Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22590 del 08/10/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22590 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
VIETRI NICOLA N. IL 12/06/1977
avverso la sentenza n. 18093/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
24/03/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIASTEFANIA DI
TOMASSI;

Data Udienza: 08/10/2015

Ruolo N. 129 – RGN 7208 /2015 –

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Napoli confermava quella di
primo grado, che aveva condannato Nicola Metri alla pena di quattro mesi di arresto
per il reato continuato di cui all’art. 9, comma 1, legge n. 1423 del 1956 / 75 d.lgs. n.
159 del 2011, commesso dal 29.1.2011 al 29.8.2011, in Solofra e altrove.
Il fatto addebitato era rappresentato dalla violazione dello specifico obbligo,
associarsi con pregiudicati, accertato in 14 giorni differenti, a volte in più occasioni
nella stessa giornata..
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, e chiede
l’annullamento della sentenza impugnata denunciando: (I) violazione della legge
processuale per erronea dichiarazione della contumacia dell’imputato, detenuto, in
primo grado; (II) violazione della legge sostanziale e vizi della motivazione, non
risultando provata la conoscenza da parte dell’imputato della condizione di pregiudicati
dei soggetti con cui si era solo occasionalmente incontrato, né risultando la abitualità
di rapporti.
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1. Quanto al motivo in rito, il provvedimento impugnato ineccepibilmente
osserva che l’imputato aveva dichiarato domicilio e che le notifiche erano state
effettuate a tale domicilio a mani del fratello dichiaratosi convivente; che nulla
avevano rappresentava circa lo stato di detenzione dell’imputato sia il fratello all’atto
della recezione delle notifiche sia il suo difensore nel corso del giudizio; che non
risultando all’ufficio procedente lo stato di detenzione, le notifiche erano da ritenere
ritualmente effettuate al domicilio dichiarato.
E tale motivazione, assolutamente corretta in diritto non è efficacemente
contrastata dal ricorso che si limita ad osservare che il difensore non aveva oneri al
proposito: circostanza ininfluente; e che dagli atti risultava la detenzione: circostanza
priva di adeguata allegazione. La censura sul punto è dunque, oltre che
manifestamente infondata, generica.
2.2. La doglianza sull’elemento soggettivo, non sollevata con i motivi di appello e
nella sostanza sconfessata dalla deduzione secondo cui i soggetti con cui l’imputato
era stato visto accompagnarsi erano suoi conoscenti fin da “bambino”, è, per tali
ragioni, manifestamente infondata e improponibile per la prima volta con il giudizio di
legittimità.
2.3. Quanto alla censura sull’assenza di “abitualità;’ va ricordato che é principio
del tutto consolidato (v. tra molte Sez. 1, n. 16789 del 08/04/2008, Danisi) che il
carattere di abitualità che connota la condotta dell’associarsi con pregiudicati, vietata
dall’art. 5 comma 3 della legge n. 1423 del 1956 e punita dalla norma contestata, non
richiede la prova della costante e assidua relazione interpersonale con la medesima o
le medesime persone, potendo il comportamento vietato riguardare pregiudicati

2

inerente alla misura della sorveglianza speciale al ricorrente applicata, di non

diversi e la loro reiterata frequentazione essere assunta a sintomo univoco della
violazione di un obbligo che costituisce nella sostanza una delle forme di tipizzazione
della prescrizione di genere di non dare ragione di sospetti (C. cost. n. 354 del 2003).
Sicché a fronte del numero e della frequenza degli incontri e rapporti osservati, la
censura appare anch’essa, oltre che attinente ad apprezzamenti di merito,
manifestamente infondata e, in definitiva, generica.
3. All’inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna
correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in
favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte,
si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso il giorno 8 ottobre 2015
Il consigliere

ensore

Il Pr sidente

del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa

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