Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22631 del 19/02/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22631 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: ACETO ALDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LAURIOLA ALESSANDRO N. IL 13/09/1976
PARISI MASSIMO N. IL 18/08/1973
avverso la sentenza n. 363/2015 GIP TRIBUNALE di MONZA, del
25/06/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO ACETO;

Data Udienza: 19/02/2016

RGN 41926/2015

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con la sentenza in epigrafe indicata, il G.i.p. del Tribunale di Monza ha applicato, nei confronti dei sigg.ri Alessandro Lauriola e Massimo Parisi, la pena
concordata di due anni di reclusione e 3.000,00 euro di multa ciascuno per il
reato continuato di concorso in detenzione, a fine di cessione a terzi, di gr. 1,50
di sostanza stupefacente del tipo cocaina, e nella cessione di singole dosi della

comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, commesso in Desio fino al 15/01/2015 con recidiva reiterata.

2.Propongono ricorso per cassazione gli imputati chiedendo l’annullamento
della sentenza per violazione degli artt. 125 e 444, cod. proc. pen., in ordine alla
quantificazione della pena.

3.1 ricorsi sono inammissibili perché manifestamente infondati.

4.Ricorda la Suprema Corte che, secondo un ormai consolidato principio,
«facendo richiesta di applicazione della pena, l’imputato rinuncia ad avvalersi
della facoltà di contestare l’accusa, o, in altri termini, non nega la sua responsabilità ed esonera l’accusa dall’onere della prova; la sentenza che accoglie la detta
richiesta contiene, quindi, un accertamento ed un’affermazione impliciti della responsabilità dell’imputato, e pertanto l’accertamento della responsabilità non va
espressamente motivato, così come l’affermazione di responsabilità non va
espressamente dichiarata» (Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, Di Benedetto). Di
conseguenza, «la motivazione della sentenza che applica la pena su richiesta
delle parti a norma dell’art. 444 comma secondo cod. proc. pen. si esaurisce in
una delibazione ad un tempo positiva e negativa. Positiva a quanto all’accertamento: 1) della sussistenza dell’accordo delle parti sull’applicazione di una determinata pena; 2) della correttezza della qualificazione giuridica del fatto nonché della applicazione e della comparazione delle eventuali circostanze; 3) della
congruità della pena patteggiata, ai fini e nei limiti di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.; 4) della concedibilità della sospensione condizionale della pena, qualora l’efficacia della richiesta sia stata subordinata alla concessione del beneficio.
Negativa quanto alla esclusione della sussistenza di cause di non punibilità o di
non procedibilità o di estinzione del reato. Le delibazioni positive debbono essere
necessariamente sorrette dalla concisa esposizione dei relativi motivi di fatto e di
diritto, mentre, per quanto riguarda il giudizio negativo sulla ricorrenza di alcuna
delle ipotesi previste dall’art. 129 cod. proc. pen., l’obbligo di una specifica moti-

medesima sostanza a vari acquirenti, di cui agli artt. 81, cpv., 110, cod. pen., 73,

vazione sussiste, per la natura stessa della delibazione, soltanto nel caso in cui
dagli atti o dalle dichiarazioni delle parti risultino elementi concreti in ordine alla
non ricorrenza delle suindicate ipotesi. In caso contrario, è sufficiente la semplice
enunciazione, anche implicita, di aver effettuato, con esito negativo, la verifica
richiesta dalla legge e cioè che non ricorrono gli estremi per la pronuncia di sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen..» (Sez. U, Di Benedetto,
cit.).
4.1.Unico dovere indeclinabile del giudice resta perciò quello di «esamina-

pena concordata, gli atti del procedimento al fine di riscontrare l’eventuale esistenza di una qualsiasi causa di non punibilità, la cui operatività, giustificando il
proscioglimento dell’imputato e creando un impedimento assoluto all’applicazione della sanzione, è necessariamente sottratta ai poteri dispositivi delle parti.
Tale operazione preliminare consiste in una ricognizione allo stato degli atti, che
può condurre a una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc.
pen. soltanto se le risultanze disponibili rendano palese l’obiettiva esistenza di
una causa di non punibilità, indipendentemente dalla valutazione compiuta dalle
parti e senza la necessità di alcun approfondimento probatorio e di ulteriori acquisizioni» (Sez. U, n. 3 del 25/11/1998, Messina).
4.2.La natura “negoziale” dell’accordo, una volta correttamente ratificato dal
giudice nei termini sopra indicati, inibisce alla parte di proporre ricorso per motivi
concernenti la misura della pena, a meno che si versi in ipotesi di pena illegale
(Sez. 3, n. 18735, del 27/03/2001, Ciliberti; m. 219852; Sez. 3, n. 10286 del
13/02/2013, Matteliano), circostanza che, nel caso di specie, può essere del tutto esclusa
4.3.Alla declaratoria di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc.
pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C.
Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento
nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che
si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 1500,00
ciascuno.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 19/02/2016

re, prima della verifica dell’osservanza dei limiti di legittimità della proposta di

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