Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22601 del 08/10/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22601 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LACI DILAVER N. IL 27/02/1966
avverso la sentenza n. 1118/2014 TRIBUNALE di LECCO, del
01/10/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIASTEFANIA DI
TOMAS SI;

Data Udienza: 08/10/2015

Ruolo N. 171 – RGN 8878 /2015 –

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Lecco applicava a Laci Dilaver, a
norma degli artt. 444 e 448 c.p.p., la pena di mesi dieci di reclusione in ordine al reato
continuato di cui agli attt. 13, comma 13-bis, d.lgs. n. 286 del 1998 e 477, 482 cod.
pen., accertato il 30.9.2014.
Propone ricorso per cassazione l’imputato che si duole del trattamento

2. Osserva il Collegio che i motivi di ricorso appaiono, oltre che manifestamente
infondati, destituiti di specificità e sono, perciò, comunque inammissibili, atteso che il
giudice, nell’applicare la pena concordata, si è da un lato adeguato a quanto contenuto
nell’accordo tra le parti, e dall’altro ha escluso che ricorressero i presupposti dell’art.
129 c.p.p., facendo riferimento in particolare alla comunicazione della notizia di reato
e ai documenti allegati. E tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura
dell’accertamento in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare
pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la
costante giurisprudenza di legittimità (v., tra le altre, Sez. un., 27 marzo 1992, Di
Benedetto; Sez. un., 27 settembre 1995, Serafino; Sez. un., 25 novembre 1998,
Messina). Mentre l’imputato che abbia chiesto l’applicazione di una determinata pena
non può dolersi della entità della sanzione da lui stesso sollecitata né della
complessiva adeguatezza del trattamento concordato, salvo che ricorra l’ipotesi, qui da
escludere, di pena illegale (cfr. Sez. un., 24 marzo 1990, Borzaghini).
3. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e all’inammissibilità consegue, ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione
(C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella
misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro
1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro 1.500,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso il giorno 8 ottobre 2015
Il consigliere e nsore

Il Presfzlente

sanzionatorio e della mancata applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen.

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