Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22713 del 05/12/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 22713 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TERZO ANTONIO, nato il 16/11/1951
avverso l’ordinanza n. 3921/2012 TRIBUNALE UBERTÀ di NAPOLI
del 20/06/2012;

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale dott. Alfredo
Pompeo Viola, che ha chiesto in via principale la rimessione del
ricorso alle sezioni unite, attesa la sussistenza del contrasto in
materia di libertà, e nel merito il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 05/12/2012

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 20 giugno 2012 il Tribunale di Napoli, costituito ai sensi
dell’art. 310 cod. proc. pen., ha respinto l’appello proposto nell’interesse di Terzo
Antonio avverso l’ordinanza del 7 maggio 2012 del Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere, che aveva rigettato l’istanza volta alla declaratoria di inefficacia,
nei confronti dello stesso, della misura cautelare della custodia in carcere per
primo grado.
1.1. Il Tribunale condivideva la decisione impugnata che aveva ritenuto non
decorso il termine massimo di custodia cautelare in detta fase, poiché
all’ordinario termine di anni tre – come raddoppiato in ragione della complessità
del dibattimento – decorrente dal 9 maggio 2009 (data del decreto che dispone il
giudizio), andava sommato l’ulteriore periodo di mesi sei previsto dall’art. 303,
comma 1, lett. b, n. 3-bis, cod. proc. pen. per i reati ricompresi nella previsione
dell’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., tra i quali rientrava quello di cui
all’art. 629, comma 2, cod. pen., aggravato dall’art. 7 legge n. 203 del 1991,
ascritto al Terzo.
A tal fine il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere:
– aveva valorizzato l’interpretazione letterale dell’art. 304, comma 6, cod.
proc. pen., alla cui stregua “la durata della custodia cautelare non può comunque
superare il doppio dei termini previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, senza tenere
conto dell’ulteriore termine previsto dall’art. 303, comma 1, lett. b, numero 3bis”;
– aveva rimarcato che tale interpretazione era coerente con la rado
legislativa dell’intervento riformatore attuato con il d.l. n. 341 del 2000,
convertito in legge n. 4 del 2001, ispirata alla volontà di evitare, senza incidere
materialmente sulla dilatazione dei termini di fase (con la previsione della sola
traslazione del periodo aggiuntivo alle fasi precedenti o successive), la
scarcerazione di imputati di gravi delitti in procedimenti solitamente complessi
per il superamento dei termini di fase della custodia cautelare, ed era anche in
linea con i principi fissati dalla Corte costituzionale, che aveva più volte
affermato che il limite massimo dei termini di fase raddoppiati era invalicabile in
rapporto al sacrificio imposto alla libertà personale.
1.2. Il Tribunale del riesame, che affermava di non ignorare il prevalente
orientamento di questa Corte nel senso di ritenere che il periodo aggiuntivo fino
a sei mesi, previsto dall’art. 303, comma 1, lett. b, n. 3-bis, cod. proc. pen.,
introdotto con il d.l. n. 82 (recdus: 341) del 2000, non potesse cumularsi al
raddoppio dei termini di fase ex art. 304, comma 6, cod. proc. pen.,
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decorrenza dei termini custodia!’ massimi previsti per la fase del giudizio di

- rilevava che non era tuttavia intervenuta pronuncia delle Sezioni Unite e
che questa stessa Corte dava conto dei sussistenti dubbi interpretativi;
– osservava che la questione era sorta per la formulazione non felice della
norma di riferimento (art. 304, comma 6, cod. proc. pen.), ma che la stessa era
del tutto analoga a quella contenuta nel successivo comma 7 dello stesso
articolo, pacificamente interpretato nel senso di aggiungere al doppio del termine
di fase i periodi di rinvio per astensione;
– evidenziava che l’interpretazione propugnata – che consentiva un
da una fase diversa il periodo aggiuntivo, attraverso un recupero dell’eventuale
periodo residuo della fase precedente o mediante un’anticipazione del periodo
previsto per la fase successiva – trovava conforto nei lavori preparatori della
legge, che richiamava, rilevanti ai sensi dell’art. 12 delle preleggi;
– rimarcava che, in particolare, l’espressa previsione normativa del
prolungamento ex lege, e quindi automatico, per un periodo non superiore a sei
mesi della durata della custodia cautelare con riferimento alla fase del
dibattimento (e per i soli reati previsti dall’art. 407, comma 2, lett. a, cod. pen.),
Imponeva al giudice procedente di compiere una complessa operazione di
Imputazione, attraverso il recupero dell’eventuale periodo residuo della fase
precedente o l’anticipazione del periodo previsto per Il giudizio di cessazione, con
conseguente riduzione di quest’ultimo;
– sottolineava, quindi, che il termine aggiuntivo andava considerato ai fini di
cui all’art 304, comma 6, cod. proc. pen., strutturato nel suo interno con la
previsione di una diversa tipologia di sbarramenti temporali, riferiti alla specifica
fase del procedimento, nella prima parte, e all’intero procedimento, nella
seconda parte. Circa lo sbarramento di fase, la norma prevedeva, atteso il suo
tenore letterale, che il termine aggiuntivo indicato non poteva essere oggetto di
raddoppio, limitato ai termini ordinari di cui all’art. 303, comma 1, cod. proc.
pen., né era soggetto al limite previsto per la fase in cui era utilizzato. Detto
termine aggiuntivo era, invece, soggetto al limite finale di cui alla residua parte
della disposizione. Conseguiva a tali rilievi che la legge aveva solo operato una
diversa distribuzione dei periodi di custodia cautelare tra le fasi del procedimento
lasciando invariati i soli limiti complessivi – finali;
– deduceva che tali argomentazioni e conclusioni non erano scalfite dai
motivi di appello che avevano solo rappresentato il loro contrasto con l’indirizzo
prevalente di legittimità.
2.

Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cessazione,

personalmente, Terzo Antonio, che ne chiede l’annullamento, con conseguente
dichiarazione della cessazione della efficacia della misura cautelare in atto, sulla
3

prolungamento della custodia cautelare (fino a sei mesi), prendendo in prestito

base di unico motivo, con Il quale denuncia violazione di legge ex art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 303, comma 1, lett. b, n. 3 bis, e 304, comma 6, cod. proc. pen., e illogicità e contraddittorietà della
motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Il ricorrente si duole che il Tribunale si sia limitato a ripercorrere l’ordinanza
impugnata, senza valutare quanto prospettato in atto di appello in merito alla corretta
Interpretazione della norma di riferimento e alle ragioni logico-sistematiche che la
sorregono, e abbia proceduto a una semplificazione interpretativa richiamando l’analogia

dell’avverbio “comunque”, contenuto nell’art. 304, comma 6, cod. proc. pen. (“la durata
della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti

dall’art. 303, commi 1, 2 e 3”), riferito chiaramente alla durata complessiva della
custodia cautelare, e dell’inciso “senza tenere conto”, contenuto nel medesimo articolo
(“senza tenere conto dell’ulteriore termine previsto dall’art. 303, comma 1, lett. b,

numero 3 bis”), che fissa un limite della frazione temporale in discussione.

Il ricorrente contesta, pertanto, l’interpretazione del Tribunale sulla base del rilievo,
avvalorato da precedenti giurisprudenziali di legittimità, che il doppio del termine
custodiate costituisce limite invalicabile, e che, per l’effetto, nel relativo computo non va
considerato l’ulteriore periodo di mesi sei.
L’intervenuto decorso il termine di fase alla data del provvedimento impugnato
doveva, conseguentemente, comportare la declaratoria di inefficacia della misura
cautelare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per sopravvenuta carenza d’interesse.

2. Nel sistema processuale penale, la nozione di interesse a impugnare,
richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. quale condizione della
Impugnazione e requisito soggettivo del relativo diritto, non è basata sul
concetto di soccombenza, posto a base delle impugnazioni civili, che
presuppongono un processo di tipo contenzioso e, quindi, una lite intesa come
conflitto di interessi contrapposti.
Essa deve essere, invece, individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia
nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una
situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in
quella, positiva, del conseguimento di una utilità, ossia di una decisione più
vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente
coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011,
dep. 17/02/2012, Marinaj, Rv. 251693).

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lessicale con l’art. 304, comma 7, cod. proc. pen. senza soffermarsi sulla interpretazione

2.1. Il requisito dell’interesse deve, in particolare, configurarsi in maniera
immediata, concreta e attuale, e sussistere oltre che al momento della
proposizione del gravame anche in quello della sua decisione, perché questa
possa potenzialmente avere una effettiva incidenza di vantaggio sulla situazione
giuridica devoluta alla verifica del giudice della impugnazione (Sez. U, n. 10272
del 27/09/1995, dep. 18/10/1995, Serafino, Rv. 202269; Sez. U, n. 42 del
13/12/1995, dep. 29/12/1995, P.M. in proc. Timpani, Rv. 203093; Sez. U, n. 20
del 09/10/1996, dep. 06/12/1996, Vitale, Rv. 206169; Sez. U, n. 7 del
A tale riguardo si è presa in specifica considerazione la categoria della
“carenza d’interesse sopraggiunta”, individuandosi il suo fondamento
giustificativo nella valutazione negativa della persistenza, al momento della
decisione, di un interesse all’impugnazione, la cui attualità è venuta meno a
causa della mutata situazione di fatto o di diritto intervenuta medio tempore,
assorbendo la finalità perseguita dall’impugnante, o perché la stessa ha già
trovato concreta attuazione, ovvero perché ha perso ogni rilevanza per il
superamento del punto controverso (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, citata, Rv.
251694).
2.2. Alla luce di questi consolidati principi, che il Collegio condivide, non
sussiste, nel caso in esame, l’interesse al ricorso, poiché acquisita con la svolta
interrogazione, attraverso il sistema informativo del Ministero della Giustizia, la
posizione giuridica del ricorrente per la sua inevitabile verifica preliminare, è
risultato che Il ricorrente in stato di “appellante”, detenuto in forza della
ordinanza di custodia cautelare in carcere del G.i.p. del Tribunale di Napoli del 26
maggio 2008, è stato condannato, con sentenza del Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere del 12 giugno 2012 alla pena di anni quattordici di reclusione.
Tale emergenza comporta che la fase del giudizio di primo grado si è definita
subentrando quella allo stesso successiva e con essa il nuovo termine di durata
massima della custodia cautelare di cui all’art. 303, comma 1, lett. c), cod. proc.
pen., ed esclude che possa ritenersi sussistente un interesse del ricorrente a
coltivare l’impugnazione per una questione non più attuale e da essa assorbita.
2.3. Né un interesse è stato oggetto di specifica e motivata deduzione del
ricorrente, idonea a evidenziare in termini concreti eventuale pregiudizio
derivando al medesimo.
Neppure un interesse giuridicamente rilevante può essere desunto da non
prognosticabili evenienze future collegate a un non prevedibile sviluppo
processuale, le cui cadenze potrebbero giustificare, in presenza delle condizioni
fattuali e normative, una richiesta difensiva connessa ai termini custodiali.

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25/06/1997, dep. 18/07/1997, Chiappetta, Rv. 208165).

4. Alla dichiarazione d’inammissibilità consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto
del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
La Cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94,
comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Dispone trasméttersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento del
Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att.

cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2012

Il Consigliere estensore

Il Presidente

P.Q.M.

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