Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22504 del 05/02/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22504 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: IASILLO ADRIANO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DIOP ALLE N. IL 30/11/1978
avverso la sentenza n. 2820/2008 CORTE APPELLO di GENOVA, del
01/12/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADRIANO IASILLO;

Data Udienza: 05/02/2013

Diop Alle
N.R.G. 20606/2012
Considerato che:
L’Avvocato Andrea Guido — quale difensore di Diop Alle – ricorre
avverso la sentenza, in data 01.12.2011, della Corte di Appello di Genova,
condannato per i reati di ricettazione (capo A), commercio di prodotti con
segni falsi (capo B) e per non aver esibito documenti di identificazioni agli
agenti della P.S. (capo C) — assolse il Diop per il reato di cui al capo C
perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato e ridusse la pena per
i restanti reati in quella di mesi 3 di reclusione ed E 180,00 di multa; il
difensore dell’imputato, chiedendone l’annullamento, osserva che la Corte di
appello doveva assolvere l’imputato dal reato di cui al capo A (ricettazione)
perché assorbito nel reato di cui al capo B (commercio di prodotti con segni
falsi); cita a sostegno di quanto sopra la sentenza di questa Suprema Corte
della Sezione 5 n. 28443 del 24/04/2009 (dep. 10/07/2009; Rv. 244334)

Il ricorso è, con evidenza, privo della specificità, prescritta dall’art. 581,
lett. c), in relazione all’art 591 lett. c) c.p.p., a fronte delle motivazioni svolte
dal Giudice di secondo grado, che non risultano viziate da illogicità manifeste
e sono esaustive, avendo risposto correttamente a tutte le doglianze
contenute nell’appello e avendo ben evidenziato le ragioni per le quali ritiene
che i reati previsti e puniti dagli artt. 648 e 474 del c.p. possano concorrere
tra loro. In particolare il Giudice di merito evidenzia che la consolidata
giurisprudenza di questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio
che il delitto di ricettazione (art. 648 cod. pen.) e quello di commercio di
prodotti con segni falsi (art. 474 cod. pen.) possono concorrere, atteso che le
fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale
e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e
che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del
legislatore (Sez. 2, Sentenza n. 12452 del 04/03/2008 Ud. dep. 20/03/2008
Rv. 239745; Sez. U, Sentenza n. 23427 del 09/05/2001 Ud. – dep.
07/06/2001 – Rv. 218771). Né incide negativamente su quanto sopra rilevato
dalla Corte territoriale, il principio di questa Suprema Corte – contenuto nella

che in riforma della sentenza di primo grado – con la quale era stato

sentenza citata dal difensore del ricorrente – secondo il quale il reato
d’introduzione nello Stato o di messa in circolazione di monete false, da parte
di chi non ha concorso nella falsificazione, non concorre con quello di
ricettazione, che resta in esso assorbito per il principio di specialità (Sez. 5,
Sentenza n. 28443 del 24/04/2009 Cc. – dep. 10/07/2009 – Rv. 244334).
Infatti, si deve osservare che tale sentenza riguarda un reato (art. 453 del
c.p.) diverso da quello di cui ci occupiamo oggi (art. 474 del c.p.) e che

questa Suprema Corte ha — proprio in relazione a tale diversità — già
affermato (si veda Sez. 2, Sentenza n. 22779 del 24.05.2011, non
massimata) che il principio di cui alla sentenza n. 28443 del 2009 – di cui
sopra – non è applicabile per i reati di cui ci occupiamo oggi (648 e 474 c.p.)
che possono — come già detto — concorrere.
Infine, è del tutto fuori luogo il generico richiamo del difensore del
ricorrente della sentenza delle Sezioni Unite n. 22225 del 19/01/2012. Infatti,
tale sentenza prende in esame una diversa situazione, riguardante la
questione giuridica se l’acquirente finale di un prodotto con marchio
contraffatto debba rispondere di un reato (648 o 712) o dell’illecito
amministrativo previsto dal DI. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in I. 14 maggio
2005, n. 80, nella versione modificata dalla I. 23 luglio 2009, n. 99. Diversa
situazione perché il Diop non è certo l’acquirente finale di un prodotto con
marchio contraffatto avendo partecipato — come accertato dai Giudici di
merito – alla distribuzione e diffusione dei prodotti contraffatti. Nella sentenza
delle Sezioni Unite di cui sopra – a conferma di quanto rilevato – si afferma,
infaqtti, che l’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o
comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata risponde
dell’illecito amministrativo previsto dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in I.
14 maggio 2005, n. 80, nella versione modificata dalla I. 23 luglio 2009, n. 99,
e non di ricettazione (art. 648 cod. pen.) o di acquisto di cose di sospetta
provenienza (art. 712 cod. pen.), attesa la prevalenza del primo rispetto ai
predetti reati alla luce del rapporto di specialità desumibile, oltre che
dall’avvenuta eliminazione della clausola di riserva “salvo che il fatto non
costituisca reato”, dalla precisa individuazione del soggetto agente e
dell’oggetto della condotta nonchè dalla rinuncia legislativa alla formula
“senza averne accertata la legittima provenienza”, il cui venir meno consente
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di ammettere indifferentemente dolo o colpa. Inoltre – nella predetta sentenza
— si specifica che per acquirente finale di un prodotto con marchio
contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata,
di cui al D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in I. 14 maggio 2005, n. 80, nella
versione modificata dalla I. 23 luglio 2009, n. 99, si intende colui che non
partecipa in alcun modo alla catena di produzione o di distribuzione e
personale (Sez. U, Sentenza n. 22225 del 19/01/2012 Ud. – dep. 08/06/2012
– Rv. 252453).
A fronte di quanto sopra il difensore dell’imputato si limita alla generica
contestazione di cui sopra. Questa Corte ha stabilito, in proposito, che la
mancanza nell’atto di impugnazione dei requisiti prescritti dall’art. 581
cod. proc. pen. – compreso quello della specificità dei motivi – rende l’atto
medesimo inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio e a produrre,
quindi, quegli effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia
diversa dalla dichiarazione di inammissibilità. (Sez. 1, Sentenza n. 5044 del
22/04/1997 Ud. dep. 29/05/1997 – Rv. 207648; Sez. 3, Sentenza n. 35492
del 06/07/2007 Ud. dep. 25/09/2007 – Rv. 237596).
Uniformandosi a tale orientamento, che il Collegio condivide, va
dichiarata inammissibile l’impugnazione.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in
favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di
colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deliberato in camera di consiglio, il 05/02/2013
Il Consigliere estensore

diffusione dei prodotti contraffatti, ma si limita ad acquistarli per uso

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