Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22658 del 07/05/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22658 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: BLAIOTTA ROCCO MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LEDDA MAURIZIO N. IL 03/09/1957
avverso la sentenza n. 124/2010 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
SASSARI, del 26/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per f 1~.(v..42 S 5;444 4pLs. 14’40 1 54P

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 07/05/2013

2 LEDDA

Motivi della decisione
1. Il Tribunale di Sassari ha affermato la responsabilità dell’imputato in epigrafe in
ordine ai reati di omicidio colposo in danno di Pistoletto Gavino e di simulazione di reato;
e lo ha altresì condannato al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili. La
sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Cagliari.
Secondo quanto ritenuto dei giudici di merito, è pacifico che la vittima stava

riportando lesioni letali. All’imputato, nella veste di datore di lavoro, è stato mosso
l’addebito di non aver per nulla assicurato la sicurezza della pericolosa lavorazione in
questione. è stata altresì ritenuta l’esistenza del delitto di simulazione di reato per aver
falsamente dichiarato, nell’immediato, che le lesioni erano state determinate da
investimento con un’auto

2. Ricorre per cassazione l’imputato deducendo diversi motivi.

2.1 Con il primo motivo si lamenta che erroneamente l’avviso afferente all’udienza
d’appello è stato notificato all’imputato presso il difensore e non nel domicilio eletto in
interrogatorio, come da documentato che si produce. La notificazione in tale luogo, che
costituisce ancora sede della residenza, non è stata neppure tentata. E d’altra parte nel
caso in esame non trova applicazione l’art. 157, comma 8, cod. proc. pen. Se ne deduce
nullità della dichiarazione di contumacia e della sentenza d’appello.

2.2 Con il secondo motivo si censura la logicità della motivazione quanto alla
ritenuta responsabilità.
Si assume che erroneamente è stata ravvisata l’esistenza di un rapporto di lavoro
subordinato: si è trascurata la relazione di amicizia e solidarietà con la vittima e si è dato
completo ed ingiustificato credito alle dichiarazioni dei familiari. Peraltro, dalle stesse
dichiarazioni è emersa l’esistenza di un rapporto di collaborazione assolutamente saltuario
e senza una remunerazione fissa.
Quanto al delitto di simulazione di reato si deduce che se è vero che
nell’immediato il ricorrente asserì l’esistenza di un infortunio per investimento in strada,
tuttavia subito dopo fu rivelata la verità. Tali dichiarazioni, peraltro, sono state rese
quando già emergeva comunque l’esistenza di un reato. L’indagato dunque non aveva
l’obbligo di verità ma era autorizzato a difendersi. In conseguenza le dichiarazioni in
questione non sono utilizzabili.

3. Il ricorso è infondato.
3.1 Dalla documentazione acquisita emerge che la notificazione all’imputato per
l’udienza del giudizio d’appello ha avuto luogo presso il difensore di fiducia ai sensi del
richiamato art. 157, comma otto, bis, cod. proc. pen. Tuttavia, come pure emerge dal
documento prodotto dalla difesa, l’imputato aveva in precedenza dichiarato il proprio

eseguendo lavori di sistemazione del tetto di un capannone quando cadde al suolo

domicilio. Si tratta di un ambito nel quale non trova applicazione la disciplina di cui al
ridetto comma 8 bis dell’art. 157 cod. proc. pen. Al riguardo le Sezioni unite (S. U. 27
marzo 2008. Rv. 239396) hanno enunciato il condiviso principio che è nulla la
notificazione eseguita a norma dell’art. 157, comma ottavo bis, cod. proc. pen. presso il
difensore di fiducia, qualora l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le
notificazioni. Trattasi di nullità di ordine generale a regime intermedio che deve ritenersi
sanata quando risulti provato che non ha impedito all’imputato di conoscere l’esistenza
dell’atto e di esercitare il diritto di difesa, ed è, comunque, priva di effetti se non dedotta
tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184, comma
primo, alle sanatorie generali di cui all’art. 183, alle regole di deducibilità di cui all’art.
182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 cod. proc. pen.. In applicazione di
detto principio le S.U. hanno ritenuto che il vizio di notificazione, difforme dal modello
legale, non abbia provocato lesioni del diritto di conoscenza e di intervento, del resto
nemmeno dedotti, dell’imputato, il quale, tra l’altro, aveva proposto personalmente le
impugnazioni di appello e di legittimità; d’altro canto, le S.U. hanno ritenuto tardiva la
relativa eccezione di nullità, che ben poteva e doveva essere proposta nel giudizio di
appello.
Il principio è stato affermato in un caso corrispondente a quello in esame. Infatti,
la nullità si è verificata nel giudizio d’appello. Essa era nota al difensore di fiducia avv.
Satta al quale è stato comunicato espressamente che la notificazione aveva luogo anche
per l’imputato ai sensi della disciplina ridetta. Lo stesso difensore, dunque, sebbene
consapevole dell’irritualità, non ha sollevato tempestivamente la relativa eccezione nel
giudizio d’appello; con la conseguenza che la nullità è stata sanata.

3.2 La sentenza impugnata, condividendo la valutazione espressa dal primo
giudice, considera che non vi è ragione di dubitare dell’attendibilità delle dichiarazioni dei
familiari della vittima, che sono parzialmente confermate da quelle del teste Ion, il quale
ha riferito che gli strumenti occorrenti per le lavorazioni venivano procurati dall’imputato.
La sentenza argomenta che il rapporto di lavoro si configura pure in presenza di
prestazioni saltuarie come nel caso di specie: la collaborazione si realizzava solo nei fine
settimana ed atteneva alla realizzazione di piccoli capannoni rurali. Tale decisivo dato è
stato confermato dallo stesso imputato. Le lavorazioni avevano luogo sulla base di
indicazioni del ricorrente e fruttavano al Pistoletto una retribuzione mensile di circa 500
euro.
Quanto all’altro illecito si considera che le false dichiarazioni sulla dinamica
dell’evento e sull’esistenza di un incidente stradale hanno indotto la polizia giudiziaria ad
effettuare rilievi di vario genere per oltre due ore. Tali accertamenti sono cessati solo
quando gli agenti si sono accorti di macchie di sangue indosso all’imputato, incompatibili
con l’ipotizzato investimento. Si aggiunge che l’imputato non si è limitato a tacere o
mentire, ma ha elaborato una messa in scena che ha deviato le indagini, ha indicato il
supposto veicolo investitore e la strada dell’investimento, determinando investigazioni su
fatti inesistenti. Tale condotta è enfatizzata anche dal fatto che l’imputato ha condotto la
polizia giudiziaria in ispezione sul luogo del supposto investimento.
Tali valutazioni sono immuni da censure.

t

Quanto al rapporto di lavoro subordinato, la pronunzia reca ampia ed appropriata
motivazione basata su plurime e significative acquisizioni già poste in luce nella prima
sentenza e ribadite da quella in esame. Vengono invero delineati plurimi e significativi
indizi dei quali è coerente inferire che l’imputato gestisse un rapporto di collaborazione
subordinata, saltuaria, ma caratterizzata dalla rapporto di direzione e retribuzione tipici
della prestazione lavorativa. Il ricorrente, peraltro, si limita a proporre censure generiche
ed in fatto.

Pure immune da censure e l’apprezzamento in ordine all’altra fattispecie. Come

difendersi ma ha elaborato una complessa messa in scena volta a far ritenere l’esistenza
di un incidente stradale che invece non sia era per nulla verificato, così occultando la
reale dinamica degli accadimenti.L’indicata messa in scena, come si è sopra esposto, si è
concretizzata anche nell’accompagnamento del personale di polizia giudiziaria finalizzato
all’effettuazione dei rilievi sulla strada e sull’auto. Dunque non può dubitarsi che tale
artata predisposizione dia luogo ad una distinta fattispecie illecita che, per la sua
complessità ed autonomia, trascende i limiti della mera condotta difensiva nel corso delle
indagini.
Il gravame deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna
al pagamento delle spese processuali.

PQM

rigetta il ricorso e condanna 11 ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Roma 7 maggio 2013

ampiamente esposto dalla Corte d’appello, l’imputato non si è limitato a tacere o a

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