Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22537 del 18/03/2016

Penale Sent. Sez. 5 Num. 22537 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: CAPUTO ANGELO

Data Udienza: 18/03/2016

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
T.U.
X.S.
avverso la sentenza n. 42/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
16/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO
nerale in persona del Dott.
Udito il Procurat
chehacos isoper

Udito, per la

e civile, l’Avv

Uditi ensor Avv.

(D

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott.ssa F. Loy, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
Udito altresì per X.S.  l’avv. P. G., che ha concluso riportandosi ai
motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata il 16/12/2014, la Corte di appello di Milano ha

abbreviato, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano aveva
dichiarato: 1) T.U.  e X.S.  responsabili, in
concorso, del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, perché – il primo
quale amministratore unico di “Le Vacanze di LPM” s.r.l. (dichiarata fallita il
05/03/2009), il secondo quale amministratore unico di Barchesse s.r.l. e
Cibiemme Team – Italia s.r.l. – distraevano i beni della fallita, costituiti da 481 di
diritti di comproprietà a godimento ciclico temporaneo da esercitarsi su 34
immobili ubicati in Vadelago, cedendoli alle società amministrate da X.S.
verso un corrispettivo notevolmente inferiore al valore dei diritti venduti e, in
realtà, mai corrisposto; 2) T.U.  responsabile anche del reato di
bancarotta fraudolenta documentale, con l’aggravante di aver commesso più fatti
di bancarotta; gli imputati erano stati condannati alla pena di giustizia e al
risarcimento dei danni in favore della parte civile.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto
personalmente ricorso per cassazione T.U. , articolando i motivi di
seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Non si può imputare alla cessione dei diritti di comproprietà del 16/07/2008
il dissesto della società, in quanto tale operazione era giustificata dalla volontà di
T.U. di sanare l’esposizione debitoria della società (risalente alla precedente
gestione) verso il condominio Le Barchesse: erroneamente la Corte di appello ha
ritenuto che la situazione debitoria fosse di gran lunga inferiore al prezzo di
vendita, desumendo tale dato da una missiva del 16/07/2008 diretta
all’amministratore del condominio, missiva in cui, in realtà, si fa riferimento solo
ad una parte del debito pregresso della società. Nessuna somma è stata versata
dalle società di X.S. alla fallita e nessun compenso è stato percepito da
Rosa: unico beneficiario è stato X.S. , che si era attivato presso la curatela
per il pagamento di 150 mila euro a fronte della rinuncia all’azione revocatoria;
di fatto, è stato X.S.  a procedere all’effettiva restituzione dei diritti di
comproprietà al fallimento, cercando di ovviare ad una situazione dalla quale lui

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confermato la sentenza del 26/10/2011 con la quale, all’esito del giudizio

solo aveva tratto vantaggio. Non si ravvisa in capo al ricorrente l’elemento
psicologico, non essendo stata provata l’esistenza di un accordo illecito tra i
coimputati.
Quanto alla bancarotta documentale, erroneamente la Corte di appello ha
attribuito a T.U. l’occultamento delle scritture contabili per il solo fatto di aver
dichiarato al curatore la propria disponibilità a reperirle, senza, di fatto, mai
consegnarle allo stesso: l’imputato ha spiegato di non essere riuscito a
recuperare le scritture a causa dei successivi trasferimenti e conseguenti

seno alla società fallita. La Corte di appello ha escluso la riqualificazione come
bancarotta semplice, limitandosi a richiamare le dichiarazioni iniziali di T.U. al
curatore.
L’esclusione delle circostanze attenuanti generiche è motivata in modo
inadeguato, richiamando solo i precedenti dell’imputato, mentre anche la pena è
stata determinata in modo eccessivo.

3. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Milano ha
proposto ricorso per cassazione anche X.S. , attraverso il
difensore avv. P. V. Gianotti, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti
di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 178 e 179 cod. proc. pen. per
omessa notificazione all’imputato del decreto di citazione per il giudizio di
appello. Premesso che la notificazione in questione è stata eseguita presso lo
studio dell’avv. Gianotti, dalla sentenza di primo grado e dal decreto di citazione
a giudizio risulta l’elezione di domicilio dell’imputato in Milano, Via Elba, n. 28,
ossia presso la propria abitazione: posto che X.S. risulta residente presso
tale indirizzo (come documentato dall’allegato certificato), non si comprende
come sia diventato impossibile eseguire la notificazione. Inoltre, in data
15/04/2011 l’imputato nominava l’avv. Domenico Tringale, eleggendo domicilio
presso lo studio dell’indicato difensore di fiducia, dove doveva essere notificato il
decreto di citazione.
Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine alla sussistenza del
dolo nel reato di bancarotta per distrazione contestato a X.S. : dopo aver
valutato la sussistenza dell’elemento materiale del reato di bancarotta per
distrazione, la Corte si è limitata ad affermare la certa attribuibilità del dolo ad
entrambi gli imputati, senza alcuna indicazione circa la sussistenza o meno in
capo al ricorrente dell’elemento psicologico del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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traslochi della società, senza omettere nulla in ordine alla propria operatività in

1. I ricorsi sono inammissibili.

2. Il ricorso proposto da T.U.  deve essere dichiarato inammissibile.
2.1. Le doglianze relative ai fatti di bancarotta per distrazione sono
inammissibili, per plurime, convergenti, ragioni.
La Corte di appello ha rilevato che T.U.  (già amministratore/liquidatore di
dodici società fallite tra il 1994 e il 2008) era, dal febbraio del 2006,

05/03/2009 con un passivo accertato, alla data della relazione ex art. 33 I. fall.,
nella misura di più di 2 milioni di euro. In data 16/07/2008, la società, come nel
dettaglio è precisato dalla conforme sentenza di primo grado, ha venduto diritti
di comproprietà a godimento ciclico temporaneo da esercitarsi su 34 unità
immobiliari ubicate a Vedelago a Barchesse s.r.l. (costituita in data 11/07/2008:
469 diritti per 490 mila euro, più IVA) e a Cibiemme Team Italia s.r.l. (12 diritti
per 14 mila euro, più IVA) dando atto che «il corrispettivo di vendita (…) è stato
pagato in buona valuta legale in data anteriore ad oggi». I successivi
accertamenti, rileva la Corte distrettuale, hanno consentito di verificare che le
somme asseritamente versate non erano mai state corrisposte; interrogato dalla
polizia giudiziaria, T.U. aveva confermato che la vendita era stata effettuata
senza corrispettivo e aveva riferito che l’operazione era stata effettuata in
quanto X.S. si sarebbe accollato le spese condominiali degli esercizi
2002/2007 e che, qualora fosse rimasta una plusvalenza, il 50% della stessa
sarebbe stato trattenuto da X.S. , mentre l’altro 50% sarebbe stato restituito
alla società venditrice. Rileva la sentenza impugnata che, con riguardo ai patti
collaterali indicati dall’imputato, non veniva fornito alcun principio di prova e che
il difensore di Barchesse s.r.l. aveva inviato una raccomandata dalla quale risulta
che la situazione debitoria complessiva ammontava a 209 mila euro e non a 750
mila euro come prospettato da T.U. in sede di interrogatorio. La cessione
dell’unico, rilevante, cespite societario, rileva ancora il giudice di appello, è
pacificamente avvenuta senza corrispettivo e senza che l’acquirente pagasse
alcuna somma, laddove, come ha osservato il primo giudice, l’accordo indicato
da Rosa, non sorretto da alcuna prova, doveva essere riportato nel contratto di
vendita e, comunque, non è dato comprendere la ragione per la quale
l’acquirente avrebbe dovuto corrispondere solo il 50% del valore dei beni ceduti,
dedotti i debiti, e non il 100%.
A fronte della motivazione delle concordi sentenze di merito, le doglianze del
ricorrente incentrate sull’epoca di formazione del debito della fallita sono
manifestamente infondate, al lume dell’orientamento del tutto consolidato della

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amministratore unico di “Le Vacanze di LPM” s.r.I., che fu dichiarata fallita il

giurisprudenza di questa Corte secondo cui ai fini della sussistenza del reato di
bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso
causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento (Sez. 5, n. 32352 del
07/03/2014 – dep. 22/07/2014, Tanzi e altri, Rv. 261942; conf., ex plurimis,
Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014 – dep. 07/03/2014, Ghirardelli, Rv. 262741;
Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014 – dep. 18/11/2014, Simone, Rv. 261683).
Inammissibile in quanto del tutto generica è poi la doglianza relativa alla missiva
inviata all’amministratore del condominio, posto che, denunciando, nella

specifica individuazione degli atti processuali fatti valere (Sez. 6, n. 9923 del
05/12/2011 – dep. 14/03/2012, S., Rv. 252349).
Prive di consistenza argomentativa sono le ulteriori doglianze circa
l’individuazione del “beneficiario” dei fatti distrattivi, laddove, quanto
all’elemento psicologico del reato, è sufficiente, per rilevare la manifesta
infondatezza delle censure, richiamare il consolidato indirizzo della
giurisprudenza di legittimità in forza del quale l’elemento soggettivo del delitto di
bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico, sicché è
sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attività
distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono
sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che
sia necessaria l’intenzione di causarlo (Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014 – dep.
11/12/2014, Rebuffo, Rv. 261739) o lo scopo di recare pregiudizio ai creditori
(Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014 – dep. 15/12/2014, Lelli, Rv. 261348):
consapevolezza, questa, congruamente motivata dalle concordi sentenze di
merito, restando irrilevante la prospettata intenzione di sanare la situazione
debitoria, intenzione comunque esclusa dalle modalità del fatto accertate dai
giudici di merito.
2.2. Le censure relative all’imputazione di bancarotta documentale sono del
pari inammissibili. La sentenza impugnata ha puntualmente richiamato le
dichiarazioni rese al curatore con le quali T.U. riferiva che la contabilità della
fallita era stata conservata presso la sede legale di Milano fino allo sfratto e,
successivamente, era stata trasferita in altro indirizzo specificamente indicato:
l’impegno assunto dall’imputato con il curatore di consegnare la contabilità non
era stato mantenuto, il che, osserva la Corte distrettuale, rende ragione della
volontà di impedire la ricostruzione dell’andamento degli affari e la verifica di
eventuali ulteriori fatti distrattivi. A fronte della motivazione resa dal giudice di
appello, il ricorso fa leva sul riferimento a successivi trasferimenti e conseguenti
traslochi della società dedotto in termini del tutto generici e svincolati
dall’indicazione di atti processuali idonei a dar corpo anche alla mera, puntuale,

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sostanza, un travisamento della prova, essa è articolata in assenza di completa e

allegazione degli uni e degli altri. Nei termini richiamati, inoltre, il giudice di
appello ha dato conto, con motivazione aderente ai dati probatori richiamati e
immune da vizi logici, della finalizzazione a recare pregiudizio ai creditori
dell’omessa tenuta della contabilità e, dunque, della configurabilità della
fattispecie di bancarotta documentale fraudolenta e non di quella di bancarotta
semplice (Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015 – dep. 16/03/2015, P.M. in proc. Di
Cosimo, Rv. 262915), il che rende manifestamente infondata la censura relativa
alla invocata riqualificazione del fatto a norma dell’art. 217 I. fall.

sanzionatorio, avendo la Corte di merito dato conto della determinazione della
pena richiamando la gravità del fatto (argomentata anche in relazione all’entità
del passivo) e del confermato diniego dell’applicazione delle circostanze
attenuanti generiche facendo riferimento a plurimi precedenti, anche specifici,
del ricorrente, in linea, quest’ultima statuizione, con il consolidato principio di
diritto in forza del quale nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti
generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli
elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è
sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3,
n. 28535 del 19/03/2014 – dep. 03/07/2014, Lule, Rv. 259899).

3. Anche il ricorso proposto nell’interesse di X.S.
deve essere dichiarato inammissibile.
3.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Il ricorrente denuncia che
il decreto di citazione in appello è stato notificato ex art. 161 cod. proc. pen. al
difensore di fiducia, anziché al difensore, in precedenza nominato, presso il quale
l’imputato aveva, da ultimo, eletto domicilio. Ciò premesso, secondo il costante
indirizzo del tutto consolidato della giurisprudenza di questa Corte, la nullità
conseguente alla notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizio presso lo
studio del difensore di fiducia anziché presso il domicilio dichiarato è di ordine
generale a regime intermedio in quanto detta notifica, seppur irritualmente
eseguita, non è inidonea a determinare la conoscenza dell’atto da parte
dell’imputato, in considerazione del rapporto fiduciario che lo lega al difensore
(Sez. 4, n. 40066 del 17/09/2015 – dep. 05/10/2015, Bellucci, Rv. 264505). Nel
caso di specie, la prospettata nullità non risulta comunque tempestivamente
dedotta in quanto all’udienza del 09/10/2014 il difensore di fiducia dell”imputato
avv. Gianotti si limitò a chiedere un rinvio per l’impedimento dell’imputato
attestato da un certificato, rinvio che fu concesso dalla Corte per la successiva

2.3. Manifestamente infondate sono le censure relative al trattamento

udienza del 16/12/2014, nella quale pure la difesa non propose alcuna eccezione
di nullità dell’avviso.
3.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Secondo l’orientamento
del tutto consolidato della giurisprudenza di legittimità, in tema di concorso in
bancarotta fraudolenta documentale, il dolo dell’extraneus nel reato proprio
dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di sostegno
a quella

dell’intraneus,

con la consapevolezza che essa determina un

depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo,

1706 del 12/11/2013 – dep. 16/01/2014, P.G., Barbaro e altro, Rv. 258950),
consapevolezza del terzo di arrecare danno ai creditori che può ricavarsi da
diversi fattori, quali la natura fittizia o l’entità dell’operazione che incide
negativamente sul patrimonio della società (Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010 dep. 29/04/2010, Fiume e altro, Rv. 246879), connotazioni, queste ultime,
all’evidenza riconoscibili nel caso di specie, sicché del tutto congruamente la
sentenza impugnata ha ricostruito i fatti distrattivi rilevandone l’attribuibilità a
titolo di dolo agli imputati rimasti “silenti” fino al fallimento.

4. Alla declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi, consegue la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle
ammende della somma, che si stima equa, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 a favore della Cassa
delle Ammende.
Così deciso il 18/03/2016.

invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società (Sez. 5, n.

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