Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22572 del 05/02/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22572 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: CAMMINO MATILDE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PELUSO GIOVANNI N. IL 11/06/1970
avverso la sentenza n. 536/2007 CORTE APPELLO di CATANIA, del
19/12/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MATILDE CAMMINO;

Data Udienza: 05/02/2013

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Con sentenza in data 19 dicembre 2011 la Corte di appello di Catania confermava la
sentenza emessa il 12 dicembre 2006 dal Tribunale di Catania con la quale Peluso Giovanni era
stato dichiarato colpevole del reato di ricettazione di martelli e zappette di provenienza furtiva,
reato accertato in Catania il 19 ottobre 2003, ed era stato condannato, con la circostanza attenuante
del fatto di particolare tenuità equivalente alla recidiva, alla pena di mesi quattro di reclusione ed
euro 200,00 di multa.

Con il ricorso si deduce la violazione di legge e il vizio della motivazione circa l’effettiva
corrispondenza della merce di fattura artigianale ritrovata in un mercatino, ove l’imputato la
esponeva in vendita, a quella sottratta cinque giorni prima e circa il mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche solo in ragione dei precedenti penali dell’imputato.
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
In ordine alla prima doglianza difensiva, la Corte rileva che nella motivazione della sentenza
impugnata si afferma che era la stessa persona che aveva subito il furto a riconoscere con certezza
nella merce esposta sulla bancarella dell’imputato alcuni dei martelli e delle zappette sottrattigli,
evidenziandone le particolari fattura e rifinitura. La Corte territoriale si è adeguata al costante
orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità del
delitto di ricettazione, è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto,
senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa
conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche
essere desunta da prove indirette, allorché siano tali da generare in qualsiasi persona di media
levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di
quanto ricevuto. Questa Corte ha più volte, del resto, affermato che la conoscenza della provenienza
delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal
comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa
ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa
ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile
con un acquisto in mala fede (Cass. sez.I1 11 giugno 2008 n.25756, Nardino; sez.II 27 febbraio
1997 n.2436, Savic). Nella sentenza impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla
legittima acquisizione degli arnesi artigianali posti in vendita si pone come coerente e necessaria
conseguenza di un acquisto illecito.
Quanto al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, negato con riferimento ai
due precedenti penali (di cui uno per ricettazione) dell’imputato e alla sua spregiudicata condotta
nel caso concreto, la Corte osserva che La concessione o meno delle attenuanti generiche rientra

Avverso detta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve
essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa
l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Cass.
sez.VI 28 ottobre 2010 n.41365, Straface). Nel motivare il diniego della concessione delle
attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi
favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia
altri da tale valutazione (Cass. sez.VI 16 giugno 2010 n.34364, Giovane).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che,
alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo
profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 5 febbraio 2013
il cons. est.

riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli

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