Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22567 del 05/02/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22567 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: CAMMINO MATILDE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MASCALI MASSIMO N. IL 23/07/1973
avverso la sentenza n. 1137/2008 CORTE APPELLO di MESSINA, del
09/02/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MATILDE CAMMINO;

,

Data Udienza: 05/02/2013

t

Con sentenza in data 9 febbraio 2011 la Corte di appello di Messina confermava la sentenza
emessa il 26 febbraio 2008 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Patti con la quale
Mascali Massimo, all’esito del giudizio abbreviato, era stato dichiarata colpevole del reato di rapina
impropria aggravata, commesso in Patti il 12 settembre 2007, ed era stato condannato, con la
diminuente per il rito, alla pena di anni tre di reclusione ed euro 800,00 di multa.
Avverso detta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

territoriale non avrebbe tenuto conto che il fondo da cui era stato asportato il materiale non era
recintato ed era munito solo di sbarra di accesso e, inoltre, che il gesto di afferrare le braccia e le
mani di Spanò Santo non era finalizzato ad assicurarsi l’impunità non essendo l’imputato fuggito; il
ricorrente si duole inoltre della mancata qualificazione giuridica del fatto come tentato furto e
violenza privata nonché del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti previste dagli
artt.62 n.4 e 62 bis c.p..
Il ricorso è inammissibile.
Le doglianze riproducono infatti pedissequamente gli argomenti prospettati nell’appello, ai
quali la Corte territoriale ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in
diritto, che il ricorrente non considera né specificatamente censura. Il giudice di appello per
affermare l’infondatezza della tesi difensiva ha infatti, con argomentazioni ineccepibili sia
logicamente che giuridicamente, evidenziato “…le emergenze processuali in atti, sulla scorta delle
quali appare assolutamente provato che il fondo dal quale i beni sono stati prelevati era recintato e
munito di sbarra di accesso, che le condizioni di tali beni non erano compatibili con uno stato di
abbandono, che al momento dell’intervento dello Spanò i beni sottratti erano già entrati nella
disponibilità degli imputati, avendoli costoro già caricati sul loro camion, che avendo lo Spanò
annotato sul foglio la targa di quest’ultimo la semplice fuga non li avrebbe sottratti
all’identificazione da parte dell’autorità giudiziaria, che costoro pertanto usarono violenza allo
Spanò per sottrargli il figlio con la prova a loro carico…

Tale specifica e dettagliata motivazione, in base alla quale è stata esclusa la qualificazione
giuridica diversa prospettata dalla difesa nell’atto di appello, il ricorrente non prende nemmeno in
considerazione, limitandosi a ribadire la tesi già esposta nei motivi di appello e confutata, con
diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata che peraltro.
Quanto alle circostanze attenuanti richieste, il giudice di appello ha adeguatamente motivato
il mancato riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’art.62 n.4 c.p. con riferimento
al valore intrinseco dei beni sottratti e delle circostanze attenuanti generiche per il grave precedente
penale dell’imputato (art.74 D.P.R.309/90, come si desume dalla sentenza di primo grado). Si tratta

Con il ricorso si deduce la violazione di legge e il vizio della motivazione in quanto la Corte

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di valutazioni insindacabili nel merito e giustificate da elementi concreti e specifici di cui il
ricorrente non tiene conto nell’esposizione delle sue generiche doglianze.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che,
alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo
profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 5 febbraio 2013
il cons. est.

P.Q.M.

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