/05/2006, De Mitri, Rv. 234859: «A
mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità, dovrebbe
conseguire l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una
somma in favore della Cassa delle ammende. Tuttavia, la giurisprudenza ha in
altre simili occasioni ritenuto che tale disposizione si adatta all’ipotesi in cui il
ricorso risulti inammissibile perché manifestamente infondato, o proposto fuori
termine, o mediante difensore non abilitato al patrocinio in Cassazione;
diversamente, quando l’inammissibilità deriva dalla rinuncia al ricorso collegata

che si attendeva dalla stessa Corte (sent. n. 324 del 24.10.2000, rv. 216449,
Zamparmi), oppure è venuto meno l’interesse ad impugnare, per vicende
sopravvenute indipendenti dalla volontà del ricorrente medesimo, appare iniquo
ed irragionevole condannare la parte stessa alle spese ed alla penalità aggiuntiva
del pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende. Nel caso di
specie, quindi, posto che la rinuncia è stata determinata da una circostanza
sopravvenuta, cui non ha dato causa il ricorrente, si ritiene che a questo non
debbano far carico ne’ le spese processuali ne’ la prevista ammenda».
Dai rilievi che precedono discende la statuizione in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
Così deciso il 12 maggio 2016.

alla circostanza che il ricorrente ha ottenuto in altra sede la pronuncia favorevole

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