Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2257 del 27/10/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2257 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PIERRO GIUSEPPE N. IL 23/09/1972
GERVASIO ANTONIETTA N. IL 28/11/1975
avverso la sentenza n. 638/2013 CORTE APPELLO di SALERNO, del
21/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. fl,rì
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che ha concluso per

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Data Udienza: 27/10/2015

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 21 novembre 2013 la Corte d’appello di Salerno confermava la
sentenza emessa dal locale tribunale che il 24 aprile 2012 aveva condannato PIERRO
Giuseppe e GERVASIO Antonietta per concorso nei reati di truffa appropriazione indebita
e falso.
Ricorrono per Cassazione gli imputati, a mezzo del difensore, con unico di ricorso nel
quale deducono che la sentenza impugnata è incorsa in:

citazione per il giudizio di appello non è mai venuto nella sfera di conoscibilità degli
imputati. In particolare evidenziano che la notifica è stata effettuata in Giffoni Valle Piana
via Cherubini 3 per il PIERRO e in via Vignadonica sempre di Giffoni Valle Piana per la
GERVASIO, quando già dal 16 luglio 2012 i due risultavano residenti in Sassari via Mario
Cordella numero 29 come da certificato rilasciato dall’anagrafe, allegato al ricorso.
Lamentano che la corte territoriale si è limitata a ritenere corretta la notifica effettuata al
difensore ai sensi dell’articolo 161 comma quattro codice procedura penale;
— vizio della motivazione ed erronea valutazione degli elementi probatori. Contestano che
la motivazione della corte territoriale è avvenuta per relazione alla sentenza di primo
grado. Contestano comunque l’attendibilità delle parti offese e il mancato accertamento
peritale sugli assegni.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La notifica della citazione in
appello risulta regolarmente effettuata per posta per il PIERRO nella residenza indicata
nella sentenza di primo grado e ribadita nell’atto di appello (Giffoni Valle Piana (Salerno)
via Cherubino n. 3- atto ricevuto dalla madre convivente) e per la GERVASIO nel
domicilio eletto c/o i genitori in Giffoni Via Vignadonica n. 2 .
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Ritiene il collegio che la Corte di appello, pur con estrema sinteticità espositiva, non abbia
reso una motivazione definibile mancante, e dunque viziata ai sensi dell’art. 606, lett. e),
c.p.p., ma si sia mantenuta nei limiti entro cui, secondo i principi giurisprudenziali in
materia, è consentito al giudice dell’impugnazione giustificare la propria decisione con
riferimento alle argomentazioni svolte nel provvedimento sottoposto al suo esame. Si
deve ricordare in proposito, infatti, come la giurisprudenza di legittimità fin dalla vigenza
del codice abrogato abbia affermato che non si configura una mera motivazione per
relationem, la quale si risolve in motivazione mancante, quando la sentenza di appello
dimostri di avere tenuto conto dei motivi addotti dalla parte con il gravame e,
riconosciuta la esattezza delle risposte date dai primi giudici, le coopti palesando di aver
tenuto conto degli elementi rilevanti al fine di decidere, valutati anche complessivamente,
per ciò stesso disattendendo le prove e le deduzioni incompatibili con la decisione
adottata specie quando la sentenza di primo grado abbia già fornito in modo completo la
1

— violazione di norma processuale stabilita a pena di nullità. Lamentano che il decreto di

soluzione dei quesiti riprodotti con l’appello, di guisa che una loro particolareggiata
risposta importerebbe una pedissequa ripetizione delle argomentazioni in quella già
espresse (sez. 1”, 12/07/1982, Fasani, rv 156496; Cass Sez. 2 n. 40921/2005); in altre
parole il vizio sussiste solo quando il giudice investito del gravame si limiti a respingerlo e
a richiamare la contestata motivazione del giudice di primo grado in termini
assolutamente apodittici, senza indicare i temi o problemi trattati, la soluzione offerta del
provvedimento impugnato e la natura delle censure, così da non consentire la
conoscenza di quei temi e, conseguentemente, la valutazione, in sede di legittimità,

22/12/1995, Mahovic, rv 204175). Ciò non si è verificato nel caso di specie, in cui la
Corte di appello ha ripercorso per intero le argomentazioni del tribunale in ordine ai punti
attinti dal gravame e le censure formulate in proposito con l’atto di appello, così
mostrando di avere presente natura e contenuto dei temi trattati e delle deduzioni
difensive e ne ha ritenuto l’infondatezza e quindi la non condivisibilità a determinare una
diversa lettura dei fatti, sia al diverso esito ricostruttivo cui era pervenuto il Tribunale. Nè
in questa sede il ricorrente, riprodotti sostanzialmente i motivi di appello e censurata la
sentenza di secondo grado sotto il profilo della difettosità della motivazione

per

relationem, ha specificamente indicato le ragioni per le quali la relatio debba ritenersi
imperfecta e cioè inadeguata rispetto a quanto dedotto con il gravame di merito.
Il ricorso è pertanto inammissibile e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento
delle spese processuali e ciascuno della somma di C 1000,00 da versare alla Cassa delle
Ammende.
L’inammissibilità del ricorso preclude l’accesso al rapporto di impugnazione ed impedisce
la declaratoria di prescrizione maturata dopo la pronuncia impugnata (Sez. un., 27
giugno 2001, Cavalera, Cass. Sez. un. 23428/05 Bracale).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti a pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di euro 1000,00 alla Cassa èlelle Ammende.
Così deliberato in Roma il 27.10.2015

dell’adeguatezza o meno delle risposte date, sia pure per relationem (sez. 4^,

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