Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22714 del 12/04/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22714 Anno 2016
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: MENICHETTI CARLA

SENTENZA

sul ricors propostO da:
JASKACZEK BEATA ELZBIETA N. IL 01/01/1986
MAJCHRZAK LUCASZ ZYGMUNT N. IL 01/09/1985
MAJCHRZAK MATEUSZ TADEUSZ N. IL 25/03/1992
avverso la sentenza n. 976/2014 CORTE APPELLO di PERUGIA, del
20/01/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CARLA MENICHETTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
( (2-

A1212 C/16 ./UCCACYV‘erl

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 12/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 20 gennaio 2015 la Corte di Appello di Perugia, decidendo
in sede di rinvio dalla corte di cassazione, che aveva annullato limitatamente al
trattamento sanzionatorio la precedente sentenza della Corte di Appello di Ancona di
condanna di Jaskaczek Beata Elzbieta, Majchrzak Lucasz Zygmunt e Majchrzak Mateusz
Tadeusz, quali responsabili del delitto di detenzione a fini di spaccio di un ingente
quantità di marijuana pari a kg.37,116, rideterminava le pene alla luce della sentenza

reclusione ed C 16.000,00 di multa la pena di anni 4 di reclusione ed C 20.000,00 di
multa, precedentemente comminata a ciascun imputato.
2. Avverso tale pronuncia hanno proposto distinti ricorsi gli imputati, per il tramite
dei difensori di fiducia, per inosservanza ed erronea applicazione di legge e mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla
quantificazione della pena ed al criterio di computo, all’immotivato diniego del giudizio di
prevalenza delle attenuanti generiche ed infine al riconoscimento dell’aggravante di cui
all’art.80, comma 2, DPR n.309/90. La Jaskaczek si duole poi che non sia stato valutato il
ruolo accessorio da lei svolto nella commissione del delitto, dovuto solo ai suoi rapporti
personali con il Lukasz, e dunque la possibilità di ravvisare l’attenuante dell’art.114 c.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi non meritano accoglimento.
Con la pronuncia oggetto di impugnazione la Corte territoriale si è perfettamente
adeguata alla indicazione del giudice di legittimità, provvedendo ad una riduzione delle
pene originariamente irrogate e fornendo ampie giustificazioni in merito alla gravità delle
condotte.
Nulla poteva argomentare invece in ordine alla graduazione del giudizio di
colpevolezza dei singoli imputati, ed in particolare all’asserito minor grado di
coinvolgimento della Jaskaczek, poiché nella sentenza di annullamento la Corte di
Cassazione si era già pronunciata sul punto affermando esplicitamente che non solo era
evidente la responsabilità di tutti e tre gli imputati, ma non sussisteva “alcuna concreta
possibilità di differenziare le condotte ed i contributi causali dati”.
2. Per quanto attiene al trattamento sanzionatorio, i ricorrenti ritengono non
conforme a legge (artt.132 e 133 c.p.) e non sorretta da idonea motivazione la pena
irrogata, notevolmente distante dal minimo edittale.
La censura è infondata.
Più volte questa Corte ha statuito che il giudice d’appello nel rideterminare la pena
inflitta per il reato di cui all’art.73 DPR n.309/90 avente ad oggetto le droghe c.d.
“leggere” alla luce del trattamento più favorevole a seguito della sentenza della Corte
Costituzionale n.32 del 2014, esercita il potere discrezionale di cui agli artt.132 e 133

della Corte Costituzionale n.32 del 2014. Per l’effetto riduceva ad anni 3 mesi 8 di

c.p. in piena autonomia dalle scelte operate dal giudice di primo grado, dando conto in
motivazione della decisione presa, con l’unico limite, nell’ipotesi di appello proposto dal
solo imputato, del divieto di refornnatio in peius (Sez.4, 8.10.2015, n.44799), divieto che,
in base al chiaro tenore dell’art.597, comma 3, c.p.p. attiene alla gravità, per specie o
quantità, della pena concretamente irrogata.
Si è detto ancora che pure nelle situazioni in cui la sentenza di primo grado abbia
determinato la pena nella misura minima dell’editto allora vigente in relazione alle droghe

giudice di rinvio, non è vincolato a rimodulare la sanzione rendendola conforme ai nuovi e
più favorevoli parametri minimi edittali detentivi e pecuniari, potendo egli determinarla
discrezionalmente nell’ambito della più lieve cornice edittale, sempre fermo restando il
divieto di reformatio in peius (Sez.3, 29.4.2015, n.33396 e 9.9.2015, n.43594).
Non sussiste pertanto il denunciato vizio di violazione di legge: come si è visto, la
Corte di Perugia ha tenuto conto dell’innovazione normativa e legittimamente inflitto a
ciascun imputato una pena legale, commisurata ai criteri dettati dall’art.133 c.p. anche in
base alla nuova e più favorevole disciplina sanzionatoria.
Il potere di graduare la pena attribuito al giudice in relazione alle caratteristiche
del caso concreto, da un punto di vista soggettivo ed oggettivo, era infatti mutato a
seguito della modifica normativa ed il giudice doveva ad esso adeguarsi perché era
mutato il grado di disvalore della condotta. Ciò ha fatto con ampia e congrua
motivazione, con riferimento anche al giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche,
operando una valutazione a lui riservata e non censurabile davanti al giudice di
legittimità (Sez.Un., 26.6.2015/25.11.2015, n.46653).
La Corte territoriale ha ritenuto, in particolare, evidente la gravità del fatto per
l’ampiezza e la diffusività del commercio illecito di stupefacente cui avrebbe potuto dare
origine: si trattava infatti del trasporto, dalla Grecia all’Italia, di ben 37 kg. di marijuana,
da cui erano ricavabili oltre 101.000 dosi singole, numero di primario e assoluto rilievo
per qualunque mercato di destinazione. Le modalità dell’azione denotavano inoltre una
particolare professionalità delittuosa degli imputati, collegati con importanti canali di
rifornimento che non avevano inteso disvelare. Sicuramente doveva escludersi
l’occasionalità della condotta, poiché un tale cospicuo possesso e trasporto di droga
presupponeva una progressiva e ormai consolidata consuetudine delittuosa. Il fatto reato
era dunque rappresentativo di una condotta di vita improntata anche alla illegalità, e
nessun segno avevano dato gli imputati di una effettiva resipiscenza, non avendo
personalmente ammesso per intero le proprie responsabilità. Ha infine osservato che, se
la natura della sostanza in base ai precedenti parametri edittali, che equiparavano tutte
le sostanze stupefacenti, poteva ritenersi ai livelli più bassi di gravità, la nuova cornice
edittale delle droghe “leggere” imponeva invece di ritenere il fatto di particolare gravità in
relazione al quantitativo della sostanza ed alle modalità della condotta.
2

c.d. leggere, il giudice d’appello, quale giudice di merito di secondo grado ovvero quale

Anche sotto il profilo del vizio di motivazione la doglianza è dunque infondata.
3. Secondo i ricorrenti non sarebbe poi ravvisabile l’aggravante dell’art.80, comma
2, DPR n.309/90 – ritenuta dalla Corte territoriale in base al quantitativo detenuto ed alle
dosi ricavabili – per la modifica del sistema tabellare conseguito alla nota pronuncia della
Corte Costituzionale.
Il motivo non ha pregio.
A riguardo rileva il Collegio la Corte d’Appello ha basato la sua motivazione su

sentenza n.36258/2012, ed ha evidenziato altresì in maniera adeguata la diffusività del
commercio illecito di stupefacente tenuto conto del numero delle dosi che sarebbero state
immesse sul mercato.
La motivazione è perciò idonea a sostenere il giudizio di sussistenza
dell’aggravante, anche a prescindere dalle modifiche normative conseguenti alla
dichiarazione di incostituzionalità cui ha fatto riferimento la difesa dei ricorrenti, non
senza comunque considerare che questa Corte si è già pronunciata nel senso che per
effetto dell’espressa reintroduzione della nozione di quantità massima detenibile, ai sensi
del comma primo bis, dell’art.75 DPR n.309/90, come modificato dalla legge 16.5.2014,
n.79, di conversione, con modificazioni, del D.L.20.3.2014, n.36, mantengono validità i
criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente
detenibile, al fine di verificare la sussistenza della circostanza aggravante della ingente
quantità, di cui all’art.80, comma secondo, DPR n.309/90 (Sez.6, 8.10.2015, n.44596;
Sez.4, 27.1.2015, n.6331; Sez.4, 20.6.2014, n.32136; Sez.4, 2.7.2014, n.43465; Sez.6,
8.1.2016, n.543).
4. I ricorsi vanno pertanto respinti ed i ricorrenti condannati al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 aprile 2016

Il Consi

stensore

corretti parametri di riferimento, secondo quanto indicato dalle Sezioni Unite con la

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