Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22566 del 08/10/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22566 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DI MAIO SEBASTIANO N. IL 22/04/1973
avverso l’ordinanza n. 710/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
POTENZA, del 03/12/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIASTEFANIA DI
TOMAS SI;

Data Udienza: 08/10/2015

Ruolo N. 29 – RGN 2975 /2015 –

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Potenza ha
respinto il reclamo di Sebastiano Di Maio avverso il provvedimento del Magistrato di
sorveglianza che aveva rigettato la sua richiesta di liberazione anticipata speciale, ex
art. 4 d.l. n. 146 del 2013, con. con mod. in I. n. 10 del 2014, rilevando che l’istante
era detenuto per reato ostativo (aggravato ai sensi dell’art. 7 di. n. 152 del 1991)
erronea applicazione dell’art. 4 di. n. 146 del 2013), osservando che la sua domanda
era stata proposta quando ancora non era intervenuta la legge di conversione che
aveva introdotto l’esclusione per i condannati per taluni dei reati elencati nell’art. 4-bis
Ord. Pen.; che, diversamente da quanto affermato dal Tribunale, andava fatta
applicazione della legge vigente al momento della domanda; che la modifica in sede di
conversione non poteva produrre modifiche retroattive, dovendosi invece avere
riguardo ai risultati già raggiunti dal condannato e che vi era dimostrazione della sua
meritevolezza.
2. La doglianza è manifestamente infondata e il ricorso è inammissibile.
2.1. Come è noto, nel testo originario l’art. 4 del d.l. 23 dicembre 2013, n. 146
prevedeva che la speciale detrazione di pena per il periodo di 75 giorni, ivi prevista, si
applicasse anche ai condannati per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis I. 26
luglio 1975, n. 354 (Ord. Pen.) a condizione che avessero dato prova, nel periodo di
detenzione, «di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori
del positivo evolversi della personalità». A seguito delle modifiche recate dalla legge di
conversione 21 febbraio 2014, n. 10, in vigore dal 22 febbraio 2014, l’art. 4, comma
1, esclude dal beneficio i condannati per detti delitti.
Nonostante la formulazione del testo normativo a seguito degli emendamenti
apportati con la legge di conversione non possa dirsi felice, è da ritenere che
l’esclusione dal maggiore beneficio per i condannati per i delitti indicati dall’art. 4-bis
ord. pen. operi sia per la liberazione anticipata speciale da concedersi per i periodi
successivi all’entrata in vigore della nuova disciplina sia con riferimento ai periodi
pregressi a far data dal 10 gennaio 2010, cui fa riferimento il comma 2. La esclusione,
non espressamente ripetuta in detto comma, apparendo implicitamente richiamata,
oltre che per l’espressa intenzione in tal senso manifestata dal legislatore nei lavori
parlamentari, per la concatenazione della formulazione legislativa e per insuperabili
esigenze di tenuta sistematica della disciplina, secondo quanto già osservato da Sez.
1, n. 3130 del 19/12/2014, dep. 2015, Moretti, cui per brevità si rimanda.
2.2. Ciò detto, neppure può ritenersi che le modifiche apportate alla disciplina
della liberazione anticipata speciale in sede di conversione, con legge n. 10 del 2014,
del d.l. n. 146 del 2013 (come detto, escludendo dalla sfera d’applicazione del

4-bis ord. pen) non
s’applichino al condannato che aveva fatto istanza prima di detta conversione.
Al proposito non può non richiamarsi quanto già osservato con le sentenze Sez. 1,
beneficio i condannati per taluno dei delitti indicati nell’art.

Propone ricorso il Di Maio, personalmente, e denunzia vizi della motivazione (ed

n. 34073 del 27/06/2014, Panno e Sez. 1, n. 3130 del 2015, Moretti, citata.
E’ sufficiente qui ricordare, anzitutto e in linea generale, che le norme in materia
di benefici penitenziari non sono norme “processuali” ma neppure costituiscono norme
incriminatrici, cui si applicano gli artt. 25 Cost. e 2 cod. pen., trattandosi più
semplicemente di disposizioni sostanziali che, pur non costituendo norme “penali” in
senso stretto (ai sensi delle disposizioni richiamate), incidono sulla durata e/o sulle
modalità di esecuzione della pena.
In ogni caso, l’evocazione di principi in vario modo regolanti il fenomeno della
al fenomeno in esame, che concerne la sorte delle disposizioni di un decreto-legge non
recepite nella legge di conversione e che trae regola direttamente dall’art. 77 Cost., il
quale, al terzo comma, dispone che «I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non
sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere
possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non
convertiti»,

mentre nel caso in esame nessuna regolazione legislativa risulta

effettuata.
Sicché, come rimarca C. cost. n. 51 del 1985, «indipendentemente da quello che
possa ritenersi in proposito della norma dettata con decreto-legge ancora convertibile,
la norma contenuta in un “decreto-legge non convertito” non ha […] attitudine, alla
stregua del terzo e ultimo comma dell’art. 77 Cost., ad inserirsi in un fenomeno
“successorio”, quale quello descritto e regolato dai commi secondo e terzo [ora
quarto] dell’art. 2 c.p.», per il quale vale il principio di irretroattività delle disposizioni
di sfavore o della operatività della norma penale più favorevole relativamente ai “fatti
preg ressi”.
Se riferito a una “alternanza normativa” del tipo considerato (cui è assimilabile
l’ipotesi della declaratoria d’illegittimità costituzionale della norma mitius), il principio
della irretroattività della legge più sfavorevole (o della ultrattività di quelle più
favorevole) potrebbe trovare, dunque, applicazione «soltanto relativamente ai fatti
commessi nel vigore – anche se poi caducato – della “norma penale favorevole”
contenuta in un “decreto-legge non convertito” (cioè nell’orbita della vicenda di
alternatività), fatti rispetto ai quali soltanto sorge, ai fini dell’applicabilità del principio
stesso, il problema dell’operatività del risultato normativo in discorso, e rispetto ai
quali soltanto tale risultato potrebbe equipararsi a una “norma penale sfavorevole”;
non anche relativamente ai “fatti pregressi”».
In altri termini, l’ “efficacia” del decreto-legge (in tutto o in parte) non convertito
che può farsi salva è da ritenere per principio circoscritta ai soli, cosiddetti, “fatti
concomitanti”: per tali dovendosi intendere i comportamenti cui si riferisce la pretesa
azionata, non la pretesa in sé. E non può in alcun modo essere estesa sino al
riconoscimento di un diritto o di una aspettativa per comportamenti o situazioni
precedenti, solo perché la relativa domanda era ancora sub iudice al momento della
conversione del decreto.
Nessun fondamento ha, dunque, l’evocazione del principio tempus regit actum e

successione di leggi penali o sostanziali nel tempo, non può in alcun modo attagliarsi

del canone della applicazione della legge vigente al momento della domanda, che nulla
hanno a che vedere con il problema della ultrattività della norma penale più favorevole
e che si riferiscono ai fenomeni di successione delle legge nel tempo, non a quelli
invece concernenti la «alternatività sincronica» fra produzioni normative, quali sono
sia la dichiarazione di illegittimità costituzionale sia la mancata conversione di un
decreto-legge.
3. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e all’inammissibilità consegue, ai
spese del procedimento. La relativa novità e particolarità della vicenda normativa
consente di escludere profili di colpa (C. cost. n. 186 del 2000) che giustifichino la
condanna al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il giorno 8 ottobre 2015
Il consiglier stensore

Il Pre idente

sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle

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